Il comportamento del danneggiato, incapace di intendere e di volere, concorrente nella produzione dell’evento dannoso, può integrare il fatto colposo del danneggiato-creditore, previsto dall’art. 1227 c.c., comma 1, applicabile in tema di responsabilità extracontrattuale. Quindi, il fatto del minore danneggiato che con il suo comportamento abbia contribuito alla produzione del danno è valutabile dal giudice al fine di stabilire il concorso delle colpe e la loro compensazione, con la conseguente riduzione proporzionale del danno da risarcire.

Nel corso della terapia ortodontica, nel caso in cui l’odontoiatra si trovi in presenza di un paziente non collaborativo nell’igiene orale, e sia pienamente consapevole che lo stesso non tiene conto delle sue ripetute raccomandazioni, deve provvedere alla rimozione dell’apparecchio, se non proprio dal momento in cui riscontra i primi sintomi iniziali di una patologia cariosa, quantomeno da quando ha modo di verificare un significativo aggravamento del quadro clinico e l’assenza di qualunque terapia in corso, nonché la persistente scarsa igiene orale.

In assenza di tale intervento di rimozione, accertato il nesso causale fra l’omissione del sanitario e la grave patologia cariosa riscontrata al paziente, quest’ultimo ha diritto al risarcimento dei danni patrimoniali e biologici subiti, con la riduzione proporzionale in funzione del concorso colposo dello stesso nella loro produzione.

Tribunale di Trento, udienza del 04/02/2015 N. 125

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO di TRENTO – SEZIONE CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Giuseppe Barbato ha emesso la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 2905/2012 promossa da:

E.O.B., in persona del procuratore speciale E.H.F., residente in C., via (omissis…) rappresentata e difesa degli avv.ti L.S. e G.N.

ATTRICE

contro

L.A., con studio professionale in Vezzano, via (omissis…) rappresentato e difeso dall’avv. M.R.

CONVENUTO

OGGETTO: risarcimento danni

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO e MOTIVI DELLA DECISIONE

La minore E.O.B., in persona del procuratore speciale F.E.H., ha agito in giudizio per conseguire sia il risarcimento dei danni (patrimoniale e non) subiti a seguito della cura ortodontica effettuata presso lo studio dentistico del dr. A.L. tra il settembre 2004 e l’ottobre 2010, sia il rimborso delle spese di C.T.U. e ctp sostenute nel corso del procedimento di accertamento tecnico preventivo espletato ante causam.

A sostegno dell’azionata pretesa pecuniaria nell’atto introduttivo del giudizio si rappresentava, fra l’altro, che:

– nell’ottobre 2010, all’atto della rimozione dell’apparecchio fisso, quasi tutti i denti della minore avevano presentato estese lesioni cariose, con interessamento pulpare;

– all’esito di una successiva visita medico legale si era accertato che le riscontrate lesioni erano imputabili a una ritardata diagnosi delle carie, alla mancata rimozione dell’apparecchio ortodontico e a un’inadeguata igiene orale;

– il consulente tecnico di parte aveva, quindi, quantificato il danno biologico permanente in misura del 10 %, stimando in giorni 60 il periodo di inabilità temporanea;

– il Ctu nominato in sede di a.t.p. aveva rilevato un quadro di avanzato decadimento della salute dentale della minore; quantificato l’entità della spesa medica occorrente per ovviare alle evidenziate problematiche nella somma di € 19.800,00, il danno biologico permanente derivante dall’indebolimento del sistema stomatognatico nel 4-5 % e il periodo di inabilità temporanea parziale in 30 giorni; ravvisato una responsabilità medica del dr. L. e una concorrente responsabilità dei genitori della minore per non aver gli stessi vigilato sull’esecuzione, da parte della figlia, di una corretta igiene orale.

Costituitosi in giudizio L.A. contestava la domanda di controparte chiedendone in via principale l’integrale rigetto; in subordine chiedeva, previo accertamento della concorrente responsabilità della minore, dei di lei genitori e dei medici dell’APSS, di limitare un’eventuale condanna al pagamento della sola quota di danni a lui ascrivibile.

In particolare, il convenuto assumeva che:

– la minore si era dimostrata restia ad attenersi alle sue istruzioni di prevenzione e igiene orale;

– i genitori della minore erano stati da lui ripetutamente sollecitati a verificare il mantenimento di un adeguato livello di igiene orale da parte della figlia;

– ogni estate la paziente si era recata nel proprio paese di origine, sospendendo quindi le visite per circa tre mesi;

– nel settembre 2009, al primo riscontro di iniziali lesioni da decalcificazione, aveva fatto presente alla madre della minore che occorreva avviare idonea terapia per arginare il rischio di insorgenza di carie;

– la madre, non essendo esso convenuto convenzionato con la Provincia di Trento in relazione alle dette cure, non lo aveva autorizzato a eseguirle;

– non vi erano state le condizioni per procedere alla rimozione dell’apparecchio sia per la contestuale eruzione dei secondi molari (superiori e inferiori), sia per evitare ai genitori della paziente la perdita del contributo provinciale ottenibile soltanto con il documentato completamento della terapia ortodontica;

– nel giugno 2010 aveva consegnato alla madre della paziente una lettera ove aveva ribadito la presenza di lesioni carióse e la conseguente necessità di rivolgersi a un medico per l’esecuzione di idonea terapia conservativa;

– nell’ottobre 2010 si era provveduto alla rimozione dell’apparecchio ortodontico e alla riconsegna dello stesso, con la relativa documentazione clinica, alla madre della minore.

La domanda di parte attrice è fondata nei termini di seguito precisati e va, pertanto, accolta per quanto di ragione.

Stando alla prospettazione svolta in ricorso, il professionista convenuto, pur avendo riscontrato la presenza di lesioni cariose a carico dell’apparato dentario della minore, non adottò “alcun metodo di prevenzione e cura specifico”, omettendo in particolare di procedere alla tempestiva rimozione dell’apparecchio ortodontico, il che avrebbe casuato, in tesi, un grave danno alla ragazza.

Nel caso di specie si tratta, quindi, innanzi tutto di individuare le condotte che il L. avrebbe dovuto tenere in relazione alle condizioni della sua giovane paziente e poi di stabilire se le condotte doverose da lui eventualmente omesse, ove poste in essere con tempestività e correttezza, avrebbero consentito di evitare i lamentati danni.

In ordine a tali questioni occorre fare riferimento alle conclusioni rassegnate dai Ctu dr. F.C. e dr. A. T., nominati nel corso del procedimento di a.t.p. espletato prima del presente giudizio.

Premesso, fra l’altro, che dal 2004 la minore E.O.B. si era sottoposta presso lo studio del dr. L. a un trattamento ortodontico per la correzione di una malocclusione; che gli apparecchi ortodontici, oltre a trattenere residui alimentari, rendono disagevole le manovre di igiene orale, con ciò favorendo la formazione di placca batterica, che costituisce “il principale fattore cariogeno ambientale”; che “la progressione delle lesioni cariose è più rapida nei pazienti portatori di apparecchi ortodontici fissi”; che pertanto al paziente portatore di tali dispositivi va raccomandata la cura dell’igiene orale, i due C.T.U. hanno fatto presente che, ove nel corso di una terapia ortodontica riscontri la presenza di lesioni demineralizzanti in paziente scarsamente collaborativo nell’igiene orale, il medico curante, “oltre ad un rinforzo della motivazione, dovrebbe prevedere la correzione di abitudini alimentari non corrette…e l’uso di vernici e colluttori al fluoro ed antibatterici nel tentativo di prevenire l’evoluzione di dette lesioni iniziali verso forme cavitarie franche” (v. pag. 21 della relazione), per poi aggiungere che in caso di accertata presenza di lesioni carióse, occorre procedere a “un restauro conservativo precocemente allo scopo di limitare l’estensione dell’infiltrazione dentale e quindi della sostanza dentale da rimuovere per l’esecuzione di un restauro conservativo” e che “in quest’ottica la rimozione del dispositivo ortodontico risulta essere misura estrema, se pure indicata, in caso di refrattarietà da parte del paziente ad attenersi alle indicazioni ricevute…” (v. pag. 21 della relazione).

Nell’allegata relazione peritale si è quindi “censurato come negligente ed imprudente” l’operato del convenuto, “non avendo, il professionista in questione saputo intercettare adeguatamente il grave quadro di compromissione dentale che ha interessato in modo progressivo ed incontrollato la dentizione della paziente durante l’espletamento delle procedure ortodontiche” (v. pag. 22), precisandosi poi sul punto che la responsabilità del L. “vada sostanzialmente limitata ad una imprudente e negligente fase di vigilanza sull’andamento di una patologia odontoiatrica come quale quella cariosa… e ad una ritardata interruzione della terapia ortodontica” (v. pag. 35), che “l’insorgenza e la progressione della patologia cariosa non poteva e non doveva sfuggire all’attenzione del professionista” (v. pag. 43) e che la riscontrata situazione di decadimento della salute dentale “avrebbe richiesto…l’interruzione della terapia ortodontica stessa una volta constatata la negligenza da parte della paziente a sottoporsi ai sollecitati trattamenti di natura conservativa e di prevenzione” (v. pag. 43).

Il primo dei due addebiti contestati al convenuto, ossia quello di non aver tempestivamente riscontrato la comparsa di una patologia cariosa, non può ritenersi fondato alla luce del testimoniale assunto in corso in causa.

Dalle deposizioni rese dai testi L.M. (fratello e, quale odontoiatra, collaboratore del convenuto) e S.L., assistente alla poltrona negli studi dentistici di L.A., si evince (i) che nel settembre 2009 vennero riscontrate le prime decalcificazioni nell’apparato dentale della minore, ossia i primi sintomi di una lesione cariosa; (ii) che sin da allora il convenuto evidenziò ai genitori della minore la necessità di procedere alle relative cure; (iii) che non gli fu richiesto dagli stessi di approntare la più opportuna terapia in quanto, a differenza di quella ortodontica, non era oggetto di contribuzione provinciale; (iv) che a una visita effettuata nel marzo 2010 la situazione dell’apparato dentale della minore era peggiorata, essendo all’epoca già comparse le carie; (v) che anche in quella circostanza il convenuto fece presente alla madre della ragazza la necessità di curare le riscontrate lesioni cariose.

Può poi ritenersi provato che al maggio 2010 era già evidente una “grave decalcificazione”, ciò risultando attestato nella cartella clinica dell’APSS consultata dai Ctu (v. pag. 10 dell’elaborato peritale), e che nel successivo mese di giugno la minore presentava “varie carie di V e I classe di black”, come certificato dallo stesso convenuto nell’allegata lettera del 25.6.2010 (consegnata alla madre della minore e da costei sottoscritta per accettazione; v. doc. 1 di parte convenuta), ove si legge “si consiglia nel periodo di ferie di contattare un odontoiatra per eseguire la terapia conservativa dei denti cariati”.

Tenuto conto che, come precisato dai Ctu, “il tempo intercorrente tra la comparsa di una white spot e l’evoluzione di una lesione cavitaria cariosa, in assenza di misure preventive, risulta essere di soli sei mesi” (v. pag. 20 della relazione) e che, quindi, è verosimile che la “grave decalcificazione” accertata nel maggio 2010 abbia avuto inizio negli ultimi mesi dell’anno precedente, può ritenersi che il L. se ne sia avveduto per tempo allorché nel settembre 2009 segnalò la presenza dei primi sintomi di lesioni cariose ai genitori della ragazza, consigliando loro di attivarsi per le opportune cure (v. deposizione della teste S.) e che, pertanto, non sia fondato il primo addebito che gli è stato contestato dai Ctu, ossia quello di non aver “saputo intercettare adeguatamente il grave quadro di compromissione dentale che ha interessato in modo progressivo e incontrollato la dentizione della paziente”.

Diversamente dicasi con riguardo alla seconda censura mossa dai Ctu, quella relativa alla ritardata interruzione della terapia ortodontica.

In considerazione del modus procedendi che secondo i Ctu (v. pag. 20 della relazione) va adottato in caso di paziente non collaborativo nell’igiene orale, qual era sicuramente la minore E.O.B., devesi ritenere che il L., essendo pienamente consapevole che la ragazza non teneva affatto conto delle sue ripetute raccomandazioni (sul punto v. le deposizioni dei testi L., S., B.), avrebbe dovuto provvedere alla rimozione dell’apparecchio se non proprio dal settembre 2009 (quando, come detto, dopo aver riscontrato i primi sintomi iniziali di una patologia cariosa, si limitò a rappresentare ai genitori della ragazza la necessità di iniziare una cura), trattandosi pur sempre di una “misura estrema” a dire degli ausiliari, quantomeno dal successivo mese di marzo, allorché ebbe modo di verificare un significativo aggravamento del quadro clinico (secondo il teste L. nel marzo 2010 “la situazione era già decisamente peggiorata, visto che all’epoca le carie erano già evidenti”), l’assenza di qualunque terapia in corso, nonché la persistente scarsa igiene orale della paziente.

All’epoca sussistevano, dunque, quelle condizioni che, secondo i Ctu, al fine di prevenire lo sviluppo e la progressione delle lesioni dentali, imponevano la rimozione dell’apparecchio ortodontico, non apparendo ascrivibile rilievo decisivo in senso contrario né alla perdita, da parte dei genitori della ragazza, del contributo provinciale che sarebbe derivata dall’interruzione della terapia (visto che, secondo quanto precisato dai ctu, “il comportamento terapeutico risulta sempre finalizzato al mantenimento dell’integrità degli elementi dentali, che risulta sempre preminente rispetto alle finalità ortodontiche”; v. pag. 22 della relazione), né alla concomitante eruzione dei molari (in quanto i Ctu non l’hanno considerata circostanza ostativa all’attuazione della detta misura emergenziale), né al mancato consenso dei genitori (non constando che il convenuto abbia loro rappresentato la necessità di interrompere la terapia ortodontica per salvaguardare l’apparato dentale e che ciò nonostante gli stessi non l’abbiano poi autorizzato a rimuovere l’apparecchio).

Devesi poi considerare che, come evidenziato dai Ctu, gli apparecchi ortodontici, rendendo disagevoli le manovre d’igiene orale e trattenendo i residui alimentari, favoriscono la placca batterica (“principale fattore cariogeno”), la cui formazione rientra, quindi, tra i loro effetti collaterali più insidiosi, il che induce a ritenere che la detta condotta omessa, ove posta in essere sin dalla primavera 2010, avrebbe effettivamente limitato l’estensione delle lesioni dentali.

Può pertanto ritenersi provato un rapporto di causa ed effetto tra la ritardata rimozione dell’apparecchio e la grave patologia cariosa riscontrata in sede di atp dai Ctu, a dire dei quali le condizioni dell’apparato dentale della minore accertate nel corso delle operazioni peritali erano sostanzialmente corrispondenti a quelle desumibili dalla documentazione fotografica del ct di parte attrice risalente al gennaio 2011, ciò significando che l’assenza di cure tra l’epoca (ottobre 2010) dell’interruzione della terapia ortodontica e la visita dei Ctu (giugno 2011) non ha comportato un apprezzabile peggioramento della situazione.

I rilievi svolti inducono, dunque, a ritenere fondata in punto di an l’azionata pretesa risarcitoria, trovando applicazione, per quanto attiene alla ripartizione dell’onere probatorio, il principio, enunciato in termini generali per la materia contrattuale dalle sezioni unite della Suprema Corte con la sentenza n. 13533 del 2001, secondo cui il creditore che agisce per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno ovvero per l’adempimento deve fornire la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento o dell’inesattezza dell’adempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dall’onere della prova del fatto estintivo, costituito dall’avvenuto, esatto adempimento.

Nel ribadire l’esattezza di tale principio e la sua applicabilità anche nelle cause di responsabilità professionale medica, la Suprema Corte ha più volte precisato che “l’attore danneggiato ha l’onere di provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l’insorgenza (o l’aggravamento) della patologia e di allegare l’inadempimento qualificato del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, restando, invece, a carico del medico e/o della struttura sanitaria la dimostrazione che tale inadempimento non si sia verificato, ovvero che esso non sia stato causa del danno. Ne consegue che qualora, all’esito del giudizio, permanga incertezza sull’esistenza del nesso causale fra condotta del medico e danno, questa ricade sul debitore” (così, per tutte, da ultimo Cass., n. 20547/14).

Pertanto, una volta che la parte attrice ha provato sia il contratto relativo alla prestazione sanitaria (dato non controverso in questa sede), sia l’esistenza di un danno, costituito dall’insorgenza di una nuova patologia (nella fattispecie in esame le gravi lesioni cariose riscontrate dai Ctu), e allegato uno specifico inadempimento del professionista (nel caso di specie la tardiva rimozione dell’apparecchio ortodontico), grava su quest’ultimo l’onere di dimostrare di non essere incorso nel contestato inadempimento per aver eseguito a regola d’arte l’intera terapia, il che non è avvenuto nel presente giudizio.

Il L. non ha, infatti, provato che nessun rimprovero di scarsa diligenza o di imperizia può essergli mosso, né che l’inesatto adempimento contestatogli non ha avuto alcuna incidenza causale sulla produzione del danno.

Ciò precisato, va poi tenuto presente, da un lato, che, stando al testimoniale assunto in udienza, la minore era solita disattendere le istruzioni sull’igiene orale reiteratamente impartitele dal convenuto, e che del resto nel corso delle visite di controllo effettuate presso l’Azienda Sanitaria le venne ripetutamente segnalata l’insufficiente pulizia dei denti; e dall’altro che, come evidenziato dai Ctu, l’accertata grave compromissione dentale è dipesa anche dalla detta trascuratezza della minore, che ne ha anzi costituito “la causa prima”, ragion per cui può ritenersi che la paziente abbia contribuito a cagionare il danno lamentato in giudizio (il che comporta una diminuzione del risarcimento ex art. 1227, 1 co., c.c.), non rilevando in senso contrario la sua minore età.

Al riguardo giova richiamare quel consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui “il comportamento del danneggiato, incapace di intendere e di volere, concorrente nella produzione dell’evento dannoso, può integrare il fatto colposo del danneggiato-creditore, previsto dall’art. 1227 c.c., comma 1, applicabile in tema di responsabilità extracontrattuale per il richiamo contenuto nell’art. 2056 c.c.. Quindi, il fatto del minore danneggiato che con il suo comportamento abbia contribuito alla produzione del danno è valutabile dal giudice al fine di stabilire il concorso delle colpe e la loro compensazione, con la conseguente riduzione proporzionale del danno da risarcire” (così, in motivazione, Cass., n. 3242/12; nello stesso senso i precedenti ivi richiamati Cass., n. 14548/2009; Cass., n. 4332/1994).

La verificazione dei danni lamentati nell’atto introduttivo del giudizio va, dunque, imputata anche alla stessa minore, la cui persistente trascuratezza nell’igiene orale nonostante le ripetute raccomandazioni ricevute in proposito risulta connotata da un’efficienza causale prevalente rispetto a quella riferibile alla tardiva rimozione dell’apparecchio ortodontico e quantificabile in misura pari al 60 %, dunque superiore a quella indicata dai Ctu, la cui paritaria suddivisione di responsabilità tra medico e paziente non appare applicabile, essendo fondata sull’assunto, sostanzialmente contraddetto dalle acquisite deposizioni testimoniali, che il L. fosse censurabile anche per il fatto di non essersi avveduto tempestivamente della patologia cariosa.

Per quanto poi attiene alla natura e all’entità del dedotto danno non patrimoniale subito da E.O.B. (che, come statuito, fra l’altro, da Cass., sez. un., n. 26973/08, in base a un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. è risarcibile anche in caso di responsabilità contrattuale quando, come nella fattispecie in esame, viene in rilievo la lesione di un diritto inviolabile della persona riconosciuto dalla Costituzione, quale è il diritto alla salute), stando all’espletata ctu, è ravvisabile “un quadro di avanzato decadimento della salute dentale con presenza di lesioni cariose di grado avanzato a carico di tutti gli elementi presenti in arcata ed importanti processi di decalcificazione, apparentemente attivi, a carico dello smalto della corona clinica degli stessi elementi” (v. pag. 28 dell’elaborato).

A questo riguardo nell’allegata relazione peritale si è fatto presente che gli elementi da protesizzare “hanno complessivamente un valore tabellare del 5,75 %, cui andrà applicata una riduzione del 50 %, in quanto efficacemente riabilitati mediante protesi con un valore finale di circa 2,75 %” e che “gli elementi che dovranno essere restaurati conservativamente hanno un valore tabellare complessivo (da calcolarsi in caso di perdita degli stessi) di 13,75 punti percentuali, che andrà ridotto dei 2/3 (in quanto gli stessi saranno interessati da un semplice restauro conservativo come minima riduzione della loro integrità) dando un valore di circa 4,5 punti percentuali che sommati ai precedenti danno una stima del danno biologico del 7 %” (v. pagg. 37 e 38).

In tale misura va, dunque, valutata l’entità della riscontrata invalidità permanente, dovendosi considerare il concorso colposo ascrivibile alla parte attrice soltanto ai fini della riduzione del corrispondente equivalente pecuniario come di seguito determinato, di talché non appare condivisibile la relazione peritale nella parte in cui i Ctu, in ragione della qualificazione dell’operato del professionista in termini di mera concausa, hanno dapprima ridotto la misura del danno biologico dal 7 % al 4-5 % e poi precisato che in relazione a tale dato doveva essere effettuata la ripartizione di responsabilità tra le parti, ciò comportando, di fatto, una duplice riduzione del quantum risarcitorio per effetto del contributo causale dell’attrice.

I Ctu hanno, inoltre, fatto presente che il periodo d’inabilità temporanea parziale relativo alle sedute odontoiatriche necessarie al ripristino è quantificabile in 30 giorni al 25 %.

Venendo alla quantificazione monetaria del danno biologico riportato da E.O.B. (sotto il profilo della permanente lesione dell’integrità psicofisica), la cui liquidazione non può che essere effettuata in via equitativa, ritiene il giudicante che nel caso di specie debba farsi ricorso al metodo del punto tabellare con il calcolo del valore del punto di invalidità permanente in funzione crescente della percentuale di invalidità e in funzione decrescente dell’età del soggetto leso e, quindi, ricorrere alle tabelle in uso al Tribunale di Milano (sì come rivalutate al 2014), che sono ritenute anche dalla giurisprudenza di legittimità come “quelle statisticamente maggiormente testate, per il numero elevato dei casi giudiziari e delle transazioni extragiudiziarie italiane” (così in motivazione Cass., n. 15760/06; v., da ultimo, anche Cass., n. 14402/11, secondo cui “le’tabelle’per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da lesione all’integrità psico-fisica” predisposte dal Tribunale di Milano costituiscono valido e necessario criterio di riferimento ai fini della valutazione equitativa ex art. 1226 cod. civ., là dove la fattispecie concreta non presenti circostanze tali da richiedere la relativa variazione in aumento o in diminuzione…”), ritenendosi di aderire a quell’orientamento interpretativo (condiviso anche da Cass., n. 12408/11, secondo cui “i criteri di liquidazione del danno biologico previsti dall’art. 139 cod. ass., per il caso di danni derivanti da sinistri stradali, costituiscono oggetto di una previsione eccezionale, come tale insuscettibile di applicazione analogica nel caso di danni non derivanti da sinistri stradai”) che confina le tabelle legali ex art. 139 Cod. Ass. nel ristretto ambito delle lesioni derivanti da illecito commesso in occasione della circolazione stradale, sul presupposto che il legislatore abbia inteso con esse dare una risposta settoriale al problema della liquidazione del danno biologico al fine del contenimento dei premi assicurativi.

In applicazione delle tabelle del Tribunale di Milano (che sono state predisposte tenendo conto di quanto statuito nelle sentenze dell’11 novembre 2008 delle Sezioni Unite, e quindi in modo tale da consentire una liquidazione congiunta del danno non patrimoniale conseguente a “lesione permanente dell’integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale” e del danno non patrimoniale conseguente alle medesime lesioni in termini di “dolore”, “sofferenza soggettiva” in via di presunzione in riferimento a un dato tipo di lesione, come chiarito nella relativa nota esplicativa), nel caso di specie il danno biologico per invalidità permanente va liquidato all’attualità nella somma di € 14.491,00 pari al valore relativo alle invalidità del 7 %, avuto riguardo all’età della danneggiata (12 anni) al momento del fatto.

Per quanto attiene all’inabilità temporanea, stimasi congruo assumere come base di calcolo l’importo minimo di € 96,00 fissato nella tabella di Milano e quindi, liquidare la complessiva somma di € 720,00 (=€ 96,00:

100 x 25 x 30) per il periodo d’inabilità temporanea totale al 25 % di giorni 30.

Il danno non patrimoniale va, quindi, determinato nella complessiva somma di € 15.211,00 (=€ 14.491,00 + € 720,00), da ridurre sino a € 6.084,40 (=€ 15.211,00: 100 x 40) per il ritenuto concorso di colpa dell’attrice.

Va poi considerato il danno patrimoniale corrispondente ai costi delle necessarie future cure odontoiatriche.

Premesso che tale danno va quantificato considerando le sole “lesioni cavitarie cariose a partenza da aree di demineralizzazione topograficamente situate in prossimità della base adesiva dei brakets ortodontici” (v. pag. 25 della relazione), i Ctu hanno rappresentato che sei elementi dovranno essere trattati endodonticamente, poi ricostruiti con un perno in fibra e protesizzati con corone in zirconio ceramica, il tutto al complessivo costo di € 11.250,00; per gli altri elementi lesi hanno invece ritenuto sufficiente il solo trattamento conservativo, quantificando la relativa spesa in € 8.550,00, per poi precisare, con motivazioni (v. pagg. 26 e 34) che si ritiene di condividere, di aver ritenuto congruo il riconoscimento di un solo rifacimento delle riabilitazioni protesiche e dei restauri conservativi.

Il detto importo va poi ridotto sino a € 7.920,00 (=€ 19.800,00: 100 x 40) in ragione del ritenuto concorso di colpa della paziente.

I danni subiti dall’attrice vanno, dunque, liquidati nella complessiva somma di € 14.004,40 (=€ 6.084,40 + € 7.920,00).

Il convenuto va, pertanto, condannato a pagare alla parte attrice la somma di € 14.004,40, oltre rivalutazione monetaria in base agli indici Istat dall’ottobre 2011 (epoca della stima dei Ctu) sino alla data di pubblicazione della presente sentenza, con interessi legali dalla domanda (in applicazione dei principi dettati dalla Cass., sez. un., n. 1712/95).

Le spese di lite (comprese quelle relative alla fase di a.t.p., nel cui ambito rientrano anche gli oneri di ctp documentati in atti), liquidate (in base all’importo sopra determinato) ai sensi del D.M. n. 55 del 2014 (essendosi l’attività difensiva esaurita nella vigenza di tale testo normativo), come da dispositivo, devono gravare sulla parte convenuta in applicazione del principio della soccombenza, unitamente agli oneri (pari a € 3.000,00, come da documentazione in atti) relativi alla C.T.U. espletata in sede di a.t.p., di talché il convenuto va condannato a rimborsare all’attrice la somma di € 3.000,00.

P.Q.M.

Il Tribunale, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nella causa proposta da E.O.B., in persona del procuratore speciale F.E.H. nei confronti di L.A., disattesa ogni contraria domanda, istanza, deduzione ed eccezione, così provvede:

– condanna il convenuto a pagare alla parte attrice la somma di € 14.004,00, oltre rivalutazione monetaria in base agli indici Istat dall’ottobre 2011 sino alla data di pubblicazione della presente sentenza, con interessi legali dalla domanda;

– pone a carico del convenuto le spese relative al presente giudizio e al procedimento di accertamento tecnico preventivo, che liquida complessivamente in € 7.570,00 per compenso, in € 2.463,26 per esborsi, oltre rimborso spese forfettarie, Iva e Cpa come per legge;

– pone a carico del convenuto gli oneri di ctu, liquidati come in atti e, per l’effetto, lo condanna a rimborsare alla parte attrice la somma di € 3.000,00.

Così deciso in Trento, il 3 febbraio 2015.

Depositata in Cancelleria il 4 febbraio 2015.