Nell’ambito dei maltrattamenti sui luoghi di lavoro si sente spesso parlare di mobbing. Tuttavia un datore di lavoro che causa lesioni personali al collaboratore può essere condannato anche se non sussiste un caso di mobbing.

Una recente sentenza della Cassazione ha infatti accusato i superiori di un’azienda per aver emarginato un proprio collaboratore, che in poco tempo si è visto passare da un incarico di responsabilità all’emarginazione, sia nelle mansioni, sia nella disposizione logistica (era stato confinato in uno sgabuzzino). In questo caso i giudici non hanno fatto riferimento alla fattispecie del mobbing, che, costruita nella giurisprudenza tramite il rinvio alla norma che punisce i maltrattamenti in famiglia (art. 572 del codice Penale), ricorre per definizione nei piccoli contesti lavorativi. Nel caso di specie, che vedeva imputata una grande azienda, il reato si configurava invece all’interno di un’ipotesi di straining, che consiste in una forma di persecuzione all’interno nell’ambiente lavorativo del soggetto, il quale si ritrova in condizioni di persistente inferiorità. Il dipendente era stato vittima di trattamenti degradanti e dequalificato nelle mansioni con spiacevoli conseguenze sulla propria salute, al punto da ricevere diagnosi di un disturbo dell’adattamento.

In conclusione, nell’ambito di maltrattamenti subiti sul luogo di lavoro, una volta escluso il reato di mobbing ex art. 572, si configura il reato di lesioni personali volontarie, oltre all’obbligo al risarcimento del danno da parte del datore di lavoro.