In materia di formazione professionale continua degli operatori sanitari, gli artt. 16 e 16 quater del d.lgs. n. 502 del 1992, nel prevedere una ripartizione della potestà legislativa tra Stato e Regione, non attribuiscono alle ASL alcuna autonoma titolarità, limitandosi queste a partecipare in via strumentale, previo accreditamento presso gli enti preposti (Commissione regionale per la formazione continua, Regioni e Province), alla realizzazione del programma di educazione continua in medicina (ECM), la cui gestione amministrativa è stata attribuita – con l’art. 2 della legge n. 244 del 2007 – all’Agenzia per i servizi sanitari regionali. Ne consegue che non sussiste a carico delle ASL l’obbligo di predisporre ed organizzare corsi di aggiornamento e formazione per i propri medici, né, correlativamente, un diritto di questi ultimi di ottenere direttamente dall’ASL di appartenenza la promozione e l’organizzazione di tali attività, potendosi censurare la condotta dell’Azienda solo ove la stessa abbia, ingiustificatamente, impedito ai medici la partecipazione alle iniziative di formazione continua.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte d’Appello di Torino, con la sentenza n. 1935/06, depositata il 20 dicembre 2006, accoglieva l’appello principale proposto dalla Azienda Sanitaria Locale n. 19 di Asti e rigettava l’appello incidentale proposto da …. avverso la sentenza del Tribunale di Asti, n. 126 del 14 giugno 2005. 2. Il … aveva adito il Tribunale premettendo di lavorare alle dipendenze dell’ASL 19 di Asti dal 23 aprile 1982 con la qualifica, dal 1 gennaio 1995, di medico di 1 livello dirigenziale – fascia B. Lo stesso esponeva che da detta data non aveva conseguito alcuna progressione in carriera e che ciò era da imputarsi all’assenza di corsi di aggiornamento e/o di formazione che l’aveva penalizzato nei concorsi banditi per l’accesso alla qualifica superiore. Deduceva che la ASL non aveva adempiuto allo specifico obbligo di provvedere al suo aggiornamento professionale, obbligo sancito dalla L. n. 833 del 1978, art. 2; dal D.P.R. n. 761 del 1979, art. 46; dal D.P.R. n. 348 del 1983, art. 19; del D.P.R. n. 270 del 1987, artt.26 e 83; dal D.Lgs. n. 502 del 1992, artt. 68 e 70. Chiedeva, pertanto, che il Tribunale di Asti accertasse e dichiarasse l’inadempimento della ASL 19 agli obblighi di aggiornamento professionale, con la condanna della medesima a consentirgli di partecipare ad iniziative formative specifiche per il proprio profilo professionale e al risarcimento del danno subito, pari alle differenze di stipendio fra la fascia A e la fascia B a decorrere dal 1996, oltre al risarcimento degli ulteriori danni, da quantificarsi in via equitativa, che gli sarebbero derivati dal mancato aggiornamento professionale.

3. Il Tribunale accoglieva in parte la domanda, e dichiarava l’inadempimento della ASL 19 di Asti “in quanto non ha consentito a … Alessandro di accedere alla formazione obbligatoria ex lege” e condannava la medesima ASL a pagare al ricorrente, a titolo di risarcimento del danno, la somma di Euro 14.520,00, oltre interessi, nonché a rimborsare al medesimo le spese processuali. 4. Con l’appello proposto in via principale la ASL chiedeva la integrale reiezione della domanda proposta dal …, mentre quest’ultimo impugnava, in via incidentale la suddetta sentenza del Tribunale di Asti, in ordine ai capi della domanda non accolti. 5. Ricorre per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Torino … Alessandro, prospettando due motivi di impugnazione. Resiste con controricorso la ASL n. 19 di Asti.

6. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.. Il … ha eccepito la tardività del controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente, deve essere accolta l’eccezione di tardività del controricorso proposta dal ..

Ed infatti la Asl ha notificato tardivamente (tenuto conto che la notifica del ricorso avveniva il 23 luglio 2007 e il deposito dello stesso interveniva il 31 luglio 2007), con spedizione a mezzo posta il 11 ottobre 2007, il controricorso al ricorrente, oltre il termine previsto dall’art. 370 c.p.c., comma 1, in combinato disposto con l’art. 369 c.p.c., comma 1.

2. Con il primo motivo di ricorso è prospettata la violazione del D.Lgs. n. 502 del 1992, artt. 16, 16-bis, 16-ter e 16-quater, (art. 360 c.p.c., n. 3).

Il quesito di diritto ha il seguente tenore: se, ai sensi delle suddette disposizioni, l’individuazione dei soggetti da inviare ai corsi di aggiornamento professionale e la formazione permanente del personale sanitario sia di competenza delle Regioni o delle singole ASL; cui appartiene il personale medico.

Assume il ricorrente:

che il D.Lgs. n. 502 del 1992 ha riordinato la disciplina della materia sanitaria con il riconoscimento dell’autonomia regionale nell’ambito della programmazione nazionale sanitaria;

che le ASL costituiscono enti strumentali della Regione, che quest’ultima utilizza per definire i compiti organizzativi specifici e gli strumenti per il raggiungimento degli obiettivi prefissati a livello regionale e/o nazionale;

che le Regioni sono titolari della potestà legislativa in materia sanitaria ma non dell’organizzazione dei corsi di aggiornamento professionale, indicandosi, in merito, linee programmatiche di indirizzo;

che compete alla ASL individuare i soggetti da inviare ai corsi di aggiornamento eventualmente organizzati dalla Regione, come si evinceva dalla delibera del direttore generale della USL n. 19 di Asti del 16 febbraio 1995;

che la responsabilità della Asl nel non aver incluso esso ricorrente nei corsi risultava dal tentativo obbligatorio di conciliazione;

che la competenza delle ASL emergeva dalla nota del 15 novembre 2001 della dott. Camandona dirigente del settore 29.6- Organizzazione, Personale e Formazione delle Risorse Umane della Regione Piemonte. Esponeva, infine, il ricorrente che la Suprema Corte era investita solo della corretta applicazione delle norme di cui si assume la lesione, esulando dal giudizio di legittimità l’esame della circostanza se i corsi fossero stati organizzati e se il … fosse stato impedito a parteciparvi.

2.1. Il motivo non è fondato e deve essere rigettato. Occorre rilevare che, come questa Corte ha più volte affermato, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass., sentenze n. 16698 del 2010, n. 7394 del 2010). Pertanto, sono inconferenti rispetto al dedotto vizio di violazione di legge del D.Lgs. n. 592 del 1992, artt. 16 e 16 quater le vicende esposte dal ricorrente nella deduzione del suddetto motivo.

Nè, peraltro, potrebbero essere articolati congiuntamente, a pena di inammissibilità, il vizio di violazione di legge e quello di motivazione, ciò costituendo una negazione della regola di chiarezza posta dall’art. 366-bis c.p.c. (Cass., ordinanza n. 9470 del 2008). Gli artt. 16-bis e 16-quater, di cui sia assume la lesione, in uno all’art. 16, sono stati introdotti, nel D.Lgs. n. 502 del 1992, dal D.Lgs. 19 giugno 1999, n. 229, e, dunque, i fatti di causa – 1 gennaio 1996-2004 – riguardano un periodo in parte anteriore all’entrata in vigore delle suddette disposizioni, in parte coincidente con la fase di prima applicazione delle stesse, tenuto conto che:

solo con D.M. 5 luglio 2000 veniva costituita la Commissione nazionale per la formazione continua che elaborava un relativo programma (ECM educazione continua in medicina);

con l’Accordo 20 dicembre 2001 (Accordo tra il Ministro della salute, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, sugli obiettivi di formazione continua di interesse nazionale di cui al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 16-ter, commi 1 e 2 e successive modificazioni, proposti dalla Commissione nazionale per la formazione continua) venivano definiti gli obiettivi formativi di interesse nazionale;

dal 1 gennaio 2002 il programma ECM (che era articolato in successive tappe progressive) veniva applicato a tutte le categorie professionali sanitarie (Circolare Ministero salute del 5 maggio 2002 n. 448- G.U. n. 110 del 2002).

L’art. 16-bis, in particolare, ha previsto la formazione continua nel settore sanitario, che comprende l’aggiornamento professionale e la formazione permanente.

È stata, quindi, istituita la Commissione nazionale per la formazione continua, che, con programmazione pluriennale, sentita la Conferenza per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano nonché gli Ordini e i Collegi professionali interessati, fissa gli obiettivi formativi di interesse nazionale, con particolare riferimento alla elaborazione, diffusione e adozione delle linee guida e dei relativi percorsi diagnostico- terapeutici (art. 16-ter, comma 2).

L’art. 16-ter, al comma 3, stabilisce “le Regioni, prevedendo appropriate forme di partecipazione degli ordini e dei collegi professionali, provvedono alla programmazione e alla organizzazione dei programmi regionali per la formazione continua, concorrono alla individuazione degli obiettivi formativi di interesse nazionale di cui al comma 2, elaborano gli obiettivi formativi di specifico interesse regionale, accreditano i progetti di formazione di rilievo regionale secondo i criteri di cui al comma 2. Le Regioni predispongono una relazione annuale sulle attività formative svolte, trasmessa alla Commissione nazionale, anche al fine di garantire il monitoraggio dello stato di attuazione dei programmi regionali di formazione continua”.

Dall’esame della suddetta legislazione, in uno alle regole del riparto della potestà legislativa tra Stato e Regioni, anche come delineato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, che ha novellato il Titolo 5^ della Parte Seconda della Costituzione, e segnatamente l’art. 117 Cost., la ricostruzione operata dal ricorrente è priva di riscontro.

La Corte costituzionale ha affermato che la prevista competenza legislativa concernente la “tutela della salute” (art. 117 Cost., comma 3) è “assai più ampia” rispetto a quella precedente dell'”assistenza ospedaliera”, che la Regione esercitava nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato (Corte cost., sentenze nn. 134 del 2006 e 270 del 2005), ed esprime “l’intento di una più netta distinzione fra la competenza regionale a legiferare in queste materie e la competenza statale, limitata alla determinazione dei principi fondamentali della disciplina” (Corte cost., sentenze n. 162 del 2007 e n. 282 del 2002). Nella suddetta materia, rientra anche l’ambito dell’organizzazione sanitaria, in quanto quest’ultima ne costituisce parte integrante (Corte cost., sentenza n. 371 del 2008).

Pertanto, a prescindere dal riparto della potestà legislativa in materia di formazione professionale interna ed esterna all’azienda, e di istruzione, non vi è, come prospettato dal ricorrente, una potestà esclusiva della Regione in ordine alla sanità regionale, fermo restando la titolarità delle funzioni amministrative in materia.

In ragione del D.Lgs. n. 502 del 1992, artt. 16 e 16-quater la disciplina del sistema della formazione continua degli operatori della sanità vede interagire lo Stato e le Regioni, ma non attribuisce direttamente alle ASL alcuna autonoma titolarità, autoreferenziale, in ordine alla promozione di iniziative idonee ad essere ricomprese nella suddetta formazione, partecipando, invece le stesse, che costituiscono “strumento attraverso il quale la Regione provvede all’erogazione dei servizi sanitari nell’esercizio della competenza in materia di tutela della salute ad essa attribuita dalla Costituzione” (Corte cost., sentenze n. 104 del 2007, n. 220 del 2003), di un più articolato percorso procedimentale che coinvolge diverso titolo, una pluralità di enti e organismi.

Basti considerare che la L. n. 244 del 2007, all’art. 2, comma 357 ha stabilito che “il sistema nazionale di educazione continua in medicina (ECM) è disciplinato secondo le disposizioni di cui all’accordo stipulato in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano in data 1 agosto 2007, recante il riordino del sistema di formazione continua in medicina. In particolare, la gestione amministrativa del programma di ECM e il supporto alla Commissione nazionale per la formazione continua di cui al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 16-ter e successive modificazioni, sono trasferiti all’Agenzia per i servizi sanitari regionali, istituita dal D.Lgs. 30 giugno 1993, n. 266, art. 5 e successive modificazioni, che, a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, assume la denominazione di Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, organo tecnico-scientifico del Servizio sanitario nazionale, che svolge attività di ricerca e di supporto nei confronti del Ministro della salute, delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano”.

Peraltro, le ASL, analogamente ai possibili organizzatori e produttori di formazione ECM (quali ad es., Università, IRCCS, Ordini), devono essere accreditate (Il nuovo sistema di formazione continua in medicina, G.U., serie generale, n. 288 del 2009, S.O.) e l’accreditamento può essere revocato, in via temporanea o definitiva nel caso di mancato rispetto delle indicazioni ricevute dall’ente accreditante (Commissione, Regioni, Province).

Correttamente la Corte d’Appello di Torino ha, dunque, ritenuto impossibile configurare l’esistenza a carico di ogni singola ASL di un obbligo di predisporre e organizzare specifici e determinati corsi di aggiornamento e/o formazione per i propri medici e, correlativamente un ben definito diritto di questi di ottenere direttamente dall’ASL di appartenenza la promozione ed organizzazione di iniziative formative e/o di aggiornamento professionale. Ad avviso della Corte d’Appello, quindi, il comportamento della Asl potrebbe essere legittimamente censurato non già in quanto l’Azienda abbia omesso di predisporre la formazione, bensì solo ove abbia, senza giustificato motivo, impedito al proprio medico di aggiornarsi e, in concreto, di partecipare alle iniziative di formazione continua, situazione che la suddetta Corte d’Appello non ha rinvenuto nel caso di specie, alla luce delle risultanze di causa con statuizione sulla quale non verte il presente motivo d’impugnazione, limitata come si è detto alla sola violazione di legge con riguardo alle norme sopra richiamate.

3. Con il secondo motivo d’impugnazione è dedotta erronea e falsa applicazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 502 del 1992, artt. 16 e 16-quater, degli artt. 100, 102 e 416 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3).

Il ricorrente deduce che la Corte d’Appello, nel ritenere la carenza di legittimazione della ASL, ha sollevato d’ufficio una eccezione riservata alla parte, violando il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato.

Il motivo è accompagnato dal relativo quesito di diritto. 3.1. Il secondo motivo d’impugnazione non è fondato e deve essere rigettato. La censura non è conferente in quanto la Corte d’Appello non statuiva sulla legittimazione della Asl, ma, trattando nel merito l’appello, riteneva non rinvenibile nella specie responsabilità dell’ASL 19 di Asti in ordine alla formazione/aggiornamento del ….

La “legitimatio ad causam” attiva e passiva, consiste nella titolarità del potere e del dovere di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto in causa, mediante la deduzione di fatti in astratto idonei a fondare il diritto azionato, secondo la prospettazione dell’attore, prescindendo dall’effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa, con conseguente dovere del giudice di verificarne l’esistenza in ogni stato e grado del procedimento. Da essa va tenuta distinta la titolarità della situazione giuridica sostanziale, attiva e passiva, per la quale non è consentito alcun esame d’ufficio, poiché la contestazione della titolarità del rapporto controverso si configura come una questione che attiene al merito della lite e rientra nel potere dispositivo e nell’onere deduttivo e probatorio della parte interessata. Fondandosi, quindi, la legittimazione ad agire o a contraddire, quale condizione all’azione, sulla mera allegazione fatta in domanda, una concreta ed autonoma questione intorno ad essa si delinea solo quando l’attore faccia valere un diritto altrui, prospettandolo come proprio, ovvero pretenda di ottenere una pronunzia contro il convenuto pur deducendone la relativa estraneità al rapporto sostanziale controverso (Cass., sentenza n. 14468 del 2008).

4. Pertanto, il ricorso deve essere rigettato.

5. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro duemila per onorario, Euro 30,00 per esborsi, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 19 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2011