Il sanitario, che abbia la consapevolezza dell’inidoneità (per essere meri “tappulli”) di certe terapie attuate per un tempo prolungato, e magari della sua stessa “pericolosità” nel senso della prevedibilità di seri inconvenienti futuri, non può dare corso al mantenimento di tali terapie provvisorie – pur richieste dal cliente – senza incorrere in responsabilità.

I “desiderata” del cliente, infatti, possono essere anche profondamente sbagliati in quanto provengono da un soggetto che non ha chiare le regole tecniche che presiedono alla concezione ed installazione delle protesi anche mobili. [Avv. Ennio Grassini – www.dirittosanitario.net]

Tribunale di Genova Sezione II, Sent. del 05/05/2008

omissis

Svolgimento del Processo


Con citazione, notificata nel febbraio 2004, il sig. Y. Z. evocava in giudizio il dott. X. Fr., per sentirlo dichiarato responsabile e quindi condannato al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non (biologici, esistenziali, vita, di relazione), subiti dall’attore a causa delle cure inidonee ed inadeguate prestate dal X. con colpa ed eventualmente con dolo e per la restituzione di tutte le somme indebitamente versate dall’attore al dentista.

L’attore esponeva di essere stato paziente del dott. X. dal 1985 fino a settembre 2003 e lamentava, di avere ricevuto cure incongrue ed inadeguate in particolare dal 1995, pur avendo corrisposto al dentista somme rilevanti nel corso degli anni, precisando altresì che tutti i perni usati dal convenuto per fissare e/o otturare i denti si erano rivelati non in oro come dichiarato dal dentista.

Costituendosi in giudizio il sanitario, previa chiamata dell’assicuratore Zu. S.p.A. a fini di garanzia e manleva, eccepiva preliminarmente la nullità dell’atto introduttivo e, nel merito, chiedeva dichiararsi l’intervenuta prescrizione dei diritti attorei per il periodo dal 1985 al 21/11/93, oltre al rigetto della domanda per essere state prestate cure adeguate alle patologie del paziente.

Il medico convenuto eccepiva che il cavo orale del Y. fin da subito, all’inizio delle cure nel 1985, aveva presentato una situazione parodontale e dentaria gravemente compromessa con recessione gengivale, recessione ossea e con carie di vario grado.

Più precisamente, il medico convenuto esponeva di aver informato il paziente della grave situazione patologica, spiegandogli che l’unica soluzione alle complesse problematiche era l’asportazione di tutti i denti con l’apposizione di una protesi mobile, ma che tale soluzione era stata sempre rifiutata dal Y. che aveva preferito gli interventi palliativi descritti in comparsa.

In relazione alla lamentata esosità dei compensi versati nel corso dei vent’anni di cura, infine, il medico precisava di avere rispettato le tariffe di legge e di avere – con tali compensi – prestato cure anche alla moglie, alla figlia ed alla madre dell’attore.

La Compagnia chiamata, aderiva all’eccezione di nullità dell’atto introduttivo, eccepiva inoltre l’inoperatività della garanzia assicurativa in relazione alla richiesta restituzione dei compensi ed alle richieste di risarcimento danni per comportamenti colposi antecedenti all’11/6/98.

Per il resto, si allineava alle difese di merito del sanitario.

Il procedimento veniva istruito con l’interrogatorio libero delle parti, l’esame di testimoni sui contenuti delle intese terapeutiche e sulla constatazione degli esiti degli interventi, ed, infine, con il licenziamento di CTU affidata al dr. K. J. di Milano, che depositava l’elaborato il 12/03/2007.

Senza ulteriore attività istruttoria, la causa passava in decisione all’udienza del 1/01/2008, nanti questo nuovo giudice nel frattempo designato, con assegnazione dei termini ordinati per le difese finali ai sensi dell’art. l90 c.p.c.

Motivi della decisione

La domanda è fondata nei limiti di cui in appresso.

Dall’esame dell’atto introduttivo si evince che l’oggetto della causa è costituito dalla qualità delle prestazioni dentistiche fornite dal dott. X. al sig. Y. a partire dal 1985 fino al 2003, lamentando l’inizio dei dolori nel corso delle cure ed in aumento con il passare del tempo, nonostante gli interventi del medico fossero sempre più frequenti (anche bisettimanali).

Prestazioni che, ad avviso dell’attore, hanno provocato danni alla funzionalità masticatoria ed al parodonto, patologie infiammatorie e danni estetici.

L’attore lamenta infine che, nonostante gli esborsi elevati, i perni installati dal X. non erano in oro, né in altro metallo prezioso e che la necessità di un radicale intervento “riparatore” (estrazione di n. 12 denti e l’applicazione di una protesi dentaria) ha causato un’ulteriore grave forma depressiva.

Prima di valutare la diligenza del professionista, occorre esaminare brevemente la questione pregiudiziale proposta dal convenuto e dal terzo chiamato.

La citazione iniziale – per quanto estremamente sintetica, sia in fatto che in diritto – non appare comunque lacunosa per quanto riguarda l’individuazione dei fatti costitutivi della responsabilità professionale e della loro collocazione temporale (dal 1985 al 2003), sia con riferimento all’esposizione delle vicende di fatto del rapporto terapeutico, che con l’implicito richiamo alle regole della responsabilità contrattuale, che qui indubbiamente vengono in rilievo.

Passando all’esame dei temi di merito, è opportuno iniziare dando conto di quanto (poco) riconosciuto da entrambe le parti e del lavoro peritale, svolto con particolare scrupolo dal C.T.U. dott. K. J. di Milano. Le parti concordano nel fatto che quasi tutti i pagamenti dal Y. al X. sono stati effettuati senza rilascio di ricevuta, è invece radicalmente contestato l’importo complessivo percepito dal X. : Y. in citazione indica complessivi Euro 65.489,95 (dal 1985 al 2003), X. contesta l’importo indicato dall’attore senza però specificare un diverso quantitativo.

Le parti concordano infine sul fatto che X. , con detti importi, è stato pagato anche per le prestazioni svolte a favore della moglie e della figlia dell’attore.

E’ invece radicalmente contestato tale assunto per la madre, la durata e la natura dei lavori eseguiti per i famigliari.

In libero interrogatorio, Y. precisa che solo gli importi versati per l’ultimo biennio comprendono le cure ai familiari – madre esclusa -, che dette cure erano di poco conto e comunque nella percentuale del 5%; X. insiste che detti compensi comprendevano anche le cure alla madre dell’attore, che i lavori ai familiari sono durati tre anni e sono stati particolarmente rilevanti e consistenti (parla anche di un apparecchio per la figlia, contestato dal Y. ).

Sugli importi effettivamente versati dal Y. , a fronte della radicale contestazione del X. , non è stata offerta alcuna prova diretta in giudizio con la sola eccezione di sette ricevute, tra l’altro prodotte dal convenuto, e relative a pagamenti avvenuti tra marzo 2002 ed ottobre 2003 per complessivi Euro 4.570,00, già dedotti gli importi per le cure espletate ai famigliari alla luce delle intestazioni delle stesse fatture. Nessuno dei testi escussi è risultato adeguatamente informato sul punto, avendo sempre e solo reso dichiarazioni de relato dallo stesso attore e comunque del tutto generiche (Ce.:”… le informazioni che riferisco mi derivano dalle confidenze che Z. mi fece all’epoca …. mio cugino non mi dettagliò i costi delle cure ma mi disse che erano cifre ingenti sempre corrisposte in nero …”).

Dovendo quantificare le somme corrisposte dal Y. per le sue proprie cure, dato atto che è pacifico in causa (oltreché riscontrato dalla teste Ro.) che Y. ha frequentato per diversi anni lo studio anche due volte a settimana, essendo altresì comprovato che, anche per il periodo antecedente al 2002, sono state versate somme “in nero”, per stessa ammissione del convenuto, appurato che Y. per l’anno 2002 – 2003 ha sicuramente corrisposto Euro 4.570,00 (per le sole sue cure personali), deve ritenersi ragionevolmente provato in via presuntiva che il dott. X. abbia percepito ulteriori analoghe somme per ogni anno precedente, per le sole cure personali al Y. , per un totale complessivo – dal 1987 al 2003 – tenuto conto di quanto corrisposto nell’ultimo anno, sicuramente, non inferiore ad Euro 40.000,00, viste anche le valutazioni al riguardo del c.t.u. su una media di 240 sedute necessarie.

Il conteggio di quanto corrisposto dal Y. al X. appare necessario fino dal 1987 perché, come meglio vedremo di seguito, da questa data inizia la condotta professionale censurata dal c.t.u. Per il resto, risulta impossibile valutare la corresponsione in detto periodo di somme ulteriori rispetto a quelle documentate, o comunque presuntivamente dimostrate in giudizio.

In merito alle condizioni dell’apparato dentario del Y. dal 1985 ed alle scelte terapeutiche del paziente rispetto alle informazioni effettivamente offerte dal X. , vi è radicale contrasto tra le parti e le prove orali assunte non sono state di nessun ausilio, per avere contenuto estremamente generico – non essendo tecnici del settore o pur essendo tecnici del settore – e comunque per essere state rese da persone non direttamente presenti ai fatti dedotti.

Mentre Y. afferma che non aveva problemi all’installazione di una “dentiera”, il dott. X. assume che il paziente rifiutava tale proposta.

In effetti il nodo di cosa sia stato detto sulle alternative terapeutiche permane anche dopo l’istruttoria orale, perché i testimoni indicati da ciascuna parte ne hanno ribadito, peraltro in modo del tutto generico, le relative tesi e ragioni, impedendo acquisizioni certe.

L’assistente di poltrona del dott. X. – teste Ro.Al. – riferisce di una grave situazione del Y. , ma solo da gennaio 2001 (in quanto solo da tale data risale la sua assunzione presso lo studio dentistico); riconosce che il paziente arrivava a frequentare lo studio anche 2 volte a settimana per cure conservative e/o interventi curativi non definitivi (otturazioni o devitalizzazioni); riconosce che il dott. X. preferiva “curare” i denti, ma sostiene anche che il convenuto – visti i risultati – aveva proposto al Y. “l’adozione di una dentiera mobile”, senonché non ricorda né quando, né come avrebbe dovuto essere realizzata, mentre ricorda il netto rifiuto del paziente, il quale aveva preferito continuare ad andare avanti con le cure precedenti. La deposizione della teste oltre ad essere estremamente lacunosa proprio su aspetti di grande rilievo in ordine alle decisioni terapeutiche, appare anche difficilmente verosimile quando afferma che Y. , il quale all’epoca (2001) frequentava lo studio addirittura 2 volte a settimana per gravi problemi dolorosi, preso atto dell’insuccesso delle cure apprestate dal dentista di fiducia, preferiva continuare in tale senso – quindi con interventi bisettimanali – anziché affidarsi alle cure alternative prospettate del dott. X.

Gli altri testi nulla hanno saputo riferire in ordine alle condizioni del Y. nel periodo precedente il 2001, né in merito alle scelte terapeutiche, non avendo assistito direttamente ai fatti dedotti. Il criterio logico può in parte aiutare visto che Y. si sottopose, appena affidatasi alle cure del successivo curante, proprio alle cure che avrebbe rifiutato con dott. X.

Nasce a questo punto il problema della natura meramente palliativa dei numerosissimi interventi eseguiti sul Y. , di cui il dr. X. sembra perfettamente conscio nella misura in cui sottolinea la loro funzione di meri “tappulli”, nel senso di parziali, provvisori e palliativi.

Tuttavia, una “provvisorietà” durata molti anni, di cui il curante non poteva non rappresentarsi la “pericolosità”, nel senso indicato dal c.t.u. con particolare riguardo alle condizioni parodontali, che avrebbero dovuto indurre il medico ad approntare cure mirate, anziché palliative, mentre non fu mai praticata una rilevazione della situazione parodontale dente per dente, né interventi di chirurgia parodontale (cfr. pagg. 8 e 9).

Detto problema, rilevante ai sensi dell’art. 1227 c.c., è quello relativo alle asserite proposte terapeutiche definitive del dott. X. fronteggiate da un asserito rifiuto del paziente Y.

Y. assume infatti di aver richiesto cure definitive, mentre il curante nega tale richiesta e dichiara che era proprio il Y. a rifiutare cure drastiche e definitive, in particolare l’asportazione di tutti i denti con l’apposizione di una protesi mobile.

Nonostante le difformi allegazioni delle parti, si è correttamente dato corso a CTU medico legale, sul rilievo che il sanitario, che abbia la consapevolezza dell’inidoneità (per essere meri “tappulli”) di certe terapie attuate per un tempo così prolungato (si tratta di quasi 10 anni), e magari della sua stessa “pericolosità” nel senso della prevedibilità di seri inconvenienti futuri, non può dare corso al mantenimento di tali terapie provvisorie – pur richieste dal cliente – senza incorrere in responsabilità.

I “desiderata” del cliente, infatti, possono essere anche profondamente sbagliati in quanto provengono da un soggetto che non ha chiare le regole tecniche che presiedono alla concezione ed installazione delle protesi anche mobili.

Assecondare tale errore per non porsi in collisione con il cliente è dunque fonte di responsabilità, perché in tali situazioni l’operatore deve palesare la propria contrarietà, esplicitarne i motivi e, rifiutare l’intervento. [***]

La consulenza eseguita dal dott. J. ha fatto chiarezza anche tra le opposte tesi delle due parti, perché ha individuato un difetto di concezione nell’approccio nel trattamento della malattia parodontale, in quanto privo di un’adeguata rilevazione della situazione parodontale dente per dente, con inutili interventi di ablazione del tartaro o di levigatura radicolare e con aggravanti interventi di gengivectomia; ed un difetto esecutivo nelle numerose devitalizzazioni condotte solo parzialmente con scarso o assente riempimento canalare e conseguenti lesioni apicali.

Il c.t.u. sottolinea come le protesi, apposte su monconi già “maltrattati” endodonticamente – motivo di per sé invalidante l’applicazione – hanno consentito infiltrazioni e perdita di gran parte dei monconi sottostanti, per ulteriore imprecisione od errato carico protesico, confermato dalle rarefazioni periradicolari riscontrabili radiologicamente.

Occorre comunque dare conto delle ulteriori acquisizioni peritali, cercando di tradurre dalla CTU – di non sempre agevole lettura data la natura specialistica del linguaggio medico – i dati salienti relativi al caso in esame.

Riferisce il consulente che le condizioni iniziali dell’attore nel 1985 non sono documentate in alcun modo. Sul punto vi sono le sole contrastanti allegazioni delle parti: l’attore riferisce la presenza di qualche carie, il convenuto eccepisce invece la presenza di una situazione paradontale già gravemente compromessa – recessione gengivale e recessione ossea riscontrabile radiologicamente … – altresì sugli elementi dentali … altrettanto gravemente compromessa dal punto di vista dello smalto della dentina (cfr. comparsa pag. 2). Trattasi, quelle del X. , di allegazioni rimaste del tutto prive di riscontro probatorio, per la mancanza di documentazione ed avendo la teste Ro. riferito di una grave situazione per il Y. risalente a 15 anni dopo l’inizio delle cure del 1985.

Appare quindi condivisibile, come sostenuto dal c.t.u., che il Y. nel 1985 fosse solo portatore di alcune otturazioni da sostituire (cfr. rel. pag. 7).

Passando alla disamina degli interventi che dovevano essere praticati per la corretta risoluzione dei problemi dentali insorti nel corso del tempo su parte attrice e di quelli che furono effettivamente praticati dal professionista convenuto, il dr. J. – in assenza di documentazione, sulla base delle stesse; ammissioni delle parti – ha rilevato solo interventi di tipo conservativo non anche protesico per un costo complessivo inferiore ai 1.000,00 Euro, dal 1985 al 1987.

A partire, invece, dal 1987 il c.t.u. ha riscontrato almeno cinque estrazioni, otturazioni, almeno cinque devitalizzazioni, ricostruzioni, detartrasi, rizotomia, legature dentarie, apicectomie, levigature radicolari a cielo aperto, gengivectomie e protesi fisse (con almeno 15 elementi), così come indicato dal convenuto in comparsa.

Il perito affronta il problema delle devitalizzazioni sopra esaminato, specificando che a tutto ciò si accompagna l’inadeguatezza delle cure parodontali, relative cioè al tessuto di “sostegno” dei denti, e che tutti gli interventi programmati ed eseguiti non richiedevano speciale difficoltà tecnica.

Il fiduciario del giudice, infine, conclude nel senso che l’incongruenza degli interventi eseguiti e dei manufatti realizzati ha determinato nuove patologie.

Con infezioni periapicali e recidive cariose, quanto ai denti; con aggravamento della malattia parodontale, quanto al parodonto, rendendo necessaria l’estrazione di denti e radici previa rimozione delle protesi. Il dott. J. , dopo ampia ed approfondita disamina della documentazione in atti, ritiene che le conseguenze dannose riscontrate sul Y. (infezioni periapicali, malattia parodontale, carie dissecanti) sono riferibili solo ad errori di concezione e di realizzazione degli interventi terapeutici oltreché ad omissione di terapie e di cautele doverose nello svolgimento dell’attività professionale (cfr. pag. 10).

Non ci sono ragioni per discostarsi dal meditato e convincente approccio peritale, che non è stato in definitiva sottoposto a serie confutazioni tecniche, di cui il dott. J. non abbia tenuto adeguato conto anche nella parte finale della relazione.

Si tratta perciò, una volta assodata l’erronea concezione ed esecuzione dei numerosi interventi terapeutici e chirurgici attuati nel corso degli anni dal 1987 al 2003, e con ciò la responsabilità professionale del dott. X. , di passare al calcolo liquidatorio del danno alla persona e delle spese riabilitative, non prima di aver disposto la restituzione (causa risoluzione per inadempimento) della somma versata come corrispettivo dal Y. in esecuzione del contratto terapeutico a suo tempo intervenuto tra parte attrice ed il dott. X. , in base alle disposizioni generali degli artt. 1453 e ss. c.c., con limitato riferimento peraltro al periodo in questione, per l’importo indicato di Euro 40.000,00.

Non è accoglibile l’eccepita prescrizione fino al 21/11/93, non essendo stata raggiunta la prova del dolo che avrebbe guidato la condotta imperita del convenuto, rilevandosi che la condotta posta in essere dal X.

configura un illecito continuato e permanente cessato nel 2003, termine dal quale solo può essere fatta decorrere la prescrizione, ai sensi degli artt. 2935, 2946 c.c., alla luce delle recenti pronunce della suprema corte sulla decorrenza del termine da quando la parte ha percezione del danno patito e della sua connessione eziologica a quella certa condotta illecita.

Parte convenuta deve quindi restituire all’attore la complessiva somma di Euro 40.000,00 sopra indicata. Premesso che tutte le voci di danno sono state – seppure genericamente – tempestivamente allegate in citazione (come danno patrimoniale e non patrimoniale compresi anche D.B. ed esistenziale), è risarcibile, in primo luogo, il danno alla persona sotto il profilo c.d. “biologico” costituito dalla lesione dell’integrità psicofisica, consistita nella definitiva perdita di quasi tutti i denti.

Il Y. ha, infatti, ancora 8 denti ma di diminuita validità e per i quali è prevista la prossima estrazione (tranne uno).

In ragione della terapia impianto – protesica prevista, per la quale viene riconosciuto il danno emergente come di seguito esposto, correttamente il c.t.u. – in conformità alle unanimi indicazioni in materia – ritiene che la menomazione si riduca di due terzi con l’applicazione di protesi fisse, arrivando a ritenere suddetta invalidità stimabile in misura di otto punti percentuali (8%).

Per la determinazione delle componenti del danno non patrimoniale alla persona, è d’obbligo il rinvio alla decisione n. 4233 del 19/11/2003 in causa VI. c. SO., con cui il Tribunale, ha preso atto della nuova concezione “costituzionalmente orientata” dell’art. 2059 c.c. messa a punto dalle note decisioni n. 8827 ed 8828 rese nel maggio 2003 dalla III Sezione della Corte di Cassazione.

Per effetto di tale richiamo, considerate le stime dell’invalidità giustamente considerate dal CTU (con una stabilizzazione dei postumi nel 2003), il conteggio liquidatorio finale consta dal seguente conteggio: Danno Biologico da IP pari ad euro 8.262,75 (8% su persona di anni 55 nel 2003 secondo le tabelle vigenti all’epoca in forza del D.M. 22/7/03 su G.U. 30/7/03 n. 175 a norma dell’art. 5 legge 5/3/01 n. 57 sulle c.d. “micropermanenti”), Danno Biologio da ITP al 50% pari ad Euro 4.554,00 (da inv. temp. parz. al 50% per 240 gg. : 37,95 : 2 x 240), Danno Biologico da ITP al 25% pari ad Euro 3.795,00 (da inv. temp. parz. al 25% per 400 gg. 18,975 : 2 x 400), Danno Biologico da ITP al 10% pari ad Euro 1.500,00 (da inv. temp. parz. al 10% per 400), Danno Morale da ITP, pari ad Euro 9.849,00.

Nulla viene riconosciuto a titolo di danno esistenziale, dati i minimi postumi invalidanti rilevati dal CTU, mentre appare conforme ad equità un contenuto aumento del danno morale per valorizzare le sofferenze psicologiche patite nel periodo in cui si manifestò l’inadeguatezza delle cure, quali descritte concordemente dai testimoni esaminati.

Da notare invece che il danno morale è dovuto in quanto l’attività professionale imperita ha nuociuto al bene – salute, e dunque ad un diritto della persona riconosciuto e tutelato a livello costituzionale, anche a prescindere dal rilievo che ricorre comunque una colpa in concreto e incidentalmente riconducibile alla previsione dell’art. 590 c.p.: alla consueta misura determinata dalla normale tecnica liquidatoria del Tribunale, si ritiene di dover aggiungere in via d’equità un aumento di 1.000,00 Euro per le sofferenze morali, temporanee, riferite dai citi dell’attore e rese plausibili dal numero incredibili degli interventi subiti e per quelle future che il paziente dovrà sopportare per le prossime cure (40 gg. di ITP al 25%, indicate dal c.t.u.), per un totale complessivo a titolo di danno alla persona non patrimoniale pari ad Euro 28.960,75. Gli accessori sul danno di cui sopra, credito di valore, vanno riconosciuti secondo la sentenza n. 1712 del 17/2/1995 della Corte di cassazione, tenendo presente che le tabelle liquidatorie utilizzate sono ancorate alla data convenzionale dell’1/1/2003, peraltro sostanzialmente coincidente con la stabilizzazione dei postumi permanenti.

Sarà necessario dunque procedere in primo luogo a rivalutazione del capitale liquidato per il danno alla persona dall’1/01/2003 all’odierna sentenza del 29/3/08.

Per gli interessi compensativi, occorre procedere alla loro quantificazione al tasso di legge, sulla somma capitale rivalutata di anno in anno dal 1/1/03 ad oggi 29/3/08.

Infine, sul capitale rivalutato e sugli interessi compensativi ad oggi, vanno ulteriormente corrisposti gli interessi corrispettivi dall’odierna liquidazione fino al saldo effettivo.

Diversa trattazione merita il profilo del risarcimento dei costi riparatori e riabilitativi, ed anche per esso si impone una preliminare delucidazione sui contenuti della relazione peritale.

Il perito del giudice ha accertato che Y. al momento delle indagini, al solo fine di rimediare ai difetti, ai vizi ed alle conseguenze lesive delle cure non corrette praticate dal dott. X. e per ripristinare la corretta funzionalità dentale aveva già sostenuto la complessiva somma di Euro 15.025,00.

Tuttavia, il dott. J. , rileva che trattasi di importi sostenuti per l’espletamento di cure maggiori ed ulteriori rispetto alquanto avrebbe richiesto lo stato dentario del Y.

Il c.t.u. evidenzia infatti che si è trattato di una protesizzazione provvisoria e non anche definitiva. Per le necessità del caso, sarebbe stata congrua una spesa totale inferiore, pari ad Euro 4.830,00, mentre per le cure future dovute alla protesizzazione definitiva, Y. , ad avviso del c.t.u., dovrà sostenere l’ulteriore spesa pari ad Euro 46.700,00, per un totale di Euro 51.530,00, parte delle quali già corrisposte.

Il CTU, che ha dettagliato alle pagg. 10 – 11 i costi analitici, li ha ritenuti congrui alle tariffe medie di mercato.

Si dispone a questo punto di tutti gli elementi per la stima del “danno differenziale” imputabile alla quota di costi aggiuntivi che Y. ha dovuto corrispondere in più per raggiungere un accettabile livello di funzionalità masticatorie, dopo le cure del X. non eseguite a regola d’arte.

Il costo di iniziali cure congrue sarebbe stato di 30.000,00 Euro, parte del sicuro esborso effettivo sostenuto dal Y.

La spesa finale presso il nuovo curante sarà pari ad Euro 51.530,00.

Il ritardo nell’affrontare tali cure definitive ed il tempo trascorso nel “tapullare” gli inconvenienti via, via manifestatisi ha fatto lievitare i costi riabilitativi ed è imputabile al solo curante per le ragioni esposte.

La porzione risarcibile è data dalla maggiore differenza tra Euro 51.530,00 ed Euro 30.000,00, che Y. avrebbe comunque dovuto sostenere, ergo Euro 21.530,00.

Riassuntivamente, al Y. sono dovute le seguenti somme:

  1. Euro 40.000,00 per restituzione del corrispettivo pagato al convenuto;
  2. Euro 28.960,75 per ristoro del danno alla persona biologico e morale;
  3. Euro 21.530,00 per spese di riabilitazione chirurgica e protesica. Non banali, infine, sono le statuizioni sugli accessori dovuti, trattandosi di titoli diversi con diverse decorrenze.

Orbene, sulle somme dovute a titolo di risarcimento del danno alla persona si è già detto. Ad esse si associa il credito per spese di riabilitazione e protesica, avendo anch’esso natura risarcitoria.

Il credito restitutorio per la risoluzione del rapporto, come obbligazione di valuta, va invece aumentato dei soli interessi legali dalla messa in mora del 22/11/03 (v. doc. 1 attore) fino al saldo.

Per quanto attiene le spese di lite, stante il principio di soccombenza restano a carico del convenuto ed esse vengono dimensionate in base all’effettiva misura dell’accoglimento della domanda e perciò nello scaglione tariffario da 51.700,01 Euro a 103.300,00.

Gli oneri di c.t.u. vanno posti definitivamente a carico di parte convenuta.

Passando ad esaminare la domanda di garanzia, è chiaro che dalla ritenuta responsabilità del sanitario discende per il suo assicuratore r.c.t. l’obbligo di tenerlo indenne dalle pretese che Y. può far valere in base all’odierna pronuncia.

Ci sono però da considerare due importanti eccezioni.

In, primo luogo, non formano oggetto della copertura assicurativa le somme che il X. deve retrocedere per la risoluzione per inadempimento del contratto (Euro 40.000,00).

Per il resto, sull’eccepita non copertura per le condotte antecedenti al giugno 1.998, si rileva quanto segue. In relazione al danno biologico per invalidità permanente, trattandosi di fatti lesivi stabilizzati nel 2003, a prescindere dall’inizio effettivo delle condotte colpose del dott. X. , trattandosi comunque di condotta colposamente illecita di natura continuativa e permanente, si deve fare decorrere il suo effetto dal 2003, dal momento in cui è cessata e si sono stabilizzati i postumi permanenti accertati dal c.t.u., restando quindi integralmente coperta dalla polizza azionata.

Così pure il danno per spese di riabilitazione chirurgica e protesica, in quanto maturato dal 2003. In relazione, invece, al danno biologico per invalidità temporanea parziale (al 50% per 240 gg., poi al 25% per 400 gg., ed infine al 10% per ulteriori 400 gg.), con annesso danno morale, trattandosi di lesioni che il c.t.u. ha fatto iniziare temporalmente dal 1987 e che ha ritenute cessate nel 2003, considerando cinque giorni di malattia al mese per tutto l’arco temporale di circa 20 anni, all’interno del quale il 1998 si colloca poco oltre la metà, deve essere esclusa l’operatività della garanzia per le lesioni temporanee parziali manifestatesi nell’arco temporale dal 1987 al giugno 1998, restando invece coperte dalla garanzia le successive lesioni temporanee parziali fino a tutto il 2003.

Atteso che il c.t.u. non ha indicato i periodi di ITP nell’arco temporale esaminato, precisando che la malattia ha avuto una durata di 238 mesi, durante la quale si è mantenuta con alterne fasi di esacerbazione e remissione, ben potendo essersi riacutizzata in epoche più recenti per condotte del medico di questo periodo, appare corretto liquidare l’importo coperto dalla garanzia invocata, dividendo a metà l’importo complessivo già liquidato per ITP e per DM, restando quindi coperto dalla garanzia l’importo capitale pari ad Euro 10.349,00. Infine, a norma dell’art. 1917/3°comma c.c., la compagnia è tenuta anche a sostenere le spese del proprio assicurato.

La sentenza è esecutiva per legge.

P.Q.M.


Definitivamente pronunciando,

  • dichiara risolto per inadempimento del convenuto il rapporto riabilitativo per cui è processo, condannando il dentista convenuto a restituire all’attore Y. Z. la somma di Euro 40.000,00 oltre agli interessi al tasso di legge con decorrenza dal 22/11/03 fino al saldo;
  • condanna il convenuto dr. X. a corrispondere a Y. Euro 28.960,75 a titolo di ristoro del danno biologico e morale, nonché Euro 21.530,00 per maggiori costi riabilitativi con gli accessori meglio in motivazione specificati;
  • condanna dott. X. a rifondere l’attore Y. delle spese di lite che liquida in Euro 944,00 per esborsi, Euro 2.976,00 per diritti, Euro 4.500,00 per onorari, oltre rimb. forf., IVA e CPA come per legge; – pone definitivamente a carico del convenuto i costi di CTU;
  • in parziale accoglimento della domanda di garanzia, dichiara ZU. S.A. obbligata a tenere indenne il dr. X.
  • con esclusione dei compensi da retrocedersi per Euro 40.000,00 e con esclusione del danno per ITP e morale nella misura di Euro 10.349,00 – in relazione alle pretese del Y. , condannando l’assicuratore r.c.t. a rimborsare al X. quanto dal convenuto corrisposto a parte attrice per capitale relativo al danno alla persona e costi riabilitativi, relativi accessori e spese in adempimento dell’odierna pronuncia.

Sentenza esecutiva.

Così deciso in Genova il 29 marzo 2008.

Depositata in Cancelleria il 5 maggio 2008.