Un medico ha impugnato il licenziamento intimatogli da una Casa di Cura privata per la sussistenza di una causa di incompatibilità relativa alla coesistenza di altro rapporto di lavoro, intrattenuto con la ASL in qualità di medico del Servizio di Continuità Assistenziale. Il Tribunale ha accolto la domanda ed ha condannato il datore di lavoro a reintegrare il lavoratore ed a risarcire il danno.

Il sanitario ha proposto appello parziale avverso la decisione del giudice di primo grado al fine di ottenere una rideterminazione del risarcimento, commisurato alla retribuzione spettante dal giorno del licenziamento a quello della effettiva reintegra. La Corte d’Appello ha parzialmente accolto la domanda, rideterminando l’importo del danno; tale pronuncia è stata impugnata dal ricorrente davanti alla Corte di Cassazione.

Cassazione Civile – Sez.  Lav.; Sent. n. 14532 del 16.08.2012

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza del 22/5/08 il giudice del lavoro del Tribunale di Avellino accolse per quanto di ragione la domanda proposta il 14/6/04 da S.A. nei confronti della Casa di Cura Privata “X.  dei X. ” spa diretta all’annullamento del licenziamento intimatogli l’1/3/04, previa riunione con altro procedimento promosso dal medesimo ricorrente per l’annullamento dello stesso licenziamento sulla scorta di un motivo aggiuntivo di censura, e, per l’effetto, annullò l’atto impugnato ed ordinò alla resistente di reintegrare il lavoratore nel medesimo posto di lavoro di medico chirurgo, condannandola al risarcimento del danno nella misura di un’indennità pari a sei mensilità della retribuzione globale di fatto, oltre che agli accessori di legge ed alle spese di causa.

Il primo giudice pervenne all’accertamento della illegittimità del licenziamento dopo aver appurato che non sussisteva nella fattispecie la causa di incompatibilità lavorativa posta dalla resistente a fondamento del provvedimento risolutorio irrogato al S., nel senso che la coesistenza, in capo a quest’ultimo, del rapporto di lavoro privato con la Casa di cura convenuta con quello pubblico intrattenuto presso la ASL AV X.  rilevava esclusivamente nell’ambito del rapporto di pubblico impiego e non costituiva, pertanto, violazione della disposizione di cui all’art. 11, lett. K, del CCNL del personale medico del 14/7/99 che sanzionava col licenziamento l’omessa comunicazione della situazione di incompatibilità prevista dalla normativa vigente.

2. Avverso tale sentenza ha proposto appello parziale il S., con ricorso depositato il 22/10/08, col quale si è lamentato della limitazione del risarcimento del danno a sole sei mensilità della sua retribuzione globale di fatto, deducendo che ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, il risarcimento avrebbe dovuto, invece, essere commisurato alla retribuzione spettantegli dal giorno del licenziamento a quello della effettiva reintegra. Inoltre, l’appellante si è lamentato del fatto che il primo giudice, pur dichiarando correttamente la illegittimità del licenziamento, aveva, però, disatteso sia la specifica eccezione di nullità dello stesso atto di risoluzione per omessa affissione del codice disciplinare, sia l’eccezione sulla tardività della contestazione disciplinare;

infine, il S. ha censurato la statuizione del primo giudice sia in ordine alla ritenuta dimostrazione dello svolgimento, da parte sua, dell’attività di medico del Servizio di continuità assistenziale in favore della ASL AV X.  dall’1/7/02 al 16/9/03, sia con riferimento alla ritenuta dimostrazione della sottoscrizione, da parte di esso appellante, della comunicazione, alla convenuta, della propria compatibilità all’esercizio delle funzioni di medico presso la Casa di cura privata.

Tanto esposto, l’appellante ha chiesto la riforma del solo capo c) della sentenza, cioè quello inerente la misura del risarcimento del danno, per cui ha insistito per la condanna della Casa di cura appellata al pagamento delle retribuzioni dalla data del licenziamento a quella della effettiva reintegra ovvero al risarcimento del danno nella misura dell’indennità pari alle retribuzioni maturate dal momento del licenziamento alla reintegra, sulla base dell’ultima retribuzione globale di fatto di Euro 2143,00, al netto delle ritenute fiscali e previdenziali, oltre accessori di legge e versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali, il tutto col favore delle spese.

Nel costituirsi in giudizio l’appellata ha dedotto l’infondatezza del gravame facendo, nel contempo, notare che a fronte dell’invito rivolto al S. di riprendere il servizio per il giorno 1/9/08, in ossequio alla sentenza di reintegra, quest’ultimo aveva, invece, esercitato l’opzione di cui alla L. n. 108 del 1990 al fine di vedersi corrispondere quindici mensilità in luogo della riassunzione, ma che una volta determinato il relativo importo in Euro 53.063,00 al netto delle ritenute di legge comprensivo del risarcimento stabilito dal giudice del lavoro e dell’indennità di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18 ed una volta invitatolo a fornire le sue coordinate bancarie o ad indicare modalità alternative di pagamento, il medesimo appellante non aveva dato alcun riscontro a tali offerte, per cui si rivelava del tutto ingiustificata la sua richiesta di ottenere la condanna al pagamento delle retribuzioni dalla data del licenziamento fino a quella della effettiva reintegra.

Inoltre, l’appellata ha eccepito la carenza di interesse della controparte in ordine alle censure inerenti il mancato accoglimento della richiesta di accertamento della illegittimità del recesso per omessa affissione del codice disciplinare e per tardività della contestazione disciplinare, per cui si è opposta all’accoglimento dell’impugnazione.

3. La Corte d’appello di Napoli con sentenza del 20 ottobre 2009 – 4 dicembre 2009, in parziale riforma dell’impugnata sentenza, che per il resto confermava, condannava l’appellata al risarcimento del danno in favore dell’appellante nella misura corrispondente alle retribuzioni globali di fatto dal medesimo percepite dal giorno del suo licenziamento fino al 31/8/2008, anzichè nella misura di sole sei mensilità.

Compensava per metà le spese del grado e condannava l’appellata al pagamento in favore dell’appellante della residua metà.

4. Avverso questa pronuncia ricorre per cassazione l’originario ricorrente con un unico motivo.

Resiste con controricorso la parte intimata che ha proposto anche ricorso incidentale con due motivi.

A quest’ultimo resiste ricorrente principale con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso principale è articolato in un unico motivo con cui il ricorrente censura la sentenza impugnata per aver erroneamente ritenuto che la decorrenza del risarcimento del danno pari alle retribuzioni non corrisposte, a seguito dell’illegittimo licenziamento, fosse interrotta dall’invito della società a riprendere servizio e non invece dall’effettivo pagamento dell’indennità di 15 mensilità relativa all’opzione sostitutiva della reintegrazione.

2. Il ricorso incidentale è articolato in due motivi.

La società censura la sentenza impugnata per aver affermato che non risultava assolta dalla parte datoriale l’onere di provare che il ricorrente avesse trovato una nuova occupazione.

Ha richiamato in particolare la giurisprudenza di questa corte secondo cui il giudice, al fine di decidere sulla quantificazione del danno, può d’ufficio, anche nel silenzio della parte interessata, tener conto di tutte le circostanze utili alla quantificazione del danno lamentato dalla lavoratore illegittimamente licenziato.

3. I giudizi promossi con ricorso principale e con quello incidentale vanno riuniti avendo ad oggetto la stessa sentenza impugnata.

4. Il ricorso principale è inammissibile.

4.1. Sussiste infatti un’insanabile contraddizione tra le conclusioni del ricorso e le argomentazioni poste a fondamento dell’unico motivo.

Infatti nelle conclusioni il ricorrente chiede che questa Corte cassi parzialmente la sentenza impugnata e, evidentemente pronunciando nel merito, condanni la società resistente al risarcimento del danno in favore del dottor S. nella misura corrispondente alle retribuzioni globali di fatto dal medesimo percepite dal giorno del suo licenziamento fino al 31 agosto 2008, anzichè nella misura di sole sei mensilità.

Nel motivo di ricorso la società ricorrente sostiene invece che la corte d’appello ha erroneamente ritenuto che la decorrenza del risarcimento del danno pari alle retribuzioni non corrisposte fosse interrotta dall’invito della società a riprendere servizio e che quindi dies ad quem fosse il 31 agosto 2008.

4.2. Nella specie la Corte d’appello, in parziale accoglimento dell’appello dell’attuale ricorrente, ha riformato la pronuncia di primo grado nella parte in cui quest’ultima aveva limitato in sei mensilità il risarcimento del danno in favore del medico ricorrente e a carico della casa di cura datrice di lavoro, pacifico essendo in causa che quest’ultima assegnò termine fino al 1 settembre 2008 per la ripresa del servizio; ciò che non avvenne perchè il medico, con lettera del 19 agosto 2008, dichiarò di voler esercitare l’opzione di cui alla L. n. 108 del 1990 chiedendo la corresponsione dell’indennità di 15 mensilità di retribuzione, somma poi liquidata e offerta dalla casa di cura.

Si dibatte quindi del risarcimento del danno tra la data del licenziamento e quella dell’invito alla ripresa della prestazione lavorativa (secondo l’affermazione della sentenza impugnata) ovvero fino al pagamento dell’indennità sostitutiva della reintegrazione (secondo il primo motivo del ricorso).

4.3. Sul punto in vero sussiste contrasto di giurisprudenza.

Da una parte questa corte (Cass. civ., sez. lav., 16 marzo 2009, n. 6342) ha affermato che in caso di opzione per l’indennità sostitutiva della reintegrazione L. 20 maggio 1970, n. 300, ex art. 18, comma 5, il momento di effettiva cessazione del rapporto coincide non già con la semplice dichiarazione di opzione del lavoratore, ma solo con il pagamento della stessa; conseguentemente il risarcimento del danno complessivamente dovuto al lavoratore va commisurato alle retribuzioni che sarebbero maturate fino al giorno dell’adempimento dell’obbligazione alternativa alla reintegrazione.

Però in senso contrario si è pronunciata Cass. civ., sez. lav., 17 febbraio 2009, n. 3775, che ha affermato che in ipotesi di accertamento dell’illegittimità del licenziamento, laddove il lavoratore chieda, in alternativa alla reintegrazione, l’indennità sostitutiva ai sensi della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, comma 5, si determina, in ragione della natura negoziale della dichiarazione di volontà, di per sè irreversibile, la cessazione del rapporto, senza che possano incidere su tale effetto il successivo comportamento delle parti, che non dia luogo a convergente dissenso, o una successiva pronuncia giudiziale che, senza costituire giudicato, neghi l’illegittimità del licenziamento; a seguito della predetta manifestazione di volontà resta non configurabile un danno per la mancata protrazione dello stesso rapporto lavorativo.

4.4. Non occorre però prendere partito in ordine a tale contrasto di giurisprudenza perchè – come già rilevato – vi è una contraddittorietà intrinseca ed insanabile tra le conclusioni del ricorso e le argomentazioni a fondamento del motivo del ricorso.

Queste ultime sono indirizzate a spostare in avanti il dies ad quem delle retribuzioni dovute dalla società al ricorrente in ragione dell’illegittimità dei licenziamento rispetto alla data fissata dalla corte d’appello (31 agosto 2008). Invece nelle conclusioni del ricorso si richiede la fissazione proprio di tale data come dies ad quem delle retribuzioni dovute fino all’operatività del opzione in favore dell’indennità sostitutiva della reintegrazione; termine questo già riconosciuto dalla corte d’appello in accoglimento parziale dell’appello proposto dall’odierno ricorrente.

5. Il ricorso incidentale va poi rigettato non avendo la società convenuta in primo grado nulla provato in ordine all’aliunde perceptum. Nè nei motivi di ricorso vengono indicati gli elementi di fatto in ipotesi trascurati dalla corte d’appello.

6. In conclusione il ricorso principale va dichiarato inammissibile e quello incidentale va rigettato.

La reciproca soccombenza consente di compensare tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; dichiara inammissibile il ricorso principale e il rigetto del ricorso incidentale; compensa tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 13 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 16 agosto 2012