Il rapporto di causalità tra omissione ed evento, nel reato colposo omissivo improprio, non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica; esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l’azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l’interferenza di decorsi causali alternativi, l’evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva.  [Avv. Ennio Grassini – www.dirittosanitario.net]

Cassazione penale –  Sez. V  (ud. 18-12-2008) 04-02-2009, sentenza n. 4941

omissis

Motivi della decisione

p. 1.- M.G. veniva citato a giudizio, avanti al Tribunale di Varese – Sezione Distaccata di Gavirate, per rispondere del reato di cui alla L. n. 194 del 1978, art. 17, comma 1, per avere, per imprudenza, negligenza ed imperizia e comunque per colpa, cagionato la morte del prodotto del concepimento di A.P. e P.P.. In particolare, nella sua qualità di medico ostetrico in turno di servizio presso l’Ospedale Civile di X., avendo in cura la partoriente A.P., il cui utero era giunto ormai a dilatazione completa, pur constatando il mancato inizio della fase espulsiva, trascurando di rilevare segni di sofferenza fetale, ometteva di intervenire tempestivamente con operazione di raglio cesareo sulla partoriente, sin quando il feto non si rivelava con battito cardiaco assente, venendo di poi estratto morto dal ventre della madre. In X..

A seguito dell’istruzione dibattimentale, sentiti i periti, il P.M. procedeva, ai sensi dell’art. 516 c.p.p., a modificare l’originaria imputazione, nel senso che alla stessa venissero aggiunte le parole: In particolare, e nello specifico, ometteva di rilevare in modo corretto, preciso e puntuale la sofferenza fetale in atto, attraverso un accurato e continuo monitoraggio cardio-tocografico. In X.".

Con sentenza del 31 gennaio 2006 il Tribunale dichiarava il M. colpevole del reato ascrittogli e, concesse le attenuanti generiche, lo condannava alla pena di mesi quattro di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale; lo condannava, inoltre, a risarcire il danno alle parti civili costituite, A.P. e P.P., assegnando a queste ultime una provvisionale di Euro 100.000,00. p. 2.- La Corte di appello di Milano, con sentenza del 4 marzo 2008, ha confermato la pronuncia del Tribunale e contro la sentenza di appello l’imputato – per mezzo del difensore – ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
Con il primo il ricorrente denuncia vizio di motivazione deducendo che la morte intrauterina del feto è intervenuta per la rottura dell’utero della partoriente che costituisce un’evenienza imprevedibile e non evitabile, come chiarito anche dai periti nominati dal Tribunale. Per contro, deduce ancora il ricorrente, la sentenza impugnata prescinde del tutto da tale eziologia, soffermandosi sul dato fattuale, smentito dall’istruttoria dibattimentale, dell’avere l’imputato, una volta rientrato in ospedale, omesso di verificare i tracciati e l’operato dell’ostetrica, accontentandosi delle rassicurazioni di quest’ultima nonché per non essersi attivato per una maggiore sorveglianza. Tale condotta omissiva è stata ritenuta determinante nella produzione dell’evento nonostante che i periti avessero sostenuto l’inesistenza di tracce di sofferenza fetale precedente alla rottura dell’utero. In assenza di tracciati non si può affermare che, se realizzati, avrebbero evidenziato la sofferenza fetale, ammessa la quale, peraltro, non sarebbe stato possibile prevedere lo sviluppo degli eventi e solo dopo la rottura dell’utero si è reso necessario l’intervento cesareo.
La Corte di merito ha disatteso le conclusioni peritali senza adeguata giustificazione e senza affrontare il tema dell’imprevedibilità e non evitabilità della rottura dell’utero.
Ipotizza un trasferimento in altra struttura ospedaliera che non è compreso nel capo di imputazione. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione perchè sarebbe contraddittorio da una parte contestare l’omessa utilizzazione del monitoraggio costante e l’inesistenza di tracciati e dall’altra affermare che le risultanze dei tracciati avrebbe dovuto indurre ad anticipare il parto cesareo o a trasferire la paziente ad altra struttura ospedaliera maggiormente attrezzata. Si afferma che i tracciati delle ore 19,41 e ancora più quello delle ore 23,54 avrebbero dovuto indurre ad anticipare l’intervento "prevenendo e neutralizzando la rottura dell’utero" senza valutare l’imprevedibilità e non evitabilità della rottura stessa. Trattasi di conclusione assurda che presuppone l’abbandono della pratica del parto naturale.
Richiama il contenuto della consulenza Paccosi e di quella peritale collegiale per escludere l’esistenza di tracciati indicativi di sofferenza fetale.
 
Osserva la Corte che il ricorso è infondato.
Vizi di motivazione denunciati, infatti, non sussistono, nel mentre la gran parte delle censure, nella concreta fattispecie, esorbitano dai limiti della critica al governo dei canoni di valutazione della prova, per tradursi nella prospettazione del fatto storico alternativa a quella fatta argomentatamente propria dal giudice del merito e nell’offerta di una diversa (e per il ricorrente più favorevole) valutazione delle emergenze processuali e del materiale probatorio (cfr. in argomento Sez. 5^, 19 maggio 2005, Rossi), mentre "l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza la possibilità di verificarne la rispondenza alle acquisizioni processuali. E’ da aggiungere che l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi" (Sez. un., 24 novembre 1999, Spina, in Cass. pen., 2000, p. 862; Sez. un., 24 settembre 2003 a 47289) e che, anche dopo la modifica dell’art. 606 c.p.p., lett. e), al giudice di legittimità resta preclusa – in sede di controllo sulla motivazione – la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, rimanendo oggetto di tale giudizio la contrarietà di un provvedimento a norme di legge ed estraneo ad esso, invece, il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali (Sez. 5^, 22 marzo 2006, Cugliari).
Ciò posto, nessun vizio è riscontrabile nella parte della sentenza impugnata che è pervenuta all’accertamento degli elementi del reato in questione attraverso la considerazione delle varie prove acquisite e la corretta indicazione del significato dimostrativo loro attribuito dal giudice, in particolare evidenziando che, sulla scorta delle "chiare conclusioni cui è pervenuta sul punto la perizia collegiale", all’imputato sono ascrivibili ben precisi profili di colpa professionale per avere omesso, da un lato, il controllo (definito dai periti "doveroso") dei tracciati cardio-tocografici, che avrebbe consentito di rilevare e seguire nel suo negativo evolversi la sofferenza fetale; dall’altro, il non avere preteso l’effettuazione di tracciati maggiormente attendibili (anche sotto l’aspetto della necessaria continuità) e, pertanto, utilmente valutabili ai fini di una diversa, più pronta condotta terapeutica.
La perizia – ha precisato la Corte territoriale – "ha, in particolare, posto in evidenza come il medico, una volta giunto in ospedale, avrebbe dovuto verificare i tracciati e l’operato dell’ostetrica, non accontentandosi delle rassicurazioni di quest’ultima (egli solo, infatti, è responsabile dell’interpretazione della traccia), ed avrebbe dovuto diversamente attivarsi, oltre che esigere una maggiore sorveglianza".
Secondo il giudice del merito l’omissione di tali doverose misure da parte dell’imputato ha avuto efficacia determinante nella produzione dell’evento finale perché "il cardio-tocografo è uno strumento che registra la frequenza cardiaca fetale in contemporanea alle contrazioni uterine e che lo stato di benessere del feto, o al contrario un suo stato di sofferenza, possono essere adeguatamente valutati sulla base delle registrazioni eseguite con tale strumento".
Talchi, "se l’imputato avesse direttamente provveduto al controllo dei tracciati, e se li avesse intensificati nel tempo, dando in proposito le opportune disposizioni, avrebbe potuto verificare come già intorno alle ore 20.00 del X. vi fossero elementi idonei a ingenerare allarme circa lo stato di benessere del feto e come tali elementi, progressivamente acuendosi, convergessero ben presto a delineare un vero e proprio stato di sofferenza fetale. Inoltre, era già significativo "il tracciato delle ore 19.41, interrotto alle 20.38 e non seguito da altro tracciato fino alle 23.54, allorquando i segnali di sofferenza fetale – come la presenza di decelerazioni tardive ancora più gravi e di più lunga durata rispetto a quelle registrate quattro ore prima – potevano ormai dirsi di sicura e inequivocabile interpretazione. I dati assolutamente preoccupanti desumibili dal tracciato delle 23.54 avrebbero imposto, anzitutto, un monitoraggio continuo, che invece è stato interrotto pochi minuti dopo (un ulteriore controllo del battito fetale, peraltro con strumentazione portatile, sarebbe avvenuto soltanto alle 2.40);
avrebbero, inoltre, dovuto indurre il dott. M. a mettere in allarme la sala operatoria per un intervento di taglio cesareo, che, ove tempestivamente eseguito, avrebbe assicurato le possibilità di sopravvivenza del feto, prevenendo e neutralizzando la rottura dell’utero".
Correttamente, poi, la Corte di appello ha disatteso quanto affermato dalla relazione tecnica d’ufficio e cioè che la morte del feto sarebbe potuta sopravvenire anche nel caso di un corretto monitoraggio, "tenuto conto della scarsa organizzazione di reparto oltre che della mancanza di un anestesista rianimatore presente in sede", posto che, una volta posta in essere la condotta contestata come omessa, l’imputato avrebbe potuto ben valutare le condizioni di sofferenza fetale in atto, adottando le conseguenti misure, non esclusa quella del trasferimento della paziente in una struttura più adatta, esistente a "poche decine di chilometri". p. 4.- Appare evidente, dunque, che la motivazione della sentenza impugnata non è affetta da alcun vizio logico nel mentre le censure del ricorrente, là dove non sono inammissibili perchè dirette ad ottenere una diversa lettura degli elementi probatori, sono infondate.
La decisione impugnata, invero, ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui "nel reato colposo omissivo improprio il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, sicchè esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l’azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l’interferenza di decorsi causali alternativi, l’evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva" (Sez. U, Sentenza n. 30328 del 2002) e, nella concreta fattispecie, la Corte di merito ha accertato – con valutazione degli elementi probatori sorretta da adeguata giustificazione e come tale incensurabile in sede di legittimità – che la responsabilità del sanitario discende "dall’omissione di una corretta diagnosi, dovuta a negligenza e imperizia, e del conseguente intervento che, se effettuato tempestivamente, avrebbe potuto salvare la vita" del feto (cfr. in argomento Sez. U, Sentenza n. 30328 del 2002). Sussiste, invero, la colpa professionale del medico ove il sanitario, anzichè contrastare il processo patologico in atto, differisca l’intervento terapeutico che si prospetti come necessario ed urgente alla luce di un evidente quadro dinico (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 10482 del 2000; Pres. Lacanna – est. Amato A., in tema di omissione di intervento urgente che avrebbe potuto salvare il feto).
Il difensore della parte civile non ha rassegnato conclusioni, limitandosi a produrre copia di una transazione. Sì che nulla va disposto in ordine alle spese di parte civile.