Né la Casa di cura nè il primo operatore durante il parto e dunque responsabile quale capo equipe della gestione della sala operatoria e dell’intervento, hanno dimostrato la corretta asepsi dell’ambiente chirurgico e dello strumentario.

In particolare la struttura non ha depositato per l’arco temporale interessato i registri giornalieri di disinfestazione e pulizia dell’ambiente operatorio e delle campionature periodiche al fine di controllare l’efficacia delle misure di prevenzione attuate -ad es. verifica delle contaminazioni ambientali ed impiantistiche delle superfici della camera operatoria, dei sistemi di areazione, della disinfezione degli strumenti, della pulitura o cambio dei camici del personale medico e paramedico, etc- come richiesto dalle Linee Guida approvate dall’Istituto Superiore del Dipartimento di Igiene del Lavoro.

Nemmeno ha provato di avere adeguatamente formato ed aggiornato il personale infermieristico e medico -delle cui carenze sarebbe comunque chiamato a rispondere ex art. 1228 c.c.- dimostrandone con allegazione di attestati la partecipazione a corsi in materia, nè di avere compiuto controlli a campione per verificare il rispetto di tali regole da parte del personale medico e paramedico.

Analogamente il primo operatore non ha allegato e dimostrato -a prescindersi dalla prescrizione e somministrazione di antibiotico-di avere vigilato sulla corretta tenuta dello strumentario e comportamento igienico della equipe: lavaggio mani, prelievo degli strumenti dall’autoclave ovvero apertura degli strumenti sigillati, etc.

 

Tribunale Roma Sez. XIII, Sent., 16-01-2019
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA
XIII SEZIONE CIVILE
Il giudice dott.ssa Maria Lavinia Fanelli ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. R.G. 60829/13, promossa
DA
N.S.- C.F. (…)
I.C.- C.F. (…)
elettivamente domiciliati in Roma Via A. Cantore n. 19 presso lo studio dell’avv. Maria Luisa Campanella, rappresentante e difensore con l’avv. Fabrizia Equizi giusta procura a margine dell’atto di citazione
ATTORI
CONTRO
Spa C.C. – C.F. (…)
elettivamente domiciliata in Roma Via Alberico II n. 4 presso lo studio dell’ avv. Giovanni De Luca, rappresentante e difensore giusta delega in calce all’atto di citazione notificato e rinuncia a mandato del codifensore
CONVENUTA
E
F.M.- C.F. (…)
elettivamente domiciliata in Roma Via germanico n. 107 presso lo studio degli avv. Nicola Bultrini e Fabio Belardi, rappresentanti e difensori giusta delega in calce alla comparsa di costituzione
TERZA CHIAMATA
E
U.A. spa -C.F. (…)
elettivamente domiciliata in Roma Via Salaria n. 292 presso lo studio dll’avv. Francesco Baldi, rappresentante e difensore giusta delega in calce alla comparsa di costituzione
TERZA CHIAMATA
OGGETTO: risarcimento del danno da responsabilità professionale medica
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con atto di citazione ritualmente notificato gli attori hanno evocato in giudizio dinnanzi a questo Tribunale la Casa di Cura affinchè fosse condannata al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non -quantificati in Euro170.556,00 per N. ed Euro27.786,00 per I.- sofferti in occasione del trattamento post partum dell’attrice, con vittoria di spese da distrarsi.
Deduceva la N. in particolare che: a seguito del cesareo – seppur presenti sintomi di endomeriosi in corso come da atonia dell’utero ed aumento delle dimensioni dello stesso per incompleto secondariamento della placenta- era stato erroneamente diagnosticato un aneurisma senza considerare il riscontro di presenza di possibile cotiledone succenturiato evidenziato con una pregressa ecografia del 17.3.13; solo dopo 12 gg dal parto si era proceduto ad una revisione della cavità uterina a causa di grave anemia; tale ritardo aveva determinato la insorgenza di endometrite e stato infettivo; si era dovuto perciò procedere ad isterectomia sub totale; essa attrice aveva dunque sofferto una lesione fisica, oltra a danno morale ed esistenziale per perdita della capacità di procreare con danni riflessi anche in capo al marito.
Con la prima memoria ex art. 183 c 6 c.p.c. hanno poi precisato la domanda -non estendendola espressamente alla dott.ssa F.- deducendo anche come la attrice si stata tardivamente trattata per l’insorta infezione da E C., atteso l’espletamento dii consulenza infettivologa ad istanza di vari gg dall’evidenza.
La C.C. costituendosi ha negato ogni addebito.
Deduceva che: dopo un decorso post partum normale solo in data 10.04.12 in 3^ giornata dal parto si era rilevato sulla paziente un rialzo di temperatura e dolenzia pelvica e perciò eseguito emocromo con indici normali e somministrato antibiotico; in 4^ giornata a seguito di persistenza di sintomi era stato eseguito rx con evidenza di alcuni livelli idroaerei ed ecografia; in 5^ giornata eseguita altra rx con evidenza di riduzione dei livelli idroaerei rispetto alla precedente; in 6^ giornata attesa la persistenza di stato febbrile e la evidenza di raccolta fluida in sede pelvica con utero aumentato si era proceduto a laparoscopia con aspirazione del liquido corpuscolato rinvenuto e lavaggio; migliorate le condizioni, il giorno seguente si era verificato ulteriore rialzo termico e perdite ematiche con atonia uterina prontamente emendate; tuttavia ulteriori due episodi di perdite ematiche con anemizzazione avevano determinato i sanitari in data 19.04.12 ala isterectomia sub totale, unica procedura attuabile.
Chiedeva dunque -in assenza di errori- respingersi la domanda e comunque chiamarsi in causa la dott. M.F. da cui essere manlevata del tutto o pro quota in caso di condanna.
Autorizzata la chiamata si costituiva la dott. F. eccependo la sua legittimazione passiva avendo eseguito sulla paziente solo il taglio cesareo, essendo estranea ai trattamenti post partum ed in particolare alla procedura laparoscopica del 19.4.12.
Nel merito contestava le allegazioni attoree emergendo dalla cartella clinica e diaria ogni indicazione circa le condizioni della paziente, ovvero già in data 10.04.12 era indicato come l’utero era contratto con lochiazioni regolari ed in ogni caso si era proceduto ad un costanze monitoraggio con esecuzione di rx, ecografie, analisi del sangue ed urine deponenti per E C., somministrazione di antibiotici, Tac e laporotomia esplorativa, con necessità a seguito di episodi emorragici prontamente e correttamente trattati di procedere ad isterectomia risolutiva delle problematiche insorte.
Chiedeva dunque respingersi la domanda e chiamarsi in causa la propria Compagnia assicurativa F. da cui essere indennizzata in caso di condanna.
Autorizzata la chiamata si costituiva la U. (già F.) richiamando la operatività della polizza azionata n. (…) risultando rispettate le condizioni della clausola claim made come da condizioni generali, ovvero essendo la prima richiesta risarcitoria all’assicurata risalente all’11.03 14 sotto vigenza (dal 30.5.13) e per un fatto accaduto sotto il periodo di retroattività (fino al 28.5.08), il massimale, la operatività a secondo rischio ovvero solo ove superato il massimale della assicurazione della struttura.
Nel merito deduceva l’assenza di responsabilità della propria assicurata sia nei confronti delle pretese di regresso della struttura che nei confronti degli attori, la responsabilità diretta ex art. 1228 c.c. della casa di cura, l’assenza di allegazioni puntuali da parte degli attori nonché di prova del nesso di causalità tra la prestazione medica e i postumi lamentati.
Chiedeva dunque respingersi ogni domanda ovvero graduarsi la colpa con manleva pro quota.
La causa- istruita con la produzione documentale ed espletata ctu medico legale- è stata infine trattenuta in decisione con i termini ex art. 190 c.p.c. sulle conclusioni rassegnate dalle parti all’udienza del 24.10.18 con la concessione dei termini ex art. 190 c.p.c..
Nel merito la domanda è fondata nei termini che seguono.
Giova premettere che ai fini della configurabilità della responsabilità medica invocata a sostegno dell’avanzata pretesa risarcitoria è necessario dimostrare che i sanitari della casa di cura evocata non abbiano rispettato il dovere di diligenza su di loro incombente in relazione alla specifica attività esercitata ex art. 1176 comma 2 c.c.
Di tale eventuali errori è chiamata senz’altro a rispondere anche la struttura sanitaria trattandosi di operato dei propri ausiliari necessari ex art. 1228 c.c. (Cass. n.13953/07, Cass.n. 8826/07, Cass. n.1620/12).
A prescindere poi dalla qualificazione dell’obbligazione medica come di mezzi o di risultato, e della qualificazione della responsabilità del sanitario come extracontrattuale ovvero contrattuale per “contatto sociale” tra il paziente ed il sanitario nonché la struttura ove lo stesso si trova ad operare, occorre che venga provato l’inadempimento o l’inesatto adempimento del medico.
La giurisprudenza della Suprema Corte ha chiarito come debba essere ripartito l’onere probatorio tra le parti: incombe infatti in ossequio al principio di vicinanza della prova sul danneggiato l’onere di allegazione dell’inadempimento del medico, ovvero dell’inesattezza dell’adempimento dovuta a negligenza o imperizia, mentre grava sul sanitario provare il proprio esatto adempimento e dunque la mancanza di colpa nell’esercizio della prestazione. (Cass. 11488/04).
Incombe dunque sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l’onere di provare il nesso di causalità tra l’aggravamento della patologia (o l’insorgenza di una nuova malattia) e l’azione o l’omissione dei sanitari, mentre, ove il danneggiato abbia assolto a tale onere, spetta alla struttura dimostrare l’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l’inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l’ordinaria diligenza (Cass. N. 26700/18),
Orbene occorre evidenziare come gli attori abbiano dimostrato per tabulas il contatto con la struttura sanitaria con il deposito della cartella clinica (all. 1 cit.), ed hanno proceduto ad allegare gli errori sanitari commessi durante la gestione della paziente in occasione del taglio cesareo del 7.4.12 in particolare con riferimento all’incompleto secondamento -ovvero espulsione della placenta- peraltro tardivamente diagnosticato, il quale a sua volta avrebbe determinato endometrite e stato infettivo pelvico causativo delle emorragie e della necessità di procedere ad isterectomia sub totale altrimenti evitabile.
Ne deriva che abbiano assolto all’onere su di essi incombente di allegazione puntuale delle problematiche insorte (ascesso, emorragie, anemizzazione, etc ) e degli errori medici eventualmente commessi (mancata espulsione della placenta, tardiva diagnosi, tardiva consulenza infettivologica, tardiva revisione laparoscopica) tali da causare la necessità dell’isterectomia.
Conseguentemente -sebbene essi non abbiano direttamente sottolineato la caratteristica nosocomiale della infezione occorsa- è indubbio come nel petitum così come peraltro precisato nella memoria ex art. 183 c 6 c.p.c. n 1 tale aspetto sia ricompreso, avendo gli istanti censurato la insorta infezione ricollegandola tuttavia al residuo di materiale placentare ed il trattamento intempestivo della stessa non avendo essi stessi la competenza medico scientifica per individuarne con esattezza l’origine.
D’altra parte la struttura convenuta ed i terzi chiamati hanno dedotto la correttezza nella gestione della paziente durante il suo ricovero.
Tali le posizioni delle parti la ctu medico legale -completa nella ricostruzione della vicenda clinica attraverso l’analisi approfondita dei documenti medici versati in atti e perciò condivisibile nelle conclusioni scientifiche dal Tribunale- ha evidenziato elementi di censura nell’operato medico sulla gestante sig.N. in occasione del parto del 7.04.12.
In verità le allegazioni attoree- volte ad individuare la causa dell’insorta infezione nella incompleta espulsione della placenta in occasione del taglio cesareo- non è corretta sebbene la infezione sia di origine nosocomiale (vd infra).
Sul punto il ctu ha escluso che i sanitari in occasione del parto abbiano sottovalutato la indicazione di possibile cotiledone succenturiato anteriore come diagnosticato con ecografia del 03.03.12, in quanto tale dato è stato correttamente riportato nella cartella clinica ed ha escluso che la placenta sia rimasta in parte in situ atteso che nella scheda del parto è riportato tra gli altri il dato della placenta: peso 500 gr con anomalia: cotiledone succenturiato.
Pertanto la placenta è stata completamente asportata.
Né risulta dai controlli ecografici successivi, dagli esami istologici, dalla revisione uterina e dalla isterectomia praticata la ritenzione endouterina di materiale placentare: infatti se cosi fosse stato sarebbe emersa in immagini endocavitarie ai controlli strumentali. All’opposto la Tac ha evidenziato una formazione a livello della cervice uterina e la ecografia del 13.4 una formazione in corrispondenza del margine posteriore destro del collo uterino, mentre la placenta con possibile cotiledone succenturiato era posizionata nella parte anteriore come da ecografia pre parto.
Ciò che invece è emerso con chiarezza è che la sig N. in occasione del parto e della gestione post partum abbia contratto un’infezione nosocomiale.
Essa al termine di una gravidanza fisiologica in assenza di fattori specifici per rischio infettivo (tamponi vaginali negativi, normale tempistica della rottura delle membrane ed evidenza di liquido amniotico chiaro) ha manifestato in 4^ giornata i caratteri netti di infezione tissutale con febbre e quadro clinico e laboristico ad andamento settico.
Inizialmente con evidenza in urine di E Coli -come da risultati del 12.4. compatibile con quadro di cistite-, poi con ascesso parauterino dx necessitante di drenaggio chirurgico a seguito di laparotomia esplorativa ed infine -sebbene trattamento antibiotico in corso- con gravi emorragie uterine necessitanti i di isterctomia, dall’esame culturale dei cui drenaggi è emerso E.F., B.F., P. melaninogenetica, prevotella oralis ovvero agenti infettivi caratteristici nosocomiali.
E’ dunque evidente che -in assenza di fattori alternativi anzi allo stato esclusi dalle condizioni della puerpera pre partum- la sig. N. in occasione del taglio cesareo abbia contratto un’infezione nosocomiale già evidenziatasi in 3^ giornata la quale ha determinato il quadro flogistico insorto con ascesso pelvico ed emorragie solo parzialmente contenuto dalla somministrazione di antibiotici.
Il ctu ha chiaramente evidenziato come non sia possibile individuare con esattezza il momento in cui la infezione sia stata contratta, ovvero durante il taglio cesareo o nella gestione successiva della paziente.
Fatto è che i sintomi sono precocente comparsi in 3^ giornata e dunque in un quadro compatibile di incubazione rispetto all’intervento chirurgico.
Del resto né la Casa di cura ne la chiamata dott. F. -primo operatore durante il parto e dunque responsabile quale capo equipe della gestione della sala operatoria e dell’interventohanno dimostrato la corretta asepsi dell’ambiente chirurgico e dello strumentario.
In particolare la struttura non ha depositato per l’arco temporale interessato i registri giornalieri di disinfestazione e pulizia dell’ambiente operatorio e delle campionature periodiche al fine di controllare l’efficacia delle misure di prevenzione attuate -ad es. verifica delle contaminazioni ambientali ed impiantistiche delle superfici della camera operatoria, dei sistemi di areazione, della disinfezione degli strumenti, della pulitura o cambio dei camici del personale medico e paramedico, etc- come richiesto dalle Linee Guida approvate dall’Istituto Superiore del Dipartimento di Igiene del Lavoro.
Nemmeno ha provato di avere adeguatamente formato ed aggiornato il personale infermieristico e medico -delle cui carenze sarebbe comunque chiamato a rispondere ex art. 1228 c.c.- dimostrandone con allegazione di attestati la partecipazione a corsi in materia, nè di avere compiuto controlli a campione per verificare il rispetto di tali regole da parte del personale medico e paramedico.
Analogamente la dott. ssa F. non ha allegato e dimostrato -a prescindersi dalla prescrizione e somministrazione di antibiotico-di avere vigilato sulla corretta tenuta dello strumentario e comportamento igienico della equipe: lavaggio mani, prelievo degli strumenti dall’autoclave ovvero apertura degli strumenti sigillati, etc.
Per quanto sopra a fronte di tale radicale carenza probatoria “è molto più che probabile che non” che la insorta infezione nosocomiale sia derivata da una carenza igienica nel corso del taglio cesareo.
Ne deriva che la Casa di cura -responsabile nel lato interno dell’obbligazione nella misura dell’85% e la dott. F. nella misura del 15% per le ragioni sovra espresse- deve essere condannata al risarcimento dei danni patiti dagli attori.
La sig. N. ha invero riportato un danno pari al 20% di Ip, atteso la isterectomia sub totale subita con impossibilità di ulteriore procreazione. Essa ha poi patito un periodo di inabilità totale pari 20 gg come da degenza.
Ai fini della liquidazione del danno, si fa riferimento alle tabelle in uso presso il Tribunale di Roma come indice di riferimento dedotto dal tenore delle pronunce effettivamente emesse -aggiornate all’anno 2018- considerata l’età dell’attrice all’epoca dell’intervento (aprile 2012 ), ossia 28 anni, deve riconoscersi dovuto l’importo complessivo di Euro59.097,32.
Il danno non patrimoniale così calcolato deve essere personalizzato in ossequio all’insegnamento ultimo della Corte di Cassazione che con la pronuncia a Sezioni Unite n. 26972.08 ha inteso -superando definitivamente la nozione di danno morale soggettivo transeunte automaticamente legato al pregiudizio alla salute- ricondurre ad un’unitaria voce di danno tutti i pregiudizi non patrimoniali connessi alla lesione dell’integrità psicofisica del soggetto vittima di un illecito-sulla scorta dell’apprezzamento delle sofferenze concrete, valutate anche dal punto di vista relazionale ed esistenziale; si ritiene equo quindi maggiorare nel caso in esame il danno biologico complessivo per un totale pari ad Euro17.729,19, atteso l’attendibile patema d’animo sofferto dalla Sig N. durante la degenza per i trattamenti ricevuti nella consapevolezza del rischio occorso nonché la sofferenza per una giovane donna derivante dalla perdita dell’utero con compromissione della possibilità di avere altre gravidanze.
A ciò si aggiunga il rimborso per spese mediche pari ad Euro21.00 (all. 6 cit), con esclusione del ristoro per consulenze ante causam in quanto oneri sostenuti liberamente dalla parti per consulti al fine di valutare l’eventuale fondamento di domanda giudiziale e volti alla pre costituzione di elementi di prova. Il totale ammonta dunque ad Euro76.847,51.
Parimenti al sig I. può riconoscersi il danno morale da perdita delle possibilità di avere altri figli, atteso che anche lui è stata definitivamente pregiudicata la possibilità di accrescere ulteriormente la propria famiglia.
Può dunque riconoscersi a tale titolo in via equitativa l’importo di Euro10.000,00.
Sul tali importi oltre alla rivalutazione del credito, già determinato nel suo complessivo ammontare ai valori attuali è dovuto inoltre il danno da lucro cessante (dovendosi in tal senso interpretare la domanda relativa agli interessi sulla somma capitale rivalutata) conseguente alla mancata disponibilità della somma dovuta per il periodo intercorso dalla data del fatto lesivo (aprile 2012) alla presente decisione, consistente nella perdita di frutti civili che il danneggiato avrebbe potuto ritrarre -ove la somma fosse stata corrisposta tempestivamente- dall’impiego dell’equivalente monetario del valore economico del bene perduto, con l’attribuzione di interessi a un tasso non necessariamente coincidente con quello legale ( Cass. Sez. Un. 1712/95 , Cass.n. 10300/01; n.18445/05 ).
Tale danno deve essere liquidato applicando i criteri di cui alla sentenza della Corte di legittimità per cui -posto che la prova del lucro cessante può essere ritenuta anche sulla base di criteri presuntivi ed equitativi- è “consentito calcolare gli interessi con riferimento ai singoli momenti (da determinarsi in concreto, secondo le circostanze del caso) con riguardo ai quali la somma equivalente al bene perduto si incrementa nominalmente, in base agli indici prescelti di rivalutazione monetaria, ovvero mediante un indice medio”.
A tale orientamento il Giudicante ritiene di doversi allo stato adeguare, prendendo a base del calcolo -stante la sostanziale equivalenza del risultato- la semisomma dei due valori considerati (valore del residuo risarcimento dovuto all’epoca del sinistro e valore attuale), e applicando sulla stessa il tasso medio del rendimento dei titoli di Stato (usuale modalità di impiego del risparmio da parte delle famiglie italiane), poiché nel periodo in questione (fatto -decisione) il rendimento medio di tali investimenti è stato superiore a quello medio degli interessi legali nello stesso periodo (cfr. Cass. SU n. 19499/08).
Riassumendo in applicazione di tali principi l’importo dovuto per lucro cessante calcolato sul totale di Euro76.847, 51 è pari ad Euro10.992,48 per un totale a favore della sig N. di Euro87.839,99; e sul totale do Euro10.000,00 è pari ad Euro1.430,42 pari ad Euro2.066,00 per un totale a favore del sig. I. pari ad Euro11.430,42 oltre interessi legali dalla data della pubblicazione della sentenza al saldo.
In virtù della ripartizione interna della responsabilità si riconosce -in accoglimento della domanda di regresso- il diritto della C.C. alla manleva da parte della dott. F. del 15% di quanto sarà chiamata a pagare la struttura complessivamente agli attori in esecuzione della presente sentenza.
Si riconosce altresì diritto della dott. F. alla manleva da parte della U. di quanto sarà chiamata a pagare pro quota alla casa di Cura a seguito dell’eventuale regresso.
Invero la eccezione di operatività della polizza in quanto a secondo rischio non può allo stato essere accolta in assenza di prova -cui non può supplire una chiesta di esibizione al Tribunale ex art. 210 c.p.c. giacchè meramente esplorativa- che la Casa di Cura abbia stipulato valida garanzia per sé ed i propri medici.
Spese di lite e di ctu secondo soccombenza.
P.Q.M.
definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione:
-accoglie la domanda attorea e per l’effetto condanna la Spa C.C. al pagamento risarcitorio di Euro87.839,99 in favore di N.S. ed Euro11.430,42 a favore di I.C. oltre interessi legali dalla sentenza al saldo;
-condanna la Spa C.C. al pagamento delle spese di lite in favore degli attori che che liquida per le varie fasi processuali in Euro10.000,00 per compensi ed Euro660,00 per spese oltre accessori come per legge, da distrarsi;
-pone le spese di ctu come da decreto di liquidazione del Tribunale del 9.9.16 a carico Spa C.C.;
-riconosce il diritto della Spa C.C. di regresso nei confronti di F.M. nella misura del. 15% di quanto sarà chiamata a pagare in esecuzione della presente sentenza;
-riconosce il diritto di manleva di F.M. da parte della U.A. spa di quanto sarà chiamata a pagare in regresso.
Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2019.
Depositata in Cancelleria il 16 gennaio 2019.