” In merito alla quantificazione dei danni, occorre premettere che, contrariamente a quanto affermato da parte della giurisprudenza di merito (in considerazione del fatto che la liquidazione secondo le tabelle milanesi porta a risarcimenti economici ben superiori a quelli ottenuti con l’applicazione degli artt. 138 e 139 della L. n. 209 del 2005), ritiene questo giudice, concordemente all’orientamento seguito dalla Sezione, che debba trovare applicazione l’art. 7, comma 4, L. n. 24 del 2017, che prescrive che il danno biologico e non patrimoniale conseguente all’attività dell’esercente la professione sanitaria sia da risarcire sulla base delle tabelle di cui agli artt. 138 e 139 del D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209.

Nel caso in esame l’applicazione della c.d. legge Gelli – Bianco a fatti già verificatesi al momento della sua entrata in vigore non incide negativamente sul fatto generatore del diritto alla prestazione, ma si limita a fissare i criteri di liquidazione del danno non patrimoniale sulla base, appunto, delle tabelle di cui agli artt. 138 e 139 del Codice delle assicurazioni.

Ciò posto, si deve ritenere pertanto operativo il richiamo svolto dall’art. 7 agli artt. 138 e 139 Codice delle assicurazioni per la liquidazione delle micropermanenti sino al 9% anche relativamente a fatti avvenuti in epoca antecedente all’entrata in vigore della legge Gelli-Bianco.”

Trib. Milano Sez. I, Sent., 16-02-2018

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO

PRIMA CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Martina Flamini

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 8247/2016 promossa da:

V.C. (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. FUSETTI GIANMARIA, elettivamente domiciliato in MILANO, VIA EUGENIO CHIESA, 2 presso il difensore

ATTORE

contro

A.B. (C.F. (…))

CONVENUTO CONTUMACE

OGGETTO: Responsabilità professionale medica

Svolgimento del processo

Con atto di citazione ritualmente notificato, la Sig.ra V.C. conveniva dinanzi al Tribunale di Milano il Dott. B.A. esponendo la seguente vicenda sanitaria: il 28 marzo 2013 si era rivolta al Dott. A.B. per sottoporsi a trattamenti odontoiatrici volti a donarle un migliore aspetto estetico. Il medico proponeva un trattamento, avente un costo pari ad Euro 18.250,00 scontato ad Euro 14.000,00, che prevedeva la sostituzione dei ponti protesici esistenti e la chiusura dei diastemi presenti nell’arcata superiore, intervento da realizzarsi, da un lato, mediante la ricopertura protesica di tutti i molari e dell’elemento inferiore 35 e, dall’altro, attraverso la realizzazione di 4 nuove corone fisse degli incisivi superiori. Il sanitario procedeva a realizzare tredici corone protesiche fisse in zirconio-porcellana, previo inserimento di perni sugli incisivi superiori, senza eseguire i ritrattamenti canalari degli elementi-pilastro. Eseguiva altresì lo sbiancamento dei denti naturali nel tentativo di renderli di colore simile alle corone protesiche applicate. Il tentativo tuttavia falliva ed il medico decideva di applicare 15 faccette in zirconio-porcellana su tutti i denti naturali, con ulteriore aggravio di costi per Euro 10.450,00. I trattamenti eseguiti non avevano l’esito sperato, permanendo gli inestetismi cromatici tra denti naturali e denti artificiali, e provocando alla paziente forti dolori, che la costringevano ad assumere analgesici, ipersensibilità agli stimoli tecnici, difficoltà nella masticazione e distacco di una faccetta in zirconio. Nell’ottobre 2013 l’attrice si rivolgeva ad altro medico il quale, ravvisando una serie di problematiche, proponeva un nuovo intervento volto a risolvere la sintomatologia dolorosa che affliggeva l’attrice, oltre che a rimediare agli inestetismi ancora presenti. Al fine di valutare eventuali profili di responsabilità a carico del Dott. A.B., l’attrice si rivolgeva altresì al Dott. F. che rilevava colpa grave nell’operato del primo medico.

L’attrice promuoveva dapprima un procedimento per accertamento tecnico preventivo, che accertava la responsabilità del convenuto, e successivamente esperiva il procedimento di mediazione, al quale tuttavia il medico chiamato non partecipava.

L’attrice promuoveva l’odierno giudizio per chiedere, previa declaratoria di risoluzione del contratto concluso dalle parti, il risarcimento di tutti i danni patiti, anche di quelli futuri, con interessi e rivalutazione monetaria dal dovuto al saldo effettivo.

Acquisiti i documenti prodotti dall’attrice, rinnovata la c.t.u., non ritenendo necessario lo svolgimento di ulteriore attività istruttoria, il giudice rinviava per la precisazione delle conclusioni e, trattenuta la causa in decisione, concedeva termine ex art. 190 c.p.c. per il deposito di comparsa conclusionale.

Responsabilità professionale.

Le domande di parte attrice possono trovare accoglimento nei limiti che seguono.

In via generale, ai sensi dell’art. 7 della L. n. 24 del 2017, applicabile alla fattispecie concreta, l’esercente la professione sanitaria risponde del proprio operato ai sensi dell’articolo 2043 del codice civile, salvo che abbia agito nell’adempimento di un’obbligazione contrattuale assunta con il paziente, nel qual caso egli risponde ai sensi degli articoli 1218 e 1228 cod. civ.

Secondo il consolidato orientamento della Corte di Cassazione “in tema di responsabilità civile nell’attività medico-chirurgica, ove sia dedotta una responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e/o del medico per l’inesatto adempimento della prestazione sanitaria, il danneggiato deve fornire la prova del contratto (o del “contatto”) e dell’aggravamento della situazione patologica (o dell’insorgenza di nuove patologie per effetto dell’intervento) e del relativo nesso di causalità con l’azione o l’omissione dei sanitari, secondo il criterio, ispirato alla regola della normalità causale, del “più probabile che non”, restando a carico dell’obbligato – sia esso il sanitario o la struttura – la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile ” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 975 del 16.01.2009).

Più di recente, la Suprema Corte ha rilevato come “In tema di responsabilità contrattuale del medico nei confronti del paziente per danni derivanti dall’esercizio di attività di carattere sanitario, il paziente ha il solo onere di dedurre qualificate inadempienze, in tesi idonee a porsi come causa o concausa del danno, restando poi a carico del debitore convenuto l’onere di dimostrare o che nessun rimprovero di scarsa diligenza o di imperizia possa essergli mosso, o che, pur essendovi stato il suo inesatto adempimento, questo non abbia avuto alcuna incidenza causale sulla produzione del danno” (Cass. 15993/2011).

Nel caso di specie parte attrice ha allegato l’inesatto adempimento, da parte del Dott. B.A., delle obbligazioni nascenti dal contratto d’opera professionale intercorso tra le parti, di cui non è controversa l’esistenza.

Alla luce di ciò, e in forza dei surrichiamati principi di diritto, spettava al professionista convenuto dimostrare di aver esattamente eseguito le proprie prestazioni, o provare che queste avessero implicato la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, tali da comportare la limitazione della dedotta responsabilità professionale ai soli casi di dolo o di colpa grave (ex art. 2236 c.c.). Senonché, non essendosi costituito nel presente giudizio il convenuto nulla ha opposto alle allegazione ed alle pretese dell’attrice.

La prova del rapporto professionale intercorso tra le parti e della tipologia delle prestazioni rese dal convenuto in favore della attrice, nei termini da lei indicati, è stata fornita con la produzione della ricevuta di pagamento della somma di Euro 13.000,00 (oltre marca da bollo) rilasciata dal Dott. A.B. in data 1.8.2013 (prodotta come doc. 3 nel fascicolo acquisito agli atti e relativo all’ATP), nonché del progetto di fattura del 28.3.2013 che la attrice ha indicato come essere stato predisposto dal convenuto al momento della visita, redatto su carta intestata del Dott. A.B., e contenente i riferimenti al sanitario convenuto.

Va rilevato che tanto la relazione tecnica d’ufficio effettuata nel procedimento per accertamento tecnico preventivo, acquisita agli atti del processo, quanto la relazione tecnica rinnovata nel presente giudizio, entrambe a firma del Dott. C.R., specialista in odontoiatria – consulenze che questo giudice ritiene di poter utilizzare al fine della decisione della controversia in esame, in quanto frutto di un attento esame dei documenti ed immune da censura – hanno consentito di accertare positivamente la colpa professionale dell’odierno convenuto.

In particolare, tali relazioni – le cui conclusioni meritano di essere condivise – hanno consentito di accertare i seguenti elementi:

– nell’anno 2013 l’attrice è stata in cura dal Dott. B.A. che l’ha sottoposta ad una serie di interventi odontoiatrici aventi finalità prettamente estetiche;

– gli atti prodotti consentono di accertare che furono approntate le seguenti terapie: furono realizzate n. 13 corone protesiche in zirconio-porcellana (superiori in zona 18-17, 12-11-21-22, 27-28 ed inferiori in zona 35-36-37 e 46-47), previo inserimento di perni in fibra sugli incisivi superiori, senza eseguire i ritrattamenti canalari degli elementi di pilastro. Fu eseguito altresì lo sbiancamento dei denti naturali nel tentativo di renderli di colore simile alle corone protesiche superiori. Non andato a buon fine il detto tentativo, furono applicate 15 faccette in zirconio-porcellana su tutti i denti naturali.

Per quanto concerne la valutazione dell’operato del convenuto, gli elementi accertati dall’ausiliario del giudice consentono di ritenere che nell’espletamento dei trattamenti praticati all’attrice il convenuto non abbia agito con perizia, in quanto:

– le terapie proposte dal convenuto seppur corrette, tuttavia non sono state eseguite in modo conforme alle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica e sono state caratterizzate da elementi di imperizia;

– prima di procedere agli interventi praticati, non sono stati eseguiti tutti gli esami diagnostico prognostici necessari per valutare lo stato dei denti-pilastro, cosa che avrebbe consentito di evidenziare la presenza di lesioni cariose e granulomi apicali;

– non sono stati eseguiti i necessari ritrattamenti canalari degli incisivi superiori prima dell’inserimento degli elementi-pilastro relativi alle protesi fisse applicate nel settore incisivo superiore da 12 a 22;

– vi è stata un’eccessiva ed incongrua preparazione protesica dei denti con strumenti rotanti in termini di esagerata riduzione occlusale, oltre a corone posteriori di dimensioni non adeguate;

– vi è stata un incongrua realizzazione protesica, in particolare la faccetta in porcellana sul dente 25 risulta sovra-contornata ed imprecisa;

– la documentazione clinica è carente ed inadeguata, mancando un dettagliato diario clinico dei trattamenti eseguiti, mancando il modulo del consenso informato, mancano i certificati di conformità protesica (CEE 93/42, le fotografie, le radiografie endorali pre-cure e i modelli in gesso;

– i trattamenti eseguiti dal convenuto non hanno avuto buon esito, sia per l’inestetismo delle corone protesiche sugli incisivi superiori, l’ipersensibilità algica dei molari inferiori ricoperti con le protesi, le difficoltà masticatorie, sia infine per il distacco di alcune faccette in zirconio.

Dalle relazioni di c.t.u. emerge con chiarezza che, nell’esecuzione della prestazione sanitaria, il Dott. B.A. non ha adempiuto con diligenza alle obbligazioni sullo stesso gravanti.

I predetti elementi portano a ritenere raggiunta la prova della colpa dell’inadempimento da parte del sanitario che ha eseguito le prestazioni mediche.

Ciò posto, nella relazione di c.t.u. il consulente ha riconosciuto l’inesistenza di un danno biologico permanente non essendo rinvenibile alcuna problematica gnatologico-disfunzionale o limitazione alle articolazioni temporo-mandibolari (ATM), né peraltro l’attrice ha perso, a seguito delle terapie odontoiatriche a cui è stata sottoposta, alcun elemento dentario, né alcun elemento dentario è stato devitalizzato per l’incongrua preparazione protesica. In buona sostanza, non si è avuto un peggioramento della situazione clinica rispetto allo stato anteriore.

Parimenti l’ausiliario del giudice non ha ravvisato alcuna inabilità temporanea assoluta, vista la mancanza di ricoveri ospedalieri connessi con le incongrue terapie odontoiatriche praticate.

Ha ravvisato invece un’inabilità temporanea relativa di giorni 60 al 10% e di giorni 40 al 25%.

In merito alla quantificazione dei danni, occorre premettere che, contrariamente a quanto affermato da parte della giurisprudenza di merito (in considerazione del fatto che la liquidazione secondo le tabelle milanesi porta a risarcimenti economici ben superiori a quelli ottenuti con l’applicazione degli artt. 138 e 139 della L. n. 209 del 2005), ritiene questo giudice, concordemente all’orientamento seguito dalla Sezione, che debba trovare applicazione l’art. 7, comma 4, L. n. 24 del 2017, che prescrive che il danno biologico e non patrimoniale conseguente all’attività dell’esercente la professione sanitaria sia da risarcire sulla base delle tabelle di cui agli artt. 138 e 139 del D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209.

Nel caso in esame l’applicazione della c.d. legge Gelli – Bianco a fatti già verificatesi al momento della sua entrata in vigore non incide negativamente sul fatto generatore del diritto alla prestazione, ma si limita a fissare i criteri di liquidazione del danno non patrimoniale sulla base, appunto, delle tabelle di cui agli artt. 138 e 139 del Codice delle assicurazioni.

Ciò posto, si deve ritenere pertanto operativo il richiamo svolto dall’art. 7 agli artt. 138 e 139 Codice delle assicurazioni per la liquidazione delle micropermanenti sino al 9% anche relativamente a fatti avvenuti in epoca antecedente all’entrata in vigore della legge Gelli-Bianco.

Orbene, a titolo di danno biologico temporaneo, aderendo alle valutazioni del c.t.u. – ed applicando, come osservato, i criteri di cui all’art. 139 del Cod. Ass. – si ritiene di riconoscere l’importo di Euro 750.08.

Non pare inutile ricordare che il risarcimento del danno alla persona deve essere integrale, essendo compito del giudice accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli. Pertanto, in tema di liquidazione del danno per la lesione del diritto alla salute, nei diversi aspetti o voci di cui tale unitaria categoria si compendia, l’applicazione dei criteri di valutazione equitativa, rimessa alla prudente discrezionalità del giudice, deve consentirne la maggiore approssimazione possibile all’integrale risarcimento, anche attraverso la cd. personalizzazione del danno (Cass. Sez Un. n. 26972/08).

Con particolare riferimento alla c.d. personalizzazione, la Suprema Corte ha precisato che “il grado di invalidità permanente espresso da un barème medico legale esprime la misura in cui il pregiudizio alla salute incide su tutti gli aspetti della vita quotidiana della vittima. Pertanto, una volta liquidato il danno biologico convertendo in denaro il grado di invalidità permanente, una liquidazione separata del danno estetico, alla vita di relazione, alla vita sessuale, è possibile soltanto in presenza di circostanze specifiche ed eccezionali, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età. Tali circostanze debbono essere tempestivamente allegate dal danneggiato, ed analiticamente indicate nella motivazione, senza rifugiarsi in formule di stile o stereotipe del tipo ‘tenuto conto della gravità delle lesioni” (Cass. 23778/2014).

Posto che l’attrice non ha allegato l’esistenza di fatti specifici, non si ravvisano ragioni per procedere ad una personalizzazione del danno come sopra liquidato.

In merito ai danni patrimoniali si osserva quanto segue:

la domanda di parte attrice può trovare accoglimento con riferimento alle spese mediche sostenute e ritenute congrue dal consulente del giudice nella somma di Euro 16.186.00.

Quanto al danno patrimoniale futuro, all’attrice spetta il risarcimento dei danni (futuri) relativi agli interventi necessari, conseguenza immediata e diretta del comportamento del convenuto, da quantificarsi, sulla base delle risultanze della c.t.u., in Euro 2.000,00.

Il danno complessivo subito da parte attrice ammonta dunque al valore attuale della moneta ad Euro 18.936.08.

Su tale importo liquidato al valore attuale della moneta (con riferimento al danno non patrimoniale) non possono essere riconosciuti i c.d. interessi (legali) compensativi con decorrenza dall’illecito (alla luce dell’insegnamento risalente a Cass. Sez. Un. 17/2/1995 n.1712), giacché si verte in tema di debito di valore. Si ritiene tuttavia, in considerazione del lasso di tempo trascorso dall’illecito (5 anni), che vada riconosciuta alla danneggiata un’ulteriore somma a titolo di lucro cessante provocato dal mancato tempestivo risarcimento del danno da parte del responsabile (e conseguentemente dalla mancata disponibilità dell’equivalente pecuniario spettante), potendo ragionevolmente presumersi che il creditore ove avesse avuto la tempestiva disponibilità della somma l’avrebbe certamente impiegata in modo fruttifero. Ai fini della liquidazione equitativa del lucro cessante derivato dal mancato tempestivo risarcimento per equivalente non si ritiene di far ricorso al criterio degli interessi legali (compensativi) da calcolarsi sull’importo riconosciuto e “devalutato” fino all’illecito e poi “rivalutato” annualmente con l’aggiunta degli interessi legali fino alla decisione giudiziale ovvero sul capitale “medio” rivalutato, pure sovente adottati dalla giurisprudenza. Si ritiene preferibile, perché più rispondente alla finalità perseguita, adottare per la liquidazione equitativa del lucro cessante un aumento percentuale (2% per ciascun anno) proporzionato alla durata del ritardo nel risarcimento per equivalente. Tale criterio equitativo sembra meglio ridurre il rischio di far ricadere sul creditore/danneggiato il tempo occorrente per addivenire ad una liquidazione giudiziale del danno e ad incoraggiare il debitore/danneggiante – la cui obbligazione di risarcire per equivalente il danno diventa attuale dal momento in cui esso si verifica – a procedere ad una tempestiva riparazione della sfera giuridica altrui lesa, senza essere tentato di avvantaggiarsi ingiustamente della non liquidità del debito risarcitorio. Nel caso di specie, considerato il tempo trascorso da quando il danno si è verificato (5 anni), l’importo in questione viene dunque equitativamente liquidato attraverso una maggiorazione del 10% (2% annuo) dell’intero danno, così ottenendo un credito complessivo dell’attrice pari ad Euro 20.829,69 (pari ad Euro 18.936,08 + 1.893,61 pari al 10%).

Sulla somma di Euro 20.829,69 corrispondente all’intero danno risarcibile liquidato a parte attrice, sono altresì dovuti gli interessi al tasso legale sino al saldo e con decorrenza dalla data della presente pronuncia, coincidente con la trasformazione del debito di valore in debito di valuta.

Domanda di risoluzione del contratto.

L’attrice ha chiesto la declaratoria di risoluzione per inadempimento del contratto di prestazione d’opera professionale concluso con il medico.

Nel caso di specie, il cattivo risultato dell’intervento eseguito dal Dott. A.B., che non ha in alcun modo raggiunto il suo obiettivo, consente di ritenere sussistente un inadempimento rilevante ai fini della risoluzione a norma dell’art. 1455 cod. civ.

Ciò posto, il contratto concluso tra le parti deve essere dichiarato risolto; tuttavia, in assenza di una domanda alla condanna di parte convenuta alla restituzione delle prestazioni rimaste senza causa per effetto della dichiarata risoluzione contrattuale, nessuna pronuncia sul punto può essere emessa in quanto sarebbe ultra petita.

Spese di lite.

Le spese di lite – anche comprensive delle spese relative al procedimento per accertamento tecnico preventivo e le spese della CTU ivi espletata – seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale di Milano, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda, istanza od eccezione disattesa, così provvede:

a) accoglie le domande di parte attrice e, per l’effetto, dichiara risolto il contratto di prestazione d’opera professionale stipulato dalle parti;

b) condanna A.B. al pagamento in favore di C.V., a titolo di risarcimento dei danni non patrimoniali dalla stessa patiti, della somma di Euro 20.829,69, oltre interessi al tasso legale dalla data della presente pronuncia sino al soddisfo;

c) pone definitivamente a carico del convenuto le spese di c.t.u. – relative sia alla fase di ATP che al presente procedimento – già liquidate con separato provvedimento;

d) condanna A.B. al pagamento in favore di parte attrice delle spese di lite relative al procedimento per accertamento tecnico preventivo che liquida in Euro 1.990,00 per compensi, oltre Euro 225,00 per contributo unificato, oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge, da distrarsi in favore del difensore dichiaratosi antistatario;

e) condanna A.B. al pagamento in favore di parte attrice delle spese di lite relative al presente giudizio che liquida in Euro 4.230,00, per compensi, oltre Euro 518,00 per contributo unificato, oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge, da distrarsi in favore del difensore dichiaratosi antistatario.

Così deciso in Milano, il 14 febbraio 2018.

Depositata in Cancelleria il 16 febbraio 2018.