Un Consiglio dell’Ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri ha applicato a un proprio iscritto la sanzione disciplinare della sospensione di un mese dall’esercizio della professione, per pubblicità scorretta. Si è addebitata al sanitario l’esposizione mediante targa, e l’inserimento nelle Pagine Gialle, di un testo, concernente la propria qualificazione professionale, diverso da quello autorizzato dall’Ordine, essendo stato pubblicizzato un testo in cui la specificazione “estetica” seguiva a medicina e chirurgia, nonostante la specificazione fosse stata espunta in sede di autorizzazione rilasciata dall’Ordine Professionale.

La Commissione Centrale per gli esercenti le professioni sanitarie ha rigettato il ricorso proposto dal medico il quale ha impugnato il provvedimento dinanzi alla Corte di Cassazione.

Cassazione Civile – Sez. III; Sent. n. 3706 del 09.03.2012

PROCESSO

1. Il Consiglio dell’Ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri della provincia di Bari (con decisione del 24 gennaio 2008, depositata il successivo 5 giugno) irrogava al dott. X. X. la sanzione disciplinare della sospensione di un mese dall’esercizio della professione, per pubblicità scorretta. Veniva addebitata l’esposizione mediante targa, e l’inserimento nelle Pagine Gialle, di un testo, concernente la propria qualificazione professionale, diverso da quello autorizzato dall’Ordine, essendo stato pubblicizzato un testo in cui la specificazione “estetica” seguiva a medicina e chirurgia, nonostante la specificazione fosse stata espunta in sede di autorizzazione rilasciata dall’Ordine Professionale (violazione dell’art. 53 Codice deontologico, in relazione alla L. 5 febbraio 1992, n. 175, artt. 1, 2 e 3). 2. La Commissione Centrale per gli esercenti le professioni sanitarie rigettava il ricorso proposto dal medico (decisione del 9 agosto 2010).

3. Avverso la suddetta decisione il dott: X. ricorre per cassazione, con sette motivi.

Resistono con controricorso l’Ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri della provincia di Bari e il Ministero della Salute;

quest’ultimo deduce il proprio difetto di legittimazione passiva e l’incompletezza del contraddittorio per la mancata evocazione in giudizio della Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie.

Il Procuratore della Repubblica di Bari, ritualmente intimato, non svolge difese.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Sono preliminari i profili attinenti al contraddittorio, eccepiti dal Ministero della salute; entrambi privi di fondamento. 1.1. È pacifico nella giurisprudenza di legittimità (da ultimo Cass. 27 maggio 2011, n. 11755) che la Commissione Centrale non è contraddittore nel giudizio di cassazione, trattandosi del giudice speciale la cui decisione è impugnata.

1.2. Quanto al Ministero della salute, è consolidato il principio, secondo cui “In tema di professioni sanitarie, venute meno, L. 13 marzo 1958, n. 296, ex art. 6, le competenze del prefetto (in materia di sanità pubblica), trasferiti alle Regioni gli uffici dei medici e dei veterinari provinciali ed affermata la competenza dello Stato relativamente agli ordini e collegi professionali, il Ministro della sanità (e non più il Prefetto o il medico provinciale) è legittimo contraddittore – insieme con il Procuratore della Repubblica e l’Ordine professionale – sia nel giudizio avente ad oggetto un ricorso contro decisione della Commissione Centrale per gli esercenti le professioni sanitarie, in materia di iscrizione all’albo o di sanzioni disciplinari, sia nella precedente fase giurisdizionale davanti a tale Commissione, a seguito d’impugnazione del provvedimento amministrativo adottato dall’ordine locale” (da ultimo, Cass. 27 maggio 2011, n. 11755; Cass. 20 luglio 2011, n. 15889). 2. La decisione impugnata si fonda sulle argomentazioni essenziali che seguono.

a) L’azione disciplinare non è prescritta, atteso che, rispetto a fatti verificatesi tra il 2002/2003, l’audizione preliminare si è tenuta nell’aprile 2003 e il procedimento è iniziato il 10 marzo 2004, così interrompendo il termine di prescrizione. b) Il cambiamento dei relatori nell’ambito delle sedute istruttorie e preparatorie di quella finale non ha inciso sul principio della immodificabilità dell’organo, essendo rimasta immutata la composizione nella seduta del 24 gennaio 2008, in cui è stata assunta la decisione.

c) Nè, per effetto di tali cambiamenti, sono cambiati i fatti contestati.

d) Nè risulta leso il diritto di difesa, che si è esplicato in molteplici atti (elencati).

e) Nel merito, la decisione disciplinare si fonda su una coerente valutazione dei fatti.

Non risultano giustificate le difese dell’incolpato (l’essere la targa esposta all’interno della proprietà e all’esterno dello studio).

L’ordine aveva espunto il termine “estetica”, mancando il titolo di specializzazione e avendo il medico addotto solo un “diploma attestato” conseguito presso un ospedale.

Quanto esposto e inserito non è conforme a quanto autorizzato. Nessun pregio ha la circostanza che, in sede di rilascio dell’autorizzazione, la richiesta sia stata sovrascritta con la cancellazione del termine “estetica”.

Il silenzio-assenso non è previsto; l’Ordine ha potere di modifica, essendo titolare del potere di verificare la rispondenza dei titoli vantati a quelli posseduti.

3. Con il primo motivo, si deduce la violazione del D.P.R. n. 221 del 1950, art. 51, sostenendo l’intervenuta prescrizione dell’azione disciplinare, per essere decorsi più di cinque anni dalla data dell’interruzione, (aprile 2003), avvenuta con la convocazione del medico dinanzi al Presidente D.P.R. n. 221 del 1950, ex art. 39, alla data del deposito della decisione del Consiglio dell’ordine (giugno 2008), non rilevando – sulla base delle giurisprudenza di legittimità – la data (gennaio 2008) in cui la decisione era stata assunta.

3.1. Il motivo va rigettato.

La decisione impugnata è conforme a diritto perché l’azione non si è prescritta.

Dato che la decisione impugnata fa generico riferimento a due termini di interruzione la convocazione del medico dinanzi al Presidente del D.P.R. n. 221 del 1950, ex art. 39 (aprile 2003) e l’apertura del procedimento disciplinare (marzo 2004), è opportuno integrare la motivazione, ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ.. I cinque anni previsti per la prescrizione dell’azione disciplinare non sono decorsi perché la decisione dell’Ordine locale – considerando la data del deposito della stessa (5 giugno 2008), in conformità all’indirizzo seguito dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 20 luglio 2004. n. 13427), cui si intende dare continuità – è intervenuta tempestivamente nel nuovo termine quinquennale, decorrente dalla data della delibera del Consiglio, (10 marzo 2004), di apertura del procedimento disciplinare, il quale a sua volta aveva interrotto, con effetti istantanei, il periodo originario decorrente dal fatto (2002).

Costituisce principio pacifico, nella giurisprudenza di legittimità, quello secondo cui, in base a quanto disposto dal D.P.R. 5 aprile 1950, n. 221, art. 51, il procedimento disciplinare nei confronti di chi eserciti una professione sanitaria deve concludersi, a pena di prescrizione dell’azione disciplinare, nell’arco di cinque anni a decorrere dall’esercizio della azione disciplinare in sede amministrativa; promozione che interrompe, con effetto istantaneo, ai sensi dell’art. 2945 c.c., comma 1, il decorso dei termine quinquennale di prescrizione, determinando l’inizio di un nuovo periodo di prescrizione (da ultimo Cass. 20 luglio 2004. n. 13427). L’azione disciplinare è esercitata con la delibera del Consiglio di apertura del procedimento disciplinare; mentre, la convocazione (audizione), ai sensi dello stesso art. 39 cit., del medico dinanzi al Presidente, posta a garanzia del professionista, è ancora preliminare all’apertura del procedimento, essendo volta alla acquisizione-verifica degli elementi informativi per addivenire alla decisione di sottoporre al Consiglio la proposta di esercizio dell’azione disciplinare (sulla funzione della convocazione, nell’ambito della analisi tra convocazione e relazione del presidente nel procedimento previsto per gli odontoiatri, Cass. 27 settembre 1999, n. 10698). Nè può ritenersi che la convocazione, al pari della delibera di apertura del procedimento, sia idoneo atto interruttivo, capace di determinare gli stessi effetti interruttivi ad effetto istantaneo. Questa possibilità è esclusa dalle stesse argomentazioni che, secondo un principio oramai consolidato, hanno indotto la Corte a ritenere applicabile, net procedimento amministrativo di applicazione della sanzione nel settore delle libere professioni, la regola dell’effetto interruttivo istantaneo (art. 2943 c.c. e art. 2945 c.c., comma 1) e non quella dell’effetto interruttivo permanente (art. 2945 c.c., comma 2). Tale conclusione è stata fondata (cfr in motivazione, Cass. 22 maggio 1995, n. 5603) sulla considerazione che la previsione di un termine di prescrizione che delimita nel tempo l’inizio dell’azione disciplinare vale ad assicurare il rispetto dell’esigenza che il tempo per l’applicazione della sanzione non sia protratto in modo indefinito. Esigenza che resterebbe frustrata se si riconoscesse capacità interruttiva alla convocazione, accanto all’atto che costituisce inizio dell’azione disciplinare.

4. Con il settimo motivo, logicamente preliminare, si deduce l’erronea applicazione della L. 5 febbraio 1992, n. 175, contenente una disciplina restrittiva della pubblicità basata sul nulla-osta dell’ordine e sull’autorizzazione comunale, essendo la stessa stata abrogata dal D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, in L. 4 agosto 2006, n. 248, che ha liberalizzato la materia.

4.1. Il motivo, con il quale si invoca il principio della legge più favorevole rispetto all’illecito disciplinare, va rigettato. Costituisce indirizzo consolidato nella giurisprudenza della Corte, condiviso dal Collegio, quello secondo cui il principio di retroattività della legge più favorevole, di cui all’art. 2 cod. pen., commi 2 e 3, non può essere applicato rispetto agli illeciti disciplinari, salva l’ipotesi di espressa previsione, atteso che le sanzioni disciplinari, sebbene applicate da un organo titolare di poteri giurisdizionali, costituiscono pur sempre sanzioni amministrative, alle quali non sono automaticamente riferibili i principi propri delle sanzioni penali, con la conseguenza che queste restano soggette, in via generale, al principio di legalità e di irretroattività, che comporta l’assoggettamento della condotta considerata alla legge del tempo del suo verificarsi. (Cass. 18 marzo 2008, n. 7274; Sez. Un. 20 ottobre 2006, n. 22510).

Peraltro, nel ricorso è impropriamente richiamata la decisione di questa Corte (Cass. 20 dicembre 2007, n. 26961), dove è solo auspicata la rimeditazione di tale principio.

5. Con il secondo motivo, si deduce violazione del D.P.R. n. 221 del 1950, art. 39, nonché omessa e illogica motivazione in riferimento al mutamento, del collegio giudicante, del relatore e delle contestazioni mosse nell’ambito del procedimento amministrativo svolto dinanzi al collegio locale.

Inoltre, si censura la decisione impugnata per non aver motivato sull’eccepito difetto di nomina del giudice relatore, da parte della Commissione e non del Presidente.

5.1. Per questo ultimo profilo il motivo difetta di autosufficienza, non risultando in ricorso quando e come tale eccezione sia stata sollevata, con conseguente inammissibilità.

5.2. Il punto centrale della censura concerne l’illogica motivazione, in ordine alla, pur riconosciuta, sostituzione del relatore nel corso del procedimento irrogativo della sanzione, con conseguente violazione del principio di immutabilità, volto a impedire modifiche strumentali con compromissioni del diritto di difesa; principio operante proprio in caso di sedute che si succedono e, invece, difficilmente ipotizzabile in riferimento ad una stessa seduta (rispetto alla quale la decisione impugnata ha ritenuto la non sussistenza della violazione).

Tale profilo è inammissibile per mancanza di specificità, ai fini della valutazione dell’interesse a ricorrere. Infatti, la strumentante delle sostituzioni – peraltro pacifiche nel lungo periodo di tempo in cui si è svolto il procedimento disciplinare -, il mutamento delle contestazioni e, in definitiva, l’incidenza di tale avvicendamene sul diritto di difesa rimangono solo generiche nell’esplicazione del motivo.

 

6. Il terzo e quarto motivo sono strettamente collegati. Si deduce violazione di legge (del D.P.R. n. 221 del 1950, artt. 45 e 46 (e dell’art. 49, non propriamente conferente), unitamente a omessa motivazione; ma, sostanzialmente, si deduce omessa pronuncia della Commissione Centrale in riferimento a diversi pretesi vizi procedurali della fase dinanzi all’Ordine locale, tra i quali quelli di difformità tra appunti e verbale dattiloscritto della decisione.

6.1. I motivi, con i quali si deduce come vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) una violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., e, quindi un error in procedendo, sono inammissibili sulla base della consolidata giurisprudenza di legittimità (Cass. 23 febbraio 2009, n. 4329, Cass. del 17 gennaio 2003, n. 604).

Comunque, sono prive di effettiva incidenza sul diritto di difesa: le generiche supposizioni in ordine alla data (successiva alla decisione) in cui sarebbero stati redatti gli appunti; le deduzioni relative alla circostanza che il relatore non avrebbe “proposto” ma avrebbe “deciso”, basate su aspetti nominalistici; il riferimento all’art. 54 Codice Deontologico, atteso che la decisione amministrativa e quella giurisdizionale si fondano solo sulla violazione della L. n. 175 del 1992 e dell’art. 53 norme deontologiche.

7. I motivi quinto e sesto riguardano il merito della decisione, deducendosi vizi di motivazione e contraddittorietà: per non aver dato rilievo alla manipolazione della richiesta, effettuata dall’ordine, neanche sotto il profilo della scusabilità dell’errore per il richiedente; per non aver considerato, anche sotto il profilo della proporzionalità, che non esiste la specializzazione di medicina estetica e che la stessa è esercitabile sulla base di diplomi e attestati.

7.1. I motivi sono inammissibili per difetto di autosufficienza rispetto alla novità dei profili. Dalla decisione impugnata, infatti, non risulta che tali profili (la scusabilità dell’errore del medico rispetto al nulla osta rilasciato e la proporzionalità della sanzione inflitta) siano stati oggetto del ricorso alla Commissione Centrale e il ricorrente non da conto della loro tempestiva deduzione.

Nè rileva, il mancato rilievo nella decisione impugnata della circostanza che non esiste nell’ordinamento una specializzazione di medicina estetica, rilevando preliminarmente, come messo in evidenza dalla Commissione Centrale, la non conformità della pubblicità alla autorizzazione.

8. In conclusione, il ricorso va rigettato.

Quanto alle spese processuali, non avendo i Procuratore della Repubblica locale svolto attività difensiva, non sussistono le condizioni per la pronuncia. Rispetto alle parti che si sono difese, sussistono giusti motivi per la compensazione integrale delle spese del presente processo: in ragione del rigetto del difetto di legittimazione passiva, eccepito nonostante la giurisprudenza consolidata in senso contrario, nei confronti del Ministero della salute; nei confronti dell’Ordine della Provincia di Bari, in ragione della complessità del procedimento, per come si è svolto nella fase amministrativa, che ha oggettivamente favorito l’aspettativa di un esito diverso della causa.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE

rigetta il ricorso; compensa integralmente le spese processuali del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2012.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2012