Il danno biologico è, per espressa definizione legislativa, anche in ambito lavoristico, la lesione della integrità psico-fisica della persona, suscettibile di valutazione medico legale. Vi è pertanto danno biologico quando la lesione della integrità psico-fisica sia suscettibile di valutazione medico legale.

Ma se così è, nel quantificarlo, il giudice non può limitarsi a richiamare il criterio dell’equità e ad individuare una somma in modo apodittico: deve giungere alla determinazione mediante una valutazione medico legale.

La via più naturale è quella di svolgere una consulenza medico legale, ma il giudice può anche effettuare direttamente tale valutazione, a condizione che basi la sua scelta su di un fondamento medico legale

Cassazione Civile – Sez. III, Sent. n. 5118 del 03.03.2011

 

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Svolgimento del processo

 

1.- Con decisione n. 70/2007, depositata il 17.10.2008, la Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie ha respinto il ricorso del Dott. B.A., odontoiatra, avverso la Delib. 30 marzo 2004 con la quale la Commissione odontoiatri dell’Ordine dei medici chirurghi ed odontoiatri della provincia di Bergamo, a conclusione del procedimento disciplinare iniziato in suo confronto il 20.1.2004, gli aveva irrogato la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione per due mesi, avendolo ritenuto responsabile del seguente addebito: “avere, nella sua qualità di coniuge della socia del Centro medico odontostomatologico San Martino s.r.l. di Alzano Lombardo, nonchè quale specialista convenzionato con l’Ospedale di X.  consentito che fosse effettuata pubblicità del centro sulle schede di dimissioni dell’Ospedale, con riferimento all’applicazione di tariffe scontate, indipendentemente dalla complessità e difficoltà della patologia da trattare, al fine di acquisizione di clientela a favore della Società e quindi traendo indiretto vantaggio, cosi in violazione degli artt. 24, 52, 53, 54, 67 e 13 del Codice di deontologia e della L. n. 115 del 1992″.

2.- Avverso la decisione ricorre per cassazione B.A., affidandosi a sei motivi.

Resistono con controricorsi il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali e l’Ordine dei medici chirurghi ed odontoiatri della provincia di Bergamo.

 

Motivi della decisione

 

1.1.- E’ infondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso proposta dai controricorrenti per essere stata la decisione impugnata erroneamente indicata col n. 69, anziché 70, nella procura speciale rilasciata al difensore in calce al ricorso.

In caso sostanzialmente identico è stato infatti chiarito che il mandato apposto in calce o a margine del ricorso per cassazione è per sua natura mandato speciale, senza che occorra per la sua validità alcuno specifico riferimento al giudizio in corso ed alla sentenza contro la quale l’impugnazione si rivolge, sicché è irrilevante l’eventuale errore materiale circa gli estremi della sentenza impugnata (Cass. n. 10539/07).

2.- Col primo motivo di ricorso è denunciata nullità del provvedimento della Commissione odontoiatri per aver deliberato con la presenza di tre componenti su cinque.

2.1.- La censura è manifestamente infondata alla luce del principio secondo il quale l’organo, che non integra un collegio perfetto, è validamente costituito se sia presente la metà più uno dei suoi componenti (cfr., ex multis, Cass., sez. un., n. 3195/89, nonchè Cass., nn. 9376/03 e 7765/05).

3.- Col secondo, terzo e quarto motivo, che possono congiuntamente esaminarsi per la connessione tra le questioni che pongono, sono denunciate violazioni di legge e vizi di motivazione per avere la Commissione – ravvisando la responsabilità disciplinare del ricorrente in un contesto nel quale era stata legittimamente (pur senza l’osservanza delle regole della pubblica evidenza, come ritenuto nel procedimento svoltosi a carico del direttore sanitario dell’ente ospedaliero) stipulata una convenzione tra l’azienda ospedaliera e la San Martino s.r.l. per l’erogazione ai pazienti di prestazioni che la struttura pubblica non poteva o non poteva adeguatamente offrire – (a) ritenuto illegittimi o disapplicato atti amministrativi adottati da una diversa autorità amministrativa, (b) deciso in contrasto con le conclusioni raggiunte nel diverso procedimento disciplinare nei confronti del direttore sanitario, (e) in realtà imputato al B. di non essersi rivolto al Consiglio dell’ordine per segnalare la particolarità della situazione, così violando anche il principio di necessaria correlazione fra addebito contestato ed affermazione della responsabilità.

3.1.- Le censure sono infondate.

Quanto al primo profilo, poiché non è stata in alcun modo sindacata l’attività amministrativa dell’ente pubblico, ma solo valutato il comportamento del sanitario sotto l’aspetto deontologico, che ben può venire in rilievo pur se si inserisca nell’ambito di un’attività, sua o di altri, legittima sotto il profilo amministrativo, stante la diversità sia delle disposizioni applicabili che dei sottesi valori di riferimento.

Quanto al secondo, poiché è del tutto irrilevante la circostanza che un diverso procedimento disciplinare si sia diversamente concluso nei confronti di altri, tra l’altro incolpati di diversa violazione disciplinare e vertenti in diversa situazione di fatto (nell’incolpazione in scrutinio, determinante valenza è assegnata alla circostanza che la moglie dell’incolpato e quella di altro sanitario che lavorava nello stesso reparto erano titolari di quote societarie del Centro medico privato verso il quale venivano indirizzati i pazienti dimessi dal reparto ospedaliero).

Quanto al terzo, poiché il riferimento della decisione impugnata al dovere del B. di sollecitare l’intervento dell’Ordine non è operato in funzione dell’affermazione della sua responsabilità per non averlo fatto, ma di inconferenza delle allegazioni difensive che ne prospettavano la formale legittimità del comportamento, predicato come doveroso alla luce della convenzione in atto e della redazione della scheda di dimissione, non da lui stesso direttamente predisposta.

4.- Col quinto motivo è denunciata assoluta carenza di motivazione in relazione al motivo di ricorso col quale s’era prospettata l’eccessività della sanzione, in relazione al ritenuto carattere colposo della condotta ed al ridottissimo lasso temporale in cui potesse mai dirsi realizzato lo sviamento di clientela determinato dalla pubblicità, essendo stato sollecitamente modificato lo stampato della scheda di dimissione sin dal 7.2.2003 (n.d.e.: in relazione alla convenzione Delib. 10 dicembre 2002).

4.1.- Il motivo è infondato poiché l’affermazione della Commissione centrale (“valutate tutte le circostanze e considerate le doglianze proposte dal ricorrente, questo Collegio ritiene congrua la sanzione irrogata”) integra senz’altro una motivazione alla luce delle caratteristiche del caso, quali ampiamente si evincono dal corpo della decisione.

Nè il ricorrente afferma di aver prospettato quali specifiche tipologie di comportamento meritassero una sanzione inferiore, ovvero che la sospensione dall’esercizio dalla professione per un tempo superiore al minimo edittale sia compatibile solo con violazioni connotate da dolo.

5.- Col quinto motivo di ricorso la decisione è censurata per violazione del D.P.R. n. 221 del 1950, art. 51, per essere stata la sanzione irrogata benché fosse nelle more spirato il termine prescrizionale di cinque anni, decorrente dalla data alla quale era cessato il comportamento deontologicamente censurato (7.2.2003).

5.1.- La doglianza è manifestamente infondata, essendosi reiteratamente affermato che la prescrizione quinquennale dell’azione disciplinare nei confronti degli esercenti professioni sanitarie, prevista dal D.P.R. 5 aprile 1950, n. 221, art. 51, è interrotta con effetto istantaneo ai sensi dell’art. 2945 cod. civ., comma 1, dal promovimento della detta azione disciplinare in sede amministrativa, mentre per la fase giurisdizionale davanti alla Commissione centrale è applicabile il secondo comma del menzionato art. 2945, che prevede l’effetto permanente dell’interruzione (così., ex coeteris, Cass., nn. 10396/01, 12892/03, 13771/06).

6.- Il ricorso è respinto. Le spese seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

LA CORTE DI CASSAZIONE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che per il Ministero liquida in Euro 4.000,00 oltre alle spese prenotate a debito e per l’Ordine in Euro 4.200,00 di cui Euro 4.000,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori dovuti per legge.