Non possono assumere rilevanza alcuna i profili attinenti all’avvenuta sottoscrizione dei moduli di cd. “consenso informato”;  come emerso dalla relazione di Consulenza Tecnica d’Ufficio , si è trattato non già dì mere complicanze scaturite da un intervento chirurgico correttamente realizzato, ma piuttosto di esiti lesivi derivati da un’ipotesi di negligenza e, dunque, di prestazione medico – chirurgica inadeguatamente eseguita. Secondo la Corte di Cassazione, infatti,  pur sussistendo il consenso consapevole, ben può configurarsi responsabilità da lesione della salute se la prestazione terapeutica sia tuttavia inadeguatamente eseguita; il consenso prestato dal paziente è irrilevante, poiché la lesione della salute si ricollega causalmente alla colposa condotta del medico nell’esecuzione della prestazione terapeutica, inesattamente adempiuta dopo la diagnosi.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Come evidenziato nel verbale di udienza che precede, la presente decisione viene adottata ai sensi dell’art. 281 – sexies cod. proc. cimo. e, dunque, prescindendo dalle indicazioni contenute nell’art. 132 stesso Codice (cfr., in tal senso, Cass. civ., sez. III, civ., sez. III, 19 ottobre 2006, n. 22409, la quale, al riguardo, ha avuto modo di chiarire come, essendo l’art. 281 – sexies cod. proc. civ. norma di accelerazione ai fini della produzione della sentenza, esso consenta al giudice di pronunciare quest’ultima in udienza, al termine della discussione, dando lettura del dispositivo e delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, senza dover premettere le indicazioni richieste dal comma secondo dell’art. 132 cod. proc. civ. perché esse si ricavano dal verbale dell’udienza di discussione sottoscritto dal giudice stesso, sottolineando altresì come non sia, pertanto, affetta da nullità la sentenza, resa nella forma predetta, che non contenga le indicazioni riguardanti il giudice e [e parti, le eventuali conclusioni del Pubblico Ministero e dei difensori, nonché la concisa esposizione dei fatti e, dunque, dello svolgimento del processo).

2. – Ciò premesso, e passando alla disamina della “res controversa”, la domanda giudiziale è fondata e merita, pertanto, di trovare accoglimento, nei sensi che vengono di seguito precisati. 3. – Ed invero, devono anzitutto essere richiamati gli approdi della giurisprudenza dì legittimità in punto di responsabilità professionale sanitaria, dal quali non sì ravvisano ragioni per discostarsi nel caso di specie. La responsabilità dell’ente ospedaliero nei confronti del paziente ha, infatti, natura contrattuale, e può conseguire, ai sensi dell’art. 1218 cod. civ., oltre che all’inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo carico, anche, ai sensi dell’art. 1228 cod. civ. (disposizione con cui è stata estesa nell’ambito contrattuale la disciplina contenuta negli art. 2048 e 2049 cod. civ.: Cass. civ., sez. III, civ., sez. III, 17 maggio 2001, n. 6756), all’inadempimento della prestazione medico – professionale svolta direttamente dal sanitario, quale suo ausiliario necessario (e ciò anche in assenza di un rapporto di lavoro subordinato, comunque sussistendo un collegamento tra la prestazione da costui effettuata e la sua organizzazione aziendale: Cass. civ., sez. III, civ., sez. III, 14 luglio 2004, n. 13066).

4. – Sul piano processuale, in tema dì responsabilità civile nell’attività medico – chirurgica, le conseguenze scaturenti dai principi appena evidenziati sono da ravvisarsi nel fatto che il paziente che agisca in giudizio deducendo l’inesatto adempimento dell’obbligazione sanitaria deve provare il contratto o il “contatto sociale” ed allegare l’inadempimento del professionista, che consiste nell’aggravamento della situazione patologica del paziente o nell’insorgenza dì nuove patologie per effetto dell’intervento, restando a carico dell’obbligato – sia esso il sanitario o la struttura – la dimostrazione dell’assenza dì colpa e, cioè, la prova del fatto che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti peggiorativi siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile (Cass. civ., sez. III, civ., sez. III, 28 maggio 2004, n. 10297). Con la precisazione, altresì, che, pur gravando sull’attore l’onere di allegare i profili concreti dì colpa medica posti a fondamento della proposta azione risarcitoria, tale onere non si spinge fino alla necessità di enucleazione e indicazione di specifici e peculiari aspetti tecnici di responsabilità professionale, conosciuti e conoscibili soltanto agli esperti del settore (Cass. civ., sez. III, civ., sez. III, 19 maggio 2004, n. 9471). Nondimeno, a fronte dell’allegazione dell’attore di inadempimento od inesatto adempimento, a carico del sanitario, o dell’ente, resta sempre l’onere probatorio relativo sia al grado dì difficoltà della prestazione (Cass. civ., sez. III, civ., sez. III, 9 novembre 2006, n. 23918), sia all’inesistenza di colpa o di nesso causale; in proposito è stato anche di recente ribadito che è a carico del debitore (sanitario e/o ente) dimostrare che l’inadempimento non vi è stato o che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante (Cass. civ., sez. III, civ., sez. un., 11 gennaio 2008, n. 577; Cass. civ., sez. III, civ., sez. III, 14 febbraio 2008, n. 3520).

5. – In assenza di detta prova, sussiste la responsabilità del medico.

6. – Quanto precede, dunque, consente dì ricostruire la fattispecie concreta sottoposta al vaglio del Tribunale.

7. – Nel caso dì specie, l’attrice sig.ra ha dedotto e dimostrato, mediante la documentazione prodotta in giudizio, l’intervento chirurgico dalla stessa subito presso la struttura sanitaria pubblica convenuta ed, in particolare, in data 7 novembre 2000.

8. – Peraltro, è appena il caso dì evidenziare come tali elementi circostanziali non abbiano formato oggetto di alcuna specifica contestazione ad opera della convenuta AZIENDA OSPEDALIERA UNIVERSITARIA – SECONDA UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI e siano, pertanto, da ritenersi comprovati ai sensi della disposizione normativa di cui all’art. 115, comma primo, cod. proc. civ., come modificato mediante l’art. 45, comma 14, della legge 18 giugno 2009, n. 69.

9. – L’istante ha, pertanto, certamente fornito la prova del titolo, in forza del quale ella ha esercitato l’azione risarcitoria nei confronti della struttura sanitaria pubblica convenuta. In particolare, si è in presenza di un contratto atipico a prestazioni corrispettive (cosiddetto “contratto di spedalità”), che sì conclude all’atto dell’accettazione del paziente presso la struttura e da cui, a fronte dell’obbligazione al pagamento del corrispettivo (da parte del paziente, dell’assicuratore ovvero del Servizio Sanitario Nazionale) insorgono, a carico della struttura sanitaria, accanto a quelli di tipo “latu sensu” alberghieri, obblighi di messa a disposizione del personale medico ausiliario, del personale paramedico, nonché dì apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicazioni o emergenze (cfr., all’uopo, anche Cass. civ., sez. III, 14 giugno 2007, n. 13593, Cass. civ., sez. III, 26 gennaio 2006, n. 1698; Cass. cìv., sez. III, 14 luglio 2004, n. 13066; Cass. civ., sez. III, 8 gennaio 1999, n. 103). Per quanto riguarda, invece, i medici operanti presso la struttura sanitaria pubblica (e che non sono stati convenuti nel presente giudizio), si tratta dì un’ipotesi dì cd. “contatto sociale”, da intendersi, come chiarito dalla dottrina civilistica e dalla giurisprudenza di legittimità e di merito, nel senso di rapporto socialmente tipico tra partì che, nonostante l’assenza di un contratto, è in grado di ingenerare l’affidamento dei soggetti sull’adempimento di obblighi diretti e specifici dì lealtà, collaborazione e dì salvaguardia dell’altrui sfera giuridica. Presupposti per la configurabilità del contatto sociale sono: 1) una relazione tra sfere giuridiche, tale da far considerare la responsabilità aquiliana come insoddisfacente (in particolare, la più avvertita dottrina civilistica che il divieto contenuto nell’art. 118 delle Disposizioni di Attuazione cod. proc. civ. Impedisce tuttavia di citare ha parlato, al riguardo, di “situazione relazionale” nella quale danneggiante e danneggiato “stanno l’uno di fronte all’altro alla maniera di un debitore e un creditore, uscendo dall’estraneità che è presupposto della responsabilità aquiliana”); 2) uno “status” professionale in capo al danneggiante, tale che possa configurarsi una “culpa in faciendo” prevista nell’ordinamento giuridico; 3) l’affidamento in capo al danneggiato che viene ingenerato sia dall’appartenenza del danneggiante ad una categoria professionale cd. “protetta” (cioè una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione da parte dello Stato: cfr., all’uopo, l’art. 348 c.p.), sia dalla situazione relazionale che si è previamente instaurata tra i due soggetti. Ed invero, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, “Quanto sopra detto si verifica per l’operatore di una professione cd. protetta (cioè una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione da parte dello Stato, art. 348 c.p.), in particolare se detta professione abbia ad oggetto beni costituzionalmente garantiti, come avviene per la professione medica (che è il caso della fattispecie in esame), che incide sul bene della salute, tutelato dall’art. 32 Cost. Invero a questo tipo di operatore professionale la coscienza sociale, prima ancora che l’ordinamento giuridico, non si limita a chiedere un non facere e cioè il puro rispetto della sfera giuridica di colui che gli si rivolge fidando nella sua professionalità, ma giustappunto quel facere nel quale si manifesta la perizia che ne deve contrassegnare l’attività in ogni momento (l’abilitazione all’attività, rilasciatagli dall’ordinamento, infatti, prescinde dal punto fattuale se detta attività sarà conseguenza di un contratto o meno). In altri termini la prestazione (usando il termine in modo generico) sanitaria del medico nei confronti del paziente non può che essere sempre la stessa, vi sia o meno alla base un contratto d’opera professionale tra i due. Ciò è dovuto al fatto che, trattandosi dell’esercizio di un servizio di pubblica necessità, che non può svolgersi senza una speciale abilitazione dello Stato, da parte di soggetti di cui il “pubblico è obbligato per legge a valersi” (art. 359 c.p.), e quindi trattandosi di una professione protetta, l’esercizio di detto servizio non può essere diverso a seconda se esista o meno un contratto. La pur confermata assenza di un contratto, e quindi di un obbligo di prestazione in capo al sanitaria dipendente nei confronti del paziente, non è in grado di neutralizzare la professionalità (secondo determinati standard accertati dall’ordinamento su quel soggetto), che qualifica ah origine l’opera di quest’ultimo, e che si traduce in obblighi di comportamento nei confronti di chi su tale professionalità ha fatto affidamento, entrando in “contatto” con lui. Proprio gli aspetti pubblicistici, che connotano l’esercizio di detta attività, comportano che esso non possa non essere unica da parte del singolo professionista, senza possibilità di distinguere se alla prestazione sanitaria egli sia tenuto contrattualmente o meno. L’esistenza di un contratto potrà essere rilevante solo al fine di stabilire se il medico sia obbligato alla prestazione della sua attività sanitaria (salve le ipotesi in cui detta attività è obbligatoria per legge, ad es. art. 593 c.p., Cass. civ., sez. III, pen. 10.4.1978, n. 4003, Soccardo). In assenza di dette ipotesi di vincolo, il paziente non potrà pretendere la prestazione sanitaria dal medico, ma se il medico in ogni caso interviene (ad esempio perché a tanto tenuto nei confronti dell’ente ospedaliero, come nella fattispecie) l’esercizio della sua attività sanitaria (e quindi il rapporto paziente medico) non potrà essere differente nel contenuto da quella che abbia come fonte un comune contratto tra paziente e medica. Da tutto ciò consegue che la responsabilità dell’ente gestore del servizio ospedaliero e quella del medico dipendente hanno entrambe radice nell’esecuzione non diligente o errata della prestazione sanitaria da parte del medico, per cui, accertata la stessa, risulta contestualmente accertata la responsabilità a contenuto contrattuale di entrambi (qualificazione che discende non dalla fonte dell’obbligazione, ma dal contenuto del rapporto).” (cfr., all’uopo, Cass. civ., sez. III, civ., sez. III, 22 gennaio 1999, n. 589). 10. – Peraltro, così ricostruita la fattispecie, la struttura sanitaria certamente risponde, in via contrattuale, non solo delle obbligazioni direttamente poste a proprio carico (servizio alberghiero, attrezzature, eccetera), ma anche dell’opera svolta dai propri dipendenti ovvero ausiliari (personale medico e paramedico), secondo lo schema proprio dell’art. 1228 cod. civ. A tale proposito, peraltro, la Suprema Corte, con la sentenza 8 gennaio 1999, n. 103 (ma cfr. anche, più recentemente, Cass. civ., sez. III, 22 marzo 2007, n. 6945), applicando in ambito sanitario principi già costantemente esposti nell’ordinario ambito contrattuale, ha ulteriormente chiarito – così sgombrando li campo da qualsivoglia dubbio ed equivoco – che rispetto al detto inquadramento dogmatico non rileva la circostanza per cui il medico che eseguì l’intervento fosse o meno inquadrato nell’organizzazione aziendale della casa dì cura (ovvero dell’ospedale), né che lo stesso fosse stato scelto dal paziente ovvero fosse di sua fiducia (cfr., in tal senso, Cass. civ., sez. III, 14 giugno 2007, n. 13593; Cass. civ., sez. III, 26 gennaio 2006, n. 1698), posto che la prestazione del medico è comunque indispensabile alla casa di cura (ovvero all’ospedale) per adempiere l’obbligazione assunta con il paziente e che, ai finì qualificatori predetti, è sufficiente la sussistenza di un nesso di causalità tra l’opera del suddetto “ausiliario” e l’obbligo del debitore (cfr., in tal senso, Cass. civ., sez. III, 11 maggio 1995, n. 5150).

11. – Ad ulteriore precisazione di quanto precede ritiene questo Giudicante che li positivo accertamento della responsabilità dell’istituto postuli pur sempre la colpa del medico esecutore dell’attività che si assume illecita, non potendo detta responsabilità affermarsi in assenza di colpa, poiché l’art. 1228 del Codice Civile presuppone, comunque, un illecito colpevole dell’autore immediato del danno (cfr., in tal senso, anche Cass. civ., sez. III, civ., sez. III, 13 marzo 2007, n. 5846); e che, nella eventuale situazione di incertezza sulla sussistenza dì colpa, della stessa deve giovarsi il creditore – paziente e non certo il debitore – medico (cfr. Cass. civ., sez. III, 4 marzo 2004, n. 4400).

12. – Ciò posto in punto dì fatto, occorre ora stabilire: a) se vi è nesso causale tra le eventuali azioni od omissioni della convenuta (e, per essa, dei sanitari che eseguirono i trattamenti medici subiti dall’attrice) e l’evento lesivo; b) se la condotta della struttura sanitaria pubblica convenuta (e, per essa, dei sanitari che ebbero ad eseguire i trattamenti medico – chirurgici subiti dall’attrice sig.ra ) è stata conforme alle leges artis ed alla diligenza dell”‘homo eiusdem generis et condicionis”.

13. – L’accertamento del nesso causale è passaggio logicamente e cronologicamente precedente all’accertamento della colpa, in quanto solamente qualora sia dimostrato che la condotta attiva od omissiva del sanitario sia stata causa dell’evento lesivo subito dal paziente, è possibile procedere ad accertare se questa condotta sia contraria alle leges artis.

14. – E necessario, in altri termini, stabilire, nel caso di specie, se le lesioni lamentate dall’attrice sig.ra siano eziologicamente collegabili alla condotta del personale medico ausiliario della struttura sanitaria pubblica convenuta, con specifico riguardo all’intervento chirurgico alla tiroide eseguito, a carico della predetta attrice, in data 7 novembre 2000, presso la convenuta AZIENDA OSPEDALIERA UNIVERSITARIA – SECONDA UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI.

15. – Il nesso di causalità materiale tra condotta ed evento è quello per cui ogni comportamento antecedente (prossimo, intermedio, remoto) che abbia generato, o anche solo contribuito a generare l’evento, deve considerarsi “causa” dell’evento stesso. La valutazione dì questo nesso, sotto il profilo della dipendenza dell’evento dai suoi antecedenti fattuali, va compiuta secondo criteri di probabilità scientifica. Anche nell’illecito civile, quindi, la cosiddetta causalità materiale trova disciplina negli artt. 40 e 41 cod. pen., ossia nel criterio della conditio sine qua non riempito di contenuto dalla teoria della sussunzione sotto leggi scientifiche.

16. – Come da ultimo chiarito dal supremo organo di nomofilachia, insomma, il nesso di causalità materiale, tra condotta ed evento lesivo, anche nella responsabilità da illecito civile, deve essere accertato secondo i principi penalistici dì cui agli artt. 40 e 41 cod. pen., per cui un evento è causato da un altro se non si sarebbe verificato in assenza del secondo. Tuttavia, la giurisprudenza di legittimità ha ulteriormente precisato come una causalità materiale non sia sufficiente per avere una causalità giuridicamente rilevante, [a quale impone di attribuire rilievo, secondo la teoria della regolarità causale o della causalità adeguata, con cui va integrata la teoria della “candirla sine qua non”, a quei soli accadimenti che, al momento In cui sì produce l’evento causante il danno, non siano Inverosimili e imprevedibili, secondo un giudizio “ex ante” (di cosiddetta “prognosi postuma”), da ricondurre al momento della condotta e da effettuare secondo le migliori conoscenze scientifiche disponibili (cfr., in tal senso, Cass. civ., sez. III, civ., sez. un., 11 gennaio 2008, n 581).

17. – Come chiarito dalle Sezioni Unite Civili della Suprema Corte, però, pur essendo gli stessi i principi che regolano il procedimento logico – giuridico ai finì della ricostruzione del nesso causale, ciò che muta tra il processo penale e quello civile è la regola probatoria, in quanto nel primo vige la regola della prova “oltre il ragionevole dubbio”, mentre, nel secondo, vige la regola della preponderanza dell’evidenza o del “più probabile che non” (cfr., al riguardo, la già citata Cass. civ., sez. III, civ., sez. un., 11 gennaio 2008, n. 581).

18. – In materia civile, quindi, l’accertamento della causalità materiale richiede una certezza di natura eminentemente probabilistica.

19. – Ed invero, secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, che questo Giudice ritiene dì condividere, il nesso causale fra il comportamento del medico e il pregiudizio subito dal paziente è configurabile qualora, attraverso un criterio necessariamente probabilistico, si ritenga che l’opera del medico, se correttamente e prontamente prestata, avrebbe avuto serie ed apprezzabili probabilità dì evitare il danno verificatasi (cfr., in tal senso, Cass. civ., sez. III, civ., sez. III, 17 gennaio 2008, n. 867; Cass. cív., sez. III, civ., sez. III, 23 settembre 2004, n. 19133). Risulta, dunque, necessario accertare che il comportamento diligente e perito del sanitario avrebbe avuto la probabilità di prevenire o elidere le conseguenze dannose concretamente verificatesi. Probabilità, ovviamente, non meramente statistica, ma di natura logico – razionale. 20. – Deve ritenersi sussistente un valido nesso causale tra la condotta colposa del sanitario e l’evento lesivo, in conclusione, allorché, se fosse stata tenuta la condotta diligente, prudente e perita, l’evento dannoso non sì sarebbe verificato: giudizio da compiere non sulla base di calcoli statistici o probabilistici, ma unicamente sulla base di un giudizio dì ragionevole verosimiglianza, che va compiuto alla stregua degli elementi di conferma (tra cui soprattutto l’esclusione di altri possibili e alternativi processi causali) disponibili in relazione al caso concreto. 21. – Orbene, i fatti costitutivi della pretesa risarcitoria azionata dall’attrice possono ritenersi ampiamente acclarati alla stregua della relazione di Consulenza Tecnica d’Ufficio depositata in Cancelleria in data 4 novembre 2013 (ai cui condivisibili rilievi questo giudice integralmente sì riporta) e che ha riconosciuto, tra l’altro, la sussistenza di indici sintomatici dell’avvenuta verificazione, nel corso dell’intervento chirurgico di tiroidectomia totale del 7 novembre 2000, di manovre rivelatesi lesive a carico del nervi laringei inferiori con conseguente paralisi bilaterale delle corde vocali che ebbe, poi, a comportare la necessità di ripetuti interventi chirurgici successivi valevoli ad assicurare un sufficiente spazio respiratorio alla paziente. A ciò aggiungasi come i’ ausiliario di questo giudice abbia altresì evidenziato che l’intervento chirurgico sopra menzionato era di media difficoltà, eseguito da un operatore esperto ed in un centro ad elevato grado di specializzazione. Del resto, è appena il caso di rammentare, infine, come, secondo quanto più volte chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, i casi implicanti risoluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà dì cui all’art. 2236 cod. civ. sono quelli “trascendenti la preparazione media o non ancora sufficientemente studiati dalla scienza medica” (cfr., in tal senso, Cass. civ., sez. III, civ., 2 febbraio 2005, n. 2042), cosicché è senz’altro da escludere che il caso di specie rientrasse nella sfera di applicazione della suddetta disposizione normativa, trattandosi di intervento chirurgico ampiamente conosciuto dalla scienza medica, eseguito presso una struttura sanitaria pubblica di tipo universitario (e, dunque, ad elevato grado di specializzazione, con conseguente impossibilità di ritenerlo valevole a trascendere la preparazione media) e con riguardo al quale l’ausiliario hanno affermato la sussistenza di profili di negligenza, consistito, tra l’altro, nel non aver proceduto ad un’adeguata individuazione ed isolamento dei nervi laringei allo scopo di scongiurare, ovvero di ridurre comunque al minimo, il rischio dì lesione degli stessi. Non a caso, infatti, sempre la giurisprudenza dì legittimità non ha mancato di chiarire che “La limitazione di responsabilità professionale del medico – chirurgo ai soli casi di dolo o colpa grave, ai sensi dell’art. 2236 c.c., attiene esclusivamente alla perizia, per la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà. Ne consegue che, anche nei casi di speciale difficoltà, tale limitazione non sussiste con riferimento ai danni causati per negligenza o imprudenza, dei quali il medica risponde in ogni caso” (cfr., all’uopo, Cass. civ., sez. III, civ., 12 marzo 2013, n. 6093).

22. – Alla stregua delle considerazioni finora sviluppate può, dunque, senz’altro essere fornita risposta positiva all’interrogativo in precedenza posto nel capoverso contrassegnato dalle lettere “a)” (se vi è nesso causale tra le eventuali azioni od omissioni della convenuta e l’evento lesivo) e negativa al quesito contenuto nel capoverso contrassegnato dalla lettera “b)” (se la condotta degli ausiliari della convenuta sia stata conforme alle “leges artis” ed alla diligenza dell`homo eiusdem generis et condicionis”).

23. – Sussiste, dunque, l’elevata “probabilità logica” che una più attenta condotta del sanitari, durante l’esecuzione dell’intervento chirurgico di cui si tratta, avrebbe evitato l’evento lesivo, verificatosi a carico dell’attrice sig.ra

24. – In conclusione, dalle considerazioni finora sviluppate discende l’accoglimento della domanda giudiziale, senza che, del resto, possano assumere rilevanza alcuna i profili attinenti all’avvenuta sottoscrizione dei moduli di cd. “consenso informato”, trattandosi, come emerso dalla relazione dì Consulenza Tecnica d’Ufficio depositata in Cancelleria in data 4 novembre 2013, non già dì mere complicanze scaturite da un intervento chirurgico correttamente realizzato, ma piuttosto di esiti lesivi derivati da un’ipotesi di negligenza e, dunque, di prestazione medico – chirurgica inadeguatamente eseguita. E ciò in quanto, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, “pur sussistendo il consenso consapevole, ben può configurarsi responsabilità da lesione della salute se la prestazione terapeutica sia tuttavia inadeguatamente eseguita”, precisando altresì che in tali ipotesi “il consenso prestato dal paziente è irrilevante, poiché la lesione della salute si ricollega causalmente alla colposa condotta del medico nell’esecuzione della prestazione terapeutica, inesattamente adempiuta dopo la diagnosi.” (cfr., all’uopo, la motivazione di Cass. civ., sez. III, civ., sez. III, 9 febbraio 2010, n. 2847).

25. – Né può ritenersi fondata, in modo alcuno, l’eccezione di prescrizione sollevata dalla difesa della convenuta AZIENDA OSPEDALIERA UNIVERSITARIA – SECONDA UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI, atteso che, anche dalla relazione di Consulenza Tecnica d’Ufficio depositata in Cancelleria in data 4 novembre 2013, risulta piuttosto agevole desumere come gli esiti lesivi dell’intervento chirurgico di cui sì tratta ebbero a manifestarsi, a carico dell’attrice sig.ra ——-, non già nell’immediato periodo post – operatorio, ma piuttosto a far tempo del mese di luglio dell’anno 2001, cosicché è con tale momento temporale che deve essere identificato il cd. “exordium praescriptionis” relativo al termine decennale (art. 2946 cod. civ.), pacificamente suscettibile di trovare applicazione alla fattispecie in esame, alla stregua dell’inquadramento dì quest’ultima nel novero della responsabilità di tipo contrattuale. 26. – Del resto, come chiarito dalla recente giurisprudenza di legittimità (opportunamente richiamata anche dalla difesa dell’attrice nell’ambito della memoria di discussione depositata in Cancelleria in data 18 aprile 2014), “Il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da responsabilità professionale inizia a decorrere non dal momento in cui la condotta del professionista determina l’evento dannoso, bensì da quello in cui la produzione del danno si manifesta all’esterno, divenendo oggettivamente percepibile e riconoscibile da chi ha interesse a farlo valere.” (cfr., all’uopo, Cass. civ., sez. III, civ., sez. III, 28 gennaio 2013, n. 1877).

27. – Alla stregua della considerazioni appena sviluppate, dunque, l’eccezione di prescrizione dì cui si tratta deve necessariamente essere disattesa, avendo la difesa dell’attrice sig.ra ——- provveduto a produrre tempestivamente in giudizio la copia della missiva con la quale, in data 28 gennaio 2011 (e, dunque, circa sei mesi prima della scadenza del termine decennale dì prescrizione), la struttura sanitaria pubblica convenuta è stata costituita in mora ai fini del risarcimento dei danni patiti dalla predetta istante, con conseguente interruzione del termine prescrizionale, ai sensi della disposizione normativa di cui all’art. 2943, comma quarto, cod. civ. (cfr., in tal senso, Tribunale di Bari, sez. civ. III, 19 gennaio 2009, n. 104, secondo cui “Secondo il disposto di cui all’art. 2943, comma 4, c.c. ai fini dell’efficace interruzione della prescrizione è valido, oltre quanto espressamente indicato nei primi tre commi della norma, ogni altro atto idoneo a costituire in mora il debitore. In tal senso, non può non riconoscersi carattere interruttivo della prescrizione alla missiva contenente, unitamente alla descrizione del comportamento illecito produttivo del danno, l’esplicita richiesta di risarcimento del medesimo. In tali circostanze, invero, l’atto scritto contenente la esplicitazione di una espressa pretesa risarcitoria, ha l’effetto sostanziale della messa in mora del debitore, in quanto idoneo a manifestare !’inequivocabile volontà del titolare del credito risarcitorio di far valere il proprio diritto nei confronti del soggetto passivo.”).

28. – In punto dì “quantum debeatur”, sulla scorta della Consulenza Tecnica d’Ufficio, i postumi permanenti accertati e suscettibili di essere posti in relazione alle negligenze riscontrate a carico della convenuta struttura sanitaria pubblica (postumi consistenti, come chiarito dall’ausiliario di questo giudice, in un quadro di disfonia, dispnea e tosse all’ingestione degli alimenti), configurano una riduzione dell’integrità psico-fisica (danno biologico) nella misura del 25010 (venticinque percento), con un periodo di Invalidità Temporanea Totale pari a quindici (15) giorni, un periodo dì Invalidità Temporanea Parziale al 50% (cinquanta percento), pari a trenta (30) giorni ed, infine, un periodo di Invalidità Temporanea Parziale al 2S% (venticinque percento), pari a sette mesi e, dunque, a duecentodieci (210) giorni. Peraltro, alla stregua di quanto chiarito dalla dott.ssa TERESA CAPONE, secondo ausiliario di questo giudice mediante la relazione di chiarimenti depositata in Cancelleria in data 16 dicembre 2014, la suddetta invalidità permanente è venuta ad instaurarsi non già su un soggetto sano, ma piuttosto a carico dell’odierna attrice sig.ra —— che risultava portatrice già di una “preesistenza menomativa” del 25% (venticinque percento), per la sindrome epilettica dai cui è affetta. Ne deriva, quindi, che – come si vedrà tra breve – la suddetta invalidità permanente pari al 25°Io (venticinque percento) dovrà essere liquidata, in favore dell’attrice, mediante la tecnica del cd. “danno differenziale”. 29. – Ciò posto, trattandosi di lesioni non suscettibili dì rientrare nelle cosiddette micropermanenti, questo giudicante ritiene applicabili, in via equitativa, i parametri dì liquidazione attualmente adottati dal Tribunale di Napoli, i quali, peraltro, com’è noto, sono mutuati dalle tabelle elaborate presso il Tribunale dì Milano con riguardo all’anno 2014. 30. – Del resto, anche la giurisprudenza di legittimità ha recentemente avuto modo di chiarire che “La liquidazione equitativa del danno non patrimoniale conseguente alla lesione dell’integrità psico-fisica deve essere effettuata da tutti i giudici di merito, in base a parametri uniformi, che vanno individuati (fatta eccezione per le lesioni di lieve entità causate dalla circolazione di veicoli e natanti, per le quali vige un’apposita normativa) nelle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano, da modularsi secondo le circostanze del caso concreto.” (cfr., all’uopo, Cass. civ., sez. III, civ., sez. III, 7 giugno 2011, n. 12408). E ciò in quanto “Nella liquidazione del danno biologico, quando manchino criteri stabiliti dalla legge, l’adozione della regola equitativa di cui all’art. 1226 c.c. deve garantire non solo una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, essendo intollerabile e non rispondente ad equità che danni identici possano essere liquidati in misura diversa so perché esaminati da differenti Uffici giudiziari. Garantisce tale uniformità di trattamento il riferimento al criterio di liquidazione predisposto dal tribunale di Milano, essendo esso già ampiamente diffuso sul territorio nazionale – e al quale la S. C., in applicazione dell’art. 3 cost., riconosce la valenza, in linea generale, di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico alle disposizioni di cui agli art. 1226 e 2056 c.c. – salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l’abbandono.” (cfr., in tal senso, sempre Cass. civ., sez. III, civ., sez. III, 7 giugno 2011, n. 12408).

31. – Peraltro, pur trattandosi dì danno incidente su un soggetto (cioè l’odierna attrice sig.ra ——–, già affetto da patologie preesistenti, lo stesso non può essere liquidato con la tecnica della differenza tra il risarcimento spettante in ragione dei postumi permanenti complessivamente accertati dallo stesso ausiliario e pari al 5O% (cinquanta percento), scaturente dalla sommatoria delle due percentuali dì invalidità permanente acclarate a carico dell’attrice e quello – pari al 2S% (venticinque percento) – dovuto per il danno che sarebbe verosimilmente residuato in caso dì mancato aggravamento dei postumi conseguito alle negligenze acclarate a carico della struttura sanitaria [cfr., all’uopo ed “ex multis”, Tribunale di Napoli, Sezione Dodicesima Civile (G. M. Cons. dott. Michele Caccese), 15 giugno 2012, n. 7155, nonché, da ultimo, Cass. c[v., sez. III, 19 marzo 2014, n. 6341, secondo cui “In tema di responsabilità medica, allorché un paziente, già affetto da una situazione di compromissione dell’integrità fisica, sia sottoposta ad un intervento che, per la sua cattiva esecuzione, determini un esito di compromissione ulteriore rispetto alla percentuale che sarebbe comunque residuata anche in caso di ottimale esecuzione dell’intervento stesso, ai fini della liquidazione del danno con il sistema tabellare, deve assumersi come percentuale di invalidità quella effettivamente risultante, alla quale va sottratto quanto monetariamente indicato in tabella per la percentuale di invalidità comunque ineliminabile e perciò non riconducibile alla responsabilità del sanitario.”]. Al riguardo, infatti, risultano senz’altro condivisibili le conclusioni alle quali è pervenuta – in punto di quantificazione della percentuale dì invalidità permanente residuata a carico dell’attrice sig.ra ——– a seguito dell’intervento chirurgico del 7 novembre 2000 – il secondo ausiliario di questo giudice (cioè la dott.ssa Te.Ca. ) nella relazione di chiarimenti depositata in Cancelleria in data 16 dicembre 2014 (ai cui condivisibili rilievi questo giudice integralmente si riporta, inclusi quelli forniti in con riguardo alle osservazioni formulate dalla difesa dell’attrice: cfr., al riguardo, Cass. civ., sez. VI, 27 gennaio 2012, n. 1257, secondo la quale il giudice “non è tenuto a rispondere a ogni e qualsiasi rilievo del consulente tecnica di parte, ma è sufficiente che dal complesso della motivazione si evinca che esse sono state prese in considerazione e adeguatamente contrastate dal consulente tecnico d’ufficio, le cui conclusioni siano state recepite dal giudicante.”). E ciò in quanto, come può desumersi dalla lettura e disamina di tale elaborato peritale, ai fini dell’accertamento della percentuale da invalidità permanente di tipo iatrogeno In fattispecie quali quella in esame, occorre verificare la natura concorrente o coesistente delle lesioni iatrogene rispetto a quelle pregresse attribuendo, dunque, rilievo al fatto che queste ultime risultino o meno concretamente aggravate, in maniera diretta, dall’insorgenza e verificazione di quelle iatrogene. 32. – È noto, infatti, come, secondo la scienza medico legale, per valutare l’incidenza di lesioni o malattie pregresse sul grado dl invalidità permanente cagionato dal fatto illecito occorra distinguere a seconda che le lesioni preesistenti: a) interessino il medesimo organo oppure organi funzionalmente integrati (cd. “lesioni concorrenti”: ad esempio, frattura di gamba in soggetto con osteoporosi agli arti inferiori), ovvero b) colpiscano organi diversi e non funzionalmente integrati (cd. “lesioni coesistenti”): ad esempio, frattura mandibolare in soggetto affetto da zoppia). Nel primo caso, al grado di invalidità permanente risultante dall’impiego degli ordinari criteri valutativi va applicato un coefficiente di maggiorazione, in quanto il concorso di lesioni policrone amplifica il danno disfunzionale cagionato dall’atto illecito. Ne[ secondo caso, invece, al grado di invalidità permanente, per così dire, “ordinario”, va applicato un coefficiente di riduzione, in quanto il danno ha colpito un individuo non perfettamente sano, la cui malattia preesistente non è stata però aggravata dall’evento dannoso (cfr., in tal senso, la relazione di chiarimenti alla Consulenza Tecnica d’Ufficio, depositata in Cancelleria in data 16 dicembre 2014).

33. – Nella specie, dunque, in ragione del fatto che, come correttamente chiarito dall’ausiliario dott.ssa Te. Ca., le lesioni verificatesi a carico dell’attrice sig.ra a seguito della acclarata responsabilità della struttura sanitaria pubblica convenuta sono da qualificarsi in termini dì “lesioni coesistenti” (senza che, dunque, risulti ravvisabile “alcuna relazione tra la disfonia presentata dall’attrice e la sindrome epilettica con crisi parziali di tipo assenze”: cfr., all’uopo, la relazione supplementare di chiarimenti depositata in Cancelleria, dall’ausiliario dott.ssa Te. Ca., con modalità telematica, alla seconda pagina), del tutto correttamente l’ausiliario ha proceduto ad applicare, la cd. “formula di Balthazard” [solitamente adottata, nella medicina legale, proprio per tenere conto delle lesioni policrone coesistenti (cioè non interferenti le une con le altre)], giungendo a determinare, per [e lesioni iatrogene di cui si tratta, una percentuale pari al 18% (diciotto percento) – 19% (diciannove percento) (cfr., all’uopo, sempre la relazione supplementare di chiarimenti depositata in Cancelleria, dall’ausiliario dott.ssa Te. Ca., con modalità telematica, alla terza pagina), da risarcire senza la tecnica del cd. “danno differenziale” (e, dunque, secondo le modalità ordinarie di calcolo), in quanto incidenti su un individuo (cioè l’odierna attrice sig.ra——-) non perfettamente sano, la cui malattia preesistente non e stata però aggravata dall’evento dannoso.

34. – Pertanto, valutati i postumi permanenti, di tipo iatrogeno, nella misura del 19% (diciannove percento) questo giudicante, in applicazione dei parametri sopra menzionati ed in considerazione dell’età dell’attrice al momento dell’evento dannoso (27 anni circa), ritiene di determinare il “quantum debeatur”, all’attualità, per il danno biologico residuato all’istante, sig.ra ——– nella somma    di E 69.060,00 (euro sessantanovemilasessanta/00) per i suddetti postumi permanenti. Al suddetto importo di E. 69.060,00 (euro sessantanovemilasessanta/00) deve, poi, essere aggiunto quello di E 1.807,50 (euro milleottocentosette/50) per Invalidità Temporanea Totale, quello di ulteriori E 1.807,50 (euro milleottocentosette/50) per Invalidità Temporanea Parziale al 50% (cinquanta percento) ed, infine, quello di C. 6.326,25 (euro seimilatrecentoventisei/25) per Invalidità Temporanea Parziale al 25% (venticinque percento). Il tutto, per un importo pari, all’attualità, ad C. 79.001,25 (euro sessanta novemilauno/25), a titolo di danno biologico complessivo.

35. – Inoltre, rivestendo la fattispecie, almeno in astratto, i caratteri di illecito penale (lesioni colpose: art. 590 c.p.), compete, in astratto ed ai sensi dell’art. 2059 c.c. in relazione all’art. 185 c. p., il risarcimento del danno morale la cui liquidazione, tuttavia, risulta già ricompresa in quella del cosiddetto danno biologico, poiché effettuata sulla base di tabelle (quelle predisposte dall’Osservatorio per la Giustizia Civile di Milano) che, sulla scorta di quanto affermato dal Supremo Organo di nomofilachia (cfr., in tal senso, Cass. civ., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972; Cass. civ., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26973; Cass. civ., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26074; Cass. civ., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26975), risultano elaborate proprio allo scopo di realizzare una liquidazione complessiva del danno non patrimoniale conseguente a “lesione permanente dell’integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale”, nei suoi risvolti anatomo – funzionali e relazionali medi ovvero peculiari, e del danno non patrimoniale conseguente alle medesime lesioni in termini di “dolore”, “sofferenza soggettiva”, in via dì presunzione, con riguardo ad una determinata tipologia di lesione e, dunque, una liquidazione congiunta dei pregiudizi in passato liquidati a titolo: 1) di cosiddetto danno biologico “standard”; 2) cosiddetto danno morale. Naturalmente, le tabelle di cui si tratta, fondate su una sapiente applicazione del cosiddetto appesantimento del valore suscettibile di essere attribuito al punto tabellare di invalidità, lasciano salva (ed, anzi, addirittura espressamente contemplano) la possibilità di riconoscere percentuali dì aumento dei valori medi da esse previste, da utilizzarsi – onde consentire una adeguata “personalizzazione” complessiva della liquidazione – laddove il caso concreto presenti peculiarità che vengano allegate e provate (anche in via presuntiva) dal danneggiato, in particolare, sia quanto agli aspetti anatomo – funzionali e relazionali sia quanto agli aspetti di sofferenza soggettiva. Orbene, con espresso riguardo alla fattispecie in esame, alla stregua di quanto chiarito dall’ausiliario alla pag. 9 della relazione di Consulenza Tecnica d’Ufficio depositata in Cancelleria in data 4 novembre 2013 (“… la perizianda ha subito dal danno descritto una apprezzabile riduzione della qualità della vita di relazione.”), può senz’altro ritenersi comprovata la sussistenza, a carico dell’attrice sig.ra ——- di un quadro di marcata compromissione della vita di relazione e marcata sofferenza soggettiva (cfr., all’uopo, la relazione di Consulenza Tecnica d’Ufficio depositata in Cancelleria, dall’ausiliario dott. Ge. Lu., in data 4 novembre 2013, nonché quella di chiarimenti depositata in Cancelleria, dall’ausiliario dott.ssa Te. Ca., in data 16 dicembre 2014, nella parte in cui riconoscono la sussistenza, a carico dell’attrice sig.ra —— di una “nevrosi ansiosa di origine reattiva”) valevole a giustificare – con finalità di “personalizzazione” della liquidazione risarcitoria effettuata – un aumento dei valori medi suddetti.

36. – È da ritenersi, conseguentemente, indispensabile procedere ad un’applicazione del cosiddetto appesantimento del valore suscettibile di essere attribuito al punto tabellare di invalidità.

37. – Tale criterio dì liquidazione del cosiddetto danno morale, in quanto valevole a prendere in considerazione le sofferenze che, in senso stretto, risultano suscettibili di essere, anche in via presuntiva, correlate con le lesioni patite, risulta, del resto, perfettamente in linea con i recenti approdi della giurisprudenza dì legittimità, in tema di danno non patrimoniale. 38. – Giova, infatti, rammentare come le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, nelle recenti, ma ormai ampiamente note sentenze dell’11 novembre 2008, n. 26972, 26973, 26974 e 26975 abbiano affermato, al riguardo, principi che non possono essere elusi in questa sede. In particolare, per quanto qui interessa, sì legge nella motivazione delle suddette decisioni: “Viene in primo luogo in considerazione nell’ipotesi in cui illecito configuri reato, la sofferenza morale. Definitivamente accantonata la figura del c.d. danno morale soggettivo, la sofferenza morale, senza ulteriori connotazioni in termini di durata, integra pregiudizio non patrimoniale. Deve tuttavia trattarsi di sofferenza soggettiva in sé considerata, non come componente di un più complesso pregiudizio non patrimoniale. Ricorre il primo caso ove sia allegato il turbamento dell’animo, il dolore intimo sofferti, ad esempio, dalla persona diffamata o lesa nella identità personale, senza lamentare degenerazioni patologiche della sofferenza. Ove siano dedotte siffatte conseguenze, si rientra nel danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente. Determina quindi duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale nei suindicati termini intesa, sovente liquidato in percentuale (da un terzo alla metà) del primo. Esclusa l’applicabilità di tale operazione, dovrà il giudice, qualora si avvalga delle note tabelle, procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza “.

39. – Orbene, seguendo il criterio espressamente previsto dalle tabelle di liquidazione già sopra indicate e, tenendo conto delle circostanze del caso concreto, dell’età dell’infortunata, e delle conseguenze della malattia sulla sua salute in termini di inabilità temporanea ed invalidità permanente, è ben possibile riconoscere il ristoro per il “dolore” e la “sofferenza soggettiva” che, anche in via di presunzione, risultano suscettibili di ricollegarsi alle lesioni subite (per le quali, del resto, lo stesso primo ausiliario di questo giudice ha riconosciuto la sussistenza di un quadro di Invalidità Temporanea parziale connotato da marcata sofferenza e protrattosi lungo un arco temporale di oltre otto mesi e dì plurimi interventi chirurgici successivamente subiti), attraverso un appesantimento del valore suscettibile di essere attribuito al punto tabellare di invalidità (temporanea e permanente) in misura pari a circa il 30% (trenta percento) dello stesso, così pervenendo ad una liquidazione del cd. “danno morale” in misura pari a complessivi E. 23.700,00 (euro ventitremilasettecento/00) in cifra tonda.

40. – Il danno non patrimoniale subito deve quindi essere liquidato, complessivamente, nell’importo di E. 102.701,25 (euro centoduemilasettecentouno/25), all’attualità.

41. Nulla può essere riconosciuto, a titolo di cd. “lucro cessante” per la perdita della cd. “capacità lavorativa specifica” di casalinga, non avendo l’attrice sig.ra prodotto documentazione alcuna, valevole a dimostrare di aver dovuto affrontare esborsi economici per sopperire alla ridotta capacità di assolvere alle attività domestiche che, secondo la prospettazione difensiva, sarebbe residuata a suo carico cfr., all’uopo, Tribunale di Roma, 11 febbraio 2014, secondo cui “In caso di incidente ad una casalinga (la cui attività non può essere considerata lavorativa), ove difetti una prova certa che dimostri le spese affrontate per sopperire alla ridotta o azzerata capacità di assolvere alle attività domestiche, non si può risarcire il danno patrimoniale.”. Né, del resto, può assumersi, quale parametro utile ai fini dell’accertamento di tale pregiudizio patrimoniale, il reddito annuo dì una collaboratrice domestica suscettibile di essere desunto dal “Contratto collettivo nazionale di lavoro sulla disciplina del rapporto di lavoro domestico” invocato dalla difesa dell’attrice sig.ra —— (cfr., all’uopo, la comparsa conclusionale depositata in Cancelleria in data 18 aprile 2014, alla pag. 96), non avendo quest’ultima provveduto a produrre in giudizio tale contratto collettivo. Del resto, come più volte chiarito dalla giurisprudenza di legittimità e dì merito, “La conoscibilità della fonte normativa si atteggia diversamente a seconda che si versi in un’ipotesi di violazione del contratto collettivo nazionale di lavoro privatistico rispetto a quella in cui le questioni attengano ad un contratto collettivo nazionale del pubblico impiego, atteso che, mentre in quest’ultimo caso il giudice procede con mezzi propri (secondo il principio “iura novit curia”), nel primo il contratto è conoscibile solo con la collaborazione delle parti, la cui iniziativa, sostanziandosi nell’adempimento di un onere di allegazione e produzione, è assoggettata alle regole processuali sulla distribuzione dell’onere della prova e sul contraddittorio” (cfr., all’uopo, Cass. civ., sez. lav., 16 settembre 2014, n. 19507; cfr., altresì, Tribunale di Napoli, 22 luglio 1997, secondo cui “L’accordo collettivo costituisce un’espressione della autonomia privata ed introduce norme contrattuali di diritto comune, talché per esso non trova applicazione il principio “iura novit curia:”).

42. – Nulla compete nemmeno a titolo di “lucro cessante” da perdita della cd. “capacità lavorativa specifica” relativa all’attività di responsabile delle vendite presso un negozio di abbigliamento (asseritamente svolta dall’attrice in epoca anteriore alla verificazione dell’evento dannoso), atteso che, a tacer d’altro, l’attrice sig.ra ——– non ha fornito alcuna dimostrazione circa l’ammontare quantitativo di tali redditi lavorativi, e neppure circa la riduzione degli stessi, eventualmente subita a seguito dell’evento lesivo di cui si tratta. Del resto, come chiarito dalla giurisprudenza dì legittimità, lo stesso accertamento dell’esistenza di postumi permanenti incidenti sulla capacità lavorativa specifica non comporta necessariamente “l’automatico obbligo di risarcimento del danno patrimoniale da parte del danneggiante, dovendo comunque il soggetto leso dimostrare, in concreto, lo svolgimento di un’attività produttiva di reddito e la diminuzione o il mancato conseguimento di questo in conseguenza del fatto dannoso. (Fattispecie relativa alla richiesta di risarcimento dei danni riportati al braccio e alla spalla da un soggetto esercente l’attività di barista, senza che fosse stata dimostrata dal danneggiato la diminuzione di reddito conseguitane).” (cfr., all’uopo, Cass. civ., sez. III 3 luglio 2014, n. 15238).

43. – Competono, infine, le spese sostenute dall’attrice in relazione ai ricoveri che la stessa ha subito presso il Policlinico di Modena e che risultano documentate in misura pari ad E. 1.590,33 (euro millecinquecentonovanta/33).

44. – In definitiva, il danno complessivo di cui l’attrice sig.ra ——- deve essere risarcita risulta pari ad E. 104.291,58 (euro centoquattromiladuecentonovantuno/58).

45. – Nella liquidazione del danno cagionato da illecito aquiliano, in caso di ritardo nell’adempimento, tuttavia, deve altresì tenersi conto del nocumento finanziario (lucro cessante) subito dal soggetto danneggiato a causa della mancata tempestiva disponibilità della somma dì denaro dovuta a titolo dì risarcimento, la quale, se tempestivamente corrisposta, avrebbe potuto essere investita per ricavarne un lucro finanziario; tale danno, invero, ben può essere liquidato con la tecnica degli interessi, con la precisazione, tuttavia, che detti interessi non debbono essere calcolati né sulla somma originaria, né su quella rivalutata al momento della liquidazione, dovendo gli stessi computarsi, piuttosto, o sulla somma originaria progressivamente rivalutata, anno per anno, ovvero in base ad un indice dì rivalutazione medio (cfr., in tal senso ed “ex multis”, Cass. civ., sez. un., 17 febbraio 1995, n. 1712, nonché Cass. civ., sez. III, 10 marzo 2000, n. 2796).

46. – Orbene, per ottenere l’effetto pratico del riconoscimento degli interessi calcolati sulla somma rivalutata in base ad un indice di rivalutazione medio questo Giudicante reputa opportuno condannare la convenuta struttura sanitaria pubblica al pagamento, in favore dell’attrice sig.ra ——–, degli interessi al tasso legale previsto dall’art. 1284, comma primo, cod. civ., dalla data dell’evento dannoso (7 novembre 2000: data dell’intervento chirurgico sopra più volte menzionato) sull’importo di E 79.855,73 (euro settantanovemilaottocentocinquantacinque/73), pari alla devalutazione, in base all’indice ISTAT delle variazioni dei prezzi al consumo per le famiglie di impiegati ed operai (cosiddetto indice “FOI”), alla data del 7 novembre 2000 – quale momento in cui l’illecito si è prodotto, mediante la somministrazione del sangue infetto – di quella sopra riconosciuta a titolo risarcitorio e, quindi, anno per anno, ed a partire dal 7 novembre 2001, fino al momento della pubblicazione della presente decisione (mediante deposito in Cancelleria), sulla somma di volta in volta risultante dalla rivalutazione di quella sopra appena indicata, sempre in base all’indice ISTAT menzionato (“FOI”), con divieto di anatocismo.

47. – Pertanto, in favore dell’attrice sig.ra deve essere riconosciuta la somma complessiva di E. 136.720,17 (euro centotrentaseimilasettecentoventi/17), a titolo risarcitorio, atteso che, alla stregua dei criteri di calcolo già sopra indicati [interessi al tasso legale previsto dall’art. 1284, comma primo, cod. civ., dalla data del 7 novembre 2000 sull’importo di E. 79.855,73 (euro settantanovemilaottocentocinquantacinque/73) e, quindi, anno per anno, ed a partire dal 7 novembre 2001 fino al momento della pubblicazione della presente decisione (mediante deposito in Cancelleria), sulla somma di volta in volta risultante dalla rivalutazione dì quella sopra appena indicata, sempre in base all’indice ISTAT menzionato (“FOI”), con divieto di anatocismo], gli interessi suddetti risultano di ammontare pari ad E. 32.428,59 (euro trentaduemilaquattrocentoventotto/59), somma che va ad aggiungersi, naturalmente, alla sorta capitale già sopra liquidata all’attualità e pari, come si è visto, ad E. 104.291,58 (euro centoquattromiladuecentonovantuno/58).

48. – Dal momento della pubblicazione della presente sentenza e fino all’effettiva corresponsione, infine, dovranno essere corrisposti, sulla somma totale sopra liquidata a titolo risarcitorio, gli ulteriori interessi al tasso legale suddetto (art. 1284, comma primo, cod. civ.), ai sensi dell’art. 1282 cod. civ., posto che, al momento della pubblicazione della sentenza, l’obbligazione risarcitoria, che ha natura dì debito dì valore, sì trasforma in debito dì valuta, con conseguente applicabilità degli istituti tipici delle obbligazioni pecuniarie in senso stretto, sulla somma globale composta da capitale, rivalutazione e coacervo degli interessi maturati fino alla data predetta (pubblicazione della sentenza: cfr., in tal senso, Cass. civ., sez. III, 3 dicembre 1999, n. 13470; Cass. civ., sez. III, 21 aprile 1998, n. 4030).

49. – Peraltro, è appena il caso di rammentare li principio, p u volte evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, nei debiti di valore (qual è senz’altro l’obbligazione risarcitoria) sia gli interessi legali (compensativi) sulla somma liquidata in favore del danneggiato, che la rivalutazione monetaria decorrono dì diritto ed il giudice deve attribuirli d’ufficio anche in assenza di una specifica domanda della parte, senza con ciò incorrere in un vizio di ultrapetizione, quando quest’ultima abbia richiesto la condanna del debitore (cfr., in tal senso, Cass. civ., sez. III, 27 marzo 1997, n. 2745). Del resto, altrettanto ricorrente è l’affermazione in base alla quale “La rivalutazione monetaria e gli interessi costituiscono una componente dell’obbligazione di risarcimento del danno e possono essere riconosciuti dal giudice anche d’ufficio e in grado di appello, pur se non specificamente richiesti, atteso che essi devono ritenersi compresi nell’originario “petitum” della domanda risarcitoria, ove non ne siano stati espressamente esclusi.” (Cass. civ., sez. III, 2 dicembre 1998, n. 12234; Cass. civ., sez. II, 30 marzo 2012, n. 5144).

50. – In applicazione del principio di causalità (art. 91 cod. proc. civ.), le spese dì lite (incluse quelle liquidate in atti in favore degli ausiliari dott. Ge. Lu. e dott.ssa Te. Ca. per le attività di Consulenza Tecnica d’Ufficio ed anticipate dalla difesa dell’attrice sig.ra ——– a titolo di acconto in favore dei suddetti ausiliari) seguono la soccombenza della convenuta AZIENDA OSPEDALIERA UNIVERSITARIA – SECONDA UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI e si liquidano come da dispositivo.

51. – Va osservato, al riguardo, che il Decreto – Legge 24 gennaio 2012, n. 1 (in G.U. 24 gennaio 2012, n. 19), recante disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività, ha previsto, all’art. 9, comma 1, l’abrogazione delle tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico.

52. – L’art. 9 citato, al comma 2, prevede che – ferma restando l’abrogazione delle tariffe – “nel caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, il compenso del professionista è determinato con riferimento a parametri stabiliti con decreto del ministro vigilante”. Nella specie, tale regolamento è da identificarsi, anche in ragione dì quanto attualmente previsto dall’ara. 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247 (recante “Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense”), con il Decreto del Ministro della Giustizia 10 marzo 2014, n. 55.

53. – Deve, peraltro, disporsi, ai sensi dell’art. 93 cod. proc. civ., la distrazione delle spese di lite in favore dell’avv. MICHELE LIGUORI, difensore dell’attrice sig.ra e dichiaratasi anticipatario delle stesse (cfr., all’uopo, le conclusioni rassegnate nell’atto di citazione introduttivo del presente giudizio, nonché nella comparsa conclusionale depositata in Cancelleria in data 18 aprile 2014).

54. – In applicazione del medesimo principio (soccombenza) sono definitivamente poste a carico della convenuta AZIENDA OSPEDALIERA UNIVERSITARIA – SECONDA UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI, e spese relative alle disposte Consulenza Tecnica d’Ufficio, liquidate come da provvedimenti in atti in misura pari ad E. 1.329,03 (euro milletrecentoventinove/03), in favore del primo ausiliare (dott. Ge. Lu.) e di E. 1.329,03 (giuro milletrecentoventinove/03), in favore del secondo ausiliario (dott.ssa Te. Ca.), oltre I.V.A. e contributo assistenziale e previdenziale come per legge, con detrazione degli acconti di E. 600,00 (euro seicento/00) per il primo e di E. 400,00 (euro quattrocento/O0) per la seconda, il cui versamento risulta dichiarato da ciascuno degli stessi Consulenti Tecnici d’Ufficio nelle rispettive relazione depositate in Cancelleria e che, pertanto, dovranno essere inclusi nel computo delle cosiddette “spese vive” da rimborsarsi in favore dell’istante medesima.

P.Q.M.

IL TRIBUNALE DI NAPOLI – SEZIONE OTTAVA CIVILE -, in composizione monocratica, definitivamente pronunziando nella controversia civile promossa come In epigrafe, disattesa ogni altra istanza ed eccezione, così provvede:

In ACCOGLIMENTO della DOMANDA GIUDIZIALE, CONDANNA la convenuta AZIENDA OSPEDALIERA UNIVERSITARIA – SECONDA UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI, in persona del Direttore Generale e legale rappresentante pro tempore come indicato in epigrafe, al PAGAMENTO, in favore dell’attrice sig.ra della somma di E. 136.720,17 (euro centotrentaseimilasettecentoventi/17), a TITOLO di RISARCIMENTO DANNI, OLTRE agli INTERESSI LEGALI, al tasso previsto dall’art. 1284, comma primo, cod. civ., dalla data dì pubblicazione della presente sentenza fino all’effettiva corresponsione, con divieto di anatocismo;

CONDANNA altresì la convenuta AZIENDA OSPEDALIERA UNIVERSITARIA – SECONDA UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI, in persona del Direttore Generale e legale rappresentante pro tempore come indicato in epigrafe, al PAGAMENTO, in favore dell’attrice sig.ra delle SPESE del PRESENTE GIUDIZIO che, tenuto conto altresì di quelle relative all’espletata Consulenza Tecnica d’Ufficio ed anticipate dalla difesa dell’attrice, sì liquidano, complessivamente, in E. 25.000,00 (euro venticinquemila/00), di cui E. 7.000,00 (euro settemila/00) per spese vive ed E. 18.000,00 (euro diciottomila/00) per compensi professionali forensi, oltre al rimborso spese generali, I.V.A. e Cassa Previdenza Avvocati come per legge;

DISPONE la DISTRAZIONE delle SPESE dì LITE come sopra liquidate, in favore dell’avv. MICHELE LIGUORI, difensore dell’attrice sig.ra ——– e dichiaratosi anticipatario delle medesime;

PONE, definitivamente, a CARICO della convenuta AZIENDA OSPEDALIERA UNIVERSITARIA – SECONDA UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI, in persona del Direttore Generale e legale rappresentante pro tempore come indicato in epigrafe, il PAGAMENTO delle SPESE relative alle CONSULENZE TECNICHE d’UFFICIO, già liquidate in atti per l’importo complessivo di E. 1.329,03 (euro milletrecentoventinove/03) in favore del primo ausiliare (dott. Ge. Lu.), e di E.. 1.329,03 (euro milletrecentoventinove/03), in favore del secondo ausiliario (dott.ssa Te. Ca.), oltre I.V.A. e contributo assistenziale e previdenziale come per legge, con DETRAZIONE degli Importi di E. 600,00 (euro seicento/DD) per il primo ausiliario e di E. 400,00 (euro quattrocento/00) per il secondo, già concretamente corrisposti da parte dell’attrice sig.ra —— a titolo di acconti. Sentenza provvisoriamente esecutiva ex lege. Così decisa in NAPOLI, all’udienza del 3 aprile 2017.

Depositata in Cancelleria il 03/04/2017