La Procura contabile, ha deciso di intraprendere ulteriore azione risarcitoria contro due medici aventi all’epoca dei fatti (1985) funzioni di primario e aiuto, affinchè l’Azienda Sanitaria potesse ottenere ristoro del danno indiretto subito per l’esecuzione della sentenza di condanna conseguente alle lesioni patite da una neonata in occasione del parto e consistenti nella paralisi dell’arto superiore sinistro.

La nuova azione è stata determinata dell’ulteriore pregiudizio erariale indiretto, ammontante ad € 179.687,84 – conseguente al maggiore risarcimento del danno determinato dalla Corte di Appello rispetto alla pronuncia di primo grado del Tribunale di Matera.

Al ginecologo curante della puerpera e primario del reparto di ostetricia e ginecologia si era ritenuto addebitabile il fatto di non avere predisposto un parto cesareo di elezione, che avrebbe evitato la condizione traumatica subita dalla piccola durante il parto naturale, mentre all’aiuto si era addebitato un errore nelle manovre di disimpegno delle spalle del feto che causò lo stiramento eccessivo dei tessuti tra collo e spalla sinistra, causando la paralisi ostetrica.

Corte dei Conti – Basilicata; Sent. n. 53 del 27.03.2012

F A T T O

L’azione risarcitoria esercitata dalla Procura contabile riguarda un’ipotesi di danno indiretto subito dall’allora ASL n. 5 di Montalbano Jonico (attualmente Azienda Sanitaria Locale di Matera: ASM) per effetto dell’avvenuta esecuzione della sentenza della Corte di Appello di Potenza n. 337/2009.

Invero la fattispecie che ha originato la condanna risarcitoria anche a carico dell’Azienda Sanitaria, cioè i danni subiti dalla neonata Y.  M.  in occasione del parto avvenuto il 28.2.1985 presso l’Ospedale di X. , era già stata oggetto di un giudizio presso questa Sezione sfociato nella sentenza n. 91/2008.

Infatti, a seguito dell’azione risarcitoria intrapresa dai genitori della piccola Y.  M. , contro  l’Azienda Sanitaria e i due medici dipendenti  P.  e S. , il Tribunale Civile di Matera, con sentenza n. 429/2001, condannava in solido i convenuti al risarcimento dei danni subiti dalla neonata (paralisi dell’arto superiore sinistro a seguito di lesione del plesso brachiale), determinando la somma dovuta in lire 175.000.000 oltre gli accessori di legge e spese di giudizio.

La citazione in giudizio dei medici ginecologi P.  e S. , promossa dal Procuratore regionale per il ristoro del danno indiretto sino a quel momento subito dall’Azienda Sanitaria per l’esecuzione della succitata sentenza di primo grado, era sfociata nella già richiamata sentenza di questa Sezione n. 91/2008.

La pronuncia – accertato che il danno era conseguenza della grave colpa professionale dell’allora primario del reparto di ostetricia e ginecologia dell’Ospedale di X.  dott. P. ,  e dell’aiuto dott. S.  – aveva condannato il primo nella misura  di  € 138.392,39, ed il secondo nella misura di  € 34.598,10, a risarcire il danno subito dall’Azienda Sanitaria.

Riferisce l’atto introduttivo del presente giudizio che in data 30 agosto 2010 l’Azienda sanitaria di Matera comunicava alla Procura di aver dovuto provvedere al pagamento dell’ulteriore risarcimento del danno in favore di F.  V. ,  quale genitrice esercente la potestà sulla minore Y.  M.   a seguito della sentenza della Corte d’Appello di Potenza n.337/2009.

Infatti, all’esito dell’impugnazione della sentenza del Tribunale Civile di Matera n. 429/2001 da parte della madre di Y.  M. , la Corte di Appello di Potenza, confermando gli elementi che avevano condotto alla pronuncia di primo grado di condanna in solido dell’Azienda e dei medici convenuti, aveva determinato il danno da risarcire nella maggiore misura di € 252.005,00, oltre interessi legali dal 28 febbraio 1989 e spese  di giudizio.

Ne è   conseguito   un  concreto   ulteriore  esborso (  al  netto di quanto  già  versato  a  seguito   della pronuncia di primo grado) da parte della pubblica amministrazione della somma di €.179.687,84 (mandato di pagamento n.484 del 26.7.2010), a definitiva tacitazione delle pretese risarcitorie avanzate dagli esercenti la patria potestà della piccola Y.  M.  nei confronti della ex ASL di Montalbano Jonico.

Conseguentemente la Procura contabile ha evocato nel presente giudizio i medici dott. P.  e dott. S.  per rispondere dell’ulteriore danno indiretto pari ad € 179.687,84, subito dall’Azienda Sanitaria che ha dato esecuzione alla succitata sentenza della Corte di Appello di Potenza.

 Circa l’elemento soggettivo dell’invocata responsabilità ed il riparto dell’addebito, l’attore, dopo aver fatto ampi richiami a quanto argomentato nella succitata sentenza di appello e nella C.T.U. svolta dal dott. Prof. Claudio Buccelli in occasione della sentenza di primo grado, precisa: “In particolare al P. , quale ginecologo curante della puerpera e primario del reparto di ostetricia e ginecologia dell’Ospedale di X. , è addebitabile il fatto di non avere predisposto un parto cesareo di elezione, che certamente avrebbe evitato la condizione traumatica che dovette subire la neonata durante il parto naturale, mentre allo S.  è addebitabile un errore nelle manovre di   disimpegno delle spalle del feto che causò lo stiramento eccessivo dei tessuti tra collo e spalla sinistra, causando alla neonata la lamentata paralisi ostetrica……

Quanto  al riparto delle responsabilità   fra  gli odierni   convenuti,

questo P.M. ritiene di indicarlo nelle proporzioni di tre quarti in capo al

P.  ( per un ammontare di €.134.766,00) e di un quarto in capo allo S.  ( per un ammontare di €.44.922,00),  in quanto – come desumibile dalle sentenze civili nonché dalla  C.T.U. che ne è alla base ed in particolare dalla sentenza di codesta Corte n.91/2008/El           ( alla cui motivazione ci si riporta estensivamente) è ben più grave la posizione del primario dr. P.  rispetto a quella del sanitario intervenuto nell’emergenza del parto, dr. S. ”.

Pertanto l’atto introduttivo del giudizio conclude affinchè gli odierni convenuti siano condannati “nelle percentuali innanzi indicate o nelle diverse che il collegio riterrà di adottare,  al pagamento in favore dell’ex ASL n.5 di Montalbano Jonico (attuale ASM) della somma complessiva di €.179.687,99 oltre interessi e rivalutazione come per legge”.

In difesa del dott. P. , si sono costituiti in giudizio gli avvocati Italo M.  Rocco e Nicola Rocco, depositando memoria il 31.10.2011 in cui, innanzitutto, eccepiscono la prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento promosso dalla parte pubblica, indicando quale dies a quo della decorrenza del relativo termine quello dell’ “evento che tale erogazione ha reso inevitabile”, individuato nel parto avvenuto nel lontano 25.2.1985. I difensori hanno, poi, sostenuto che dal giudicato civile intervenuto sulla fattispecie all’esame, non discende alcun vincolo per il giudice contabile,   che   deve  procedere  ad    una   nuova   ed   autonoma valutazione   dell’intera    fattispecie  ai  fini  dell’accertamento degli elementi costitutivi dell’invocata responsabilità amministrativa.

Nel merito, la difesa si è lungamente soffermata  a sostenere  che al momento del ricovero della partoriente non esistevano situazioni patologiche tali da far prevedere il rischio di una distocia di spalle del feto e che imponessero la preventiva scelta di un taglio cesareo; puntualizza, allo scopo, che il sospetto di macrosomia fetale, ancorchè fondato, non costituisce ex se indicazione assoluta per un taglio cesareo, né esiste un rapporto di stretta derivazione causale tra la macrosomia e la distocia di spalle; inoltre quest’ultima è un evento imprevisto ed imprevedibile diagnosticabile solo dopo l’espulsione della testa del feto.

Secondo la prospettazione difensiva manca, quindi, una relazione causale tra la scelta di procedere con parto naturale e la paralisi ostetrica riportata dalla piccola M.  Y. ; i danni riportati dalla neonata, inoltre, sono esclusiva conseguenza dell’errata esecuzione della manovra di disimpegno delle spalle del feto per risolvere l’emergenza sopravvenuta (distocia di spalle) da parte del dott. S.  che materialmente vi provvide.

I difensori chiedono, poi, in via del tutto subordinata, ove non fossero condivise le argomentazioni innanzi esposte in tema di nesso di causalità, che sia attribuita al loro assistito un ruolo secondario e marginale rispetto alla produzione dell’evento dannoso, con conseguente minor addebito, rispetto al riparto indicato nell’atto di citazione.

Sostenendo, quindi, che nessuna colpa grave può essere ascritta al dott. P.  e che, comunque, il suo comportamento non è etiologicamente collegabile con il danno subito dalla neonata, i difensori, dopo aver confermato l’eccezione di prescrizione, hanno concluso, in via principale, per il rigetto dell’avversa domanda, e, in subordine, per l’applicazione del potere riduttivo dell’addebito.

In difesa del dott. S.  si è costituito in giudizio l’avvocato        

Montagna, depositando il 25.11.2011 memoria in cui preliminarmente, eccepisce la prescrizione ”Poiché dal momento in cui il danno si è manifestato – sentenza del tribunale di Matera n. 429 del 19/2/2001 – sono trascorsi oltre cinque anni, il diritto al risarcimento è ormai definitivamente prescritto”.

Nel merito, la difesa sottolinea che la scelta del trattamento sanitario è stata effettuata dal solo dott. P. , rappresentando esclusiva competenza del primario;l’aiuto primario, nell’occasione reperibile, si era limitato ad assistere al parto, pur suggerendo di ricorrere a intervento cesareo (a sostegno di quest’ultima affermazione richiama la depositata nota del legale dei genitori di Ciana M.  del 10.3.1988).

La responsabilità del dott. P. , inoltre, trarrebbe origine anche dal fatto che detto sanitario aveva avuto in cura la madre della nascitura e, quindi, ne conosceva i precedenti anamnestici e quelli relativi al primo parto distocico.

La difesa, anche con l’ausilio della C.T. di parte resa dal prof. Schonauer e depositata agli atti, si è soffermata, poi, ad evidenziare che nessuna colpa è addebitabile al suo assistito circa la contestata manovra espulsiva del feto, tenuto conto che tale manovra è stata compiuta prima dall’ostetrica, che assisteva al parto, e, poi, considerato che il primo tentativo non era riuscito, dal dott. S. ; ne consegue che “ non si può addebitare a quest’ultimo quel che potrebbe essere stato causato dalla precedente operatrice”. Su tali presupposti la difesa ha concluso per il rigetto della domanda avanzata dalla Procura Regionale.

All’odierna pubblica udienza, il Pubblico ministero, dopo  aver ulteriormente illustrato la tesi accusatoria, ha confermato le conclusioni rassegnate nell’atto di citazione.

I difensori intervenuti per i ricorrenti, hanno preliminarmente riferito che avverso la sentenza di questa Sezione n. 91/2008 è stato interposto appello, chiedendo, quindi, la sospensione ovvero un rinvio della trattazione del presente giudizio in attesa della definizione dell’impugnazione; hanno, poi, ulteriormente illustrato gli argomenti svolti nelle memorie scritte, confermando le conclusioni ivi rassegnate.

Considerato in

D I R I T T O

Preliminarmente il Collegio ritiene di disattendere la richiesta di sospensione e/o rinvio del presente giudizio, in attesa della decisione dell’appello interposto dagli interessati avverso la precedente sentenza di questa Sezione n. 91/2008.

Tra il giudizio di appello e l’odierno giudizio, infatti, non intercorre alcun rapporto di pregiudizialità che imponga la sospensione di quest’ultimo ai sensi dell’articolo 295 c.p.c.; né, del resto, l’attesa sentenza di appello costituisce antecedente logico vincolante per questo Giudice nel presente giudizio, caratterizzato da un nuovo e sopravvenuto elemento oggettivo dell’invocata responsabilità.

Occorre, poi, esaminare l’eccezione preliminare di merito di prescrizione avanzata da entrambi i difensori.

Come riferito in fatto, l’odierna controversia concerne una tipica ipotesi di danno indiretto subito da una Pubblica Amministrazione. Sulla vexata questio dell’individuazione del momento di esordio del termine di prescrizione nelle ipotesi di danno indiretto, sono recentemente intervenute le Sezioni Riunite di questa Corte con sentenza n. 14/QM/2011 del 5.9.2011.

Al riguardo è stato precisato che, pur sorgendo l’obbligazione di pagamento per la Pubblica amministrazione a seguito di una sentenza esecutiva che la condanni al risarcimento di danni, prima dell’effettivo esborso è ravvisabile una situazione di danno potenziale, che potrebbe anche non attualizzarsi; solo in presenza di tutti gli elementi necessari ad integrare la responsabilità amministrativa, l’azione risarcitoria, demandata alla cognizione del giudice contabile, può essere ritualmente esercitata, per cui, in mancanza dell’avvenuto effettivo pagamento, l’elemento oggettivo del danno per le finanze pubbliche non è ancora configurabile, in difetto dei caratteri della concretezza ed attualità.

Dopo aver richiamato la regola generale posta dall’art. 2935 del c.c. – secondo la quale la prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere – e ribadito che solo in presenza di un danno attuale e concreto l’azione risarcitoria può essere esercitata, le Sezioni Riunite hanno enunciato il principio di diritto secondo cui “il dies a quo della prescrizione dell’azione di responsabilità per il risarcimento del danno c.d. indiretto va individuato nella data di emissione del titolo di pagamento al terzo danneggiato”.

Applicando alla vicenda di cui è controversia il principio fissato dalle Sezioni Riunite – le cui pronunce nell’esplicazione della propria funzione nomofilattica sono assistite da accresciuta forza vincolante con l’entrata in vigore dell’’art. 42 della legge n. 69/2009, che ha modificato l’art.1, comma 7, del d.l. n.453/1993 – va constatato, da un verso, che il pagamento disposto dall’Azienda Sanitaria, per adempiere l’obbligazione risarcitoria disposta con la sentenza della Corte di Appello di Potenza n. 337/2009, è avvenuto con mandato n.484 del 26.7.2010, e, da altro verso, che la Procura regionale ha utilmente esercitato l’azione di propria competenza, prima con la notifica dell’invito a fornire chiarimenti e documenti (perfezionatasi il 25.1.2011 per il dott. P.  e il giorno 1.2.2011 per il dott. S. ), e, poi, con la notifica dell’atto di citazione ( avvenuta il 9.6.2011 per il dott. P.  e il 15.7.2011 per il dott. S. ).

Deve, quindi, ritenersi rituale l’esercizio dell’azione risarcitoria da parte della Procura regionale, tempestivamente intervenuto entro il quinquennio previsto dall’art.1, comma 2, della legge n. 20/1994.

Conseguentemente l’eccezione di prescrizione avanzata dalle difese va respinta.

Passando all’esame del merito, è necessario premettere che la sentenza della Corte di Appello di Potenza n. 337/2009, ha sostanzialmente confermato tutti gli elementi che avevano condotto alla pronuncia di primo grado, di condanna in solido dell’Azienda e dei medici convenuti, anche richiamando la consulenza tecnica d’ufficio, resa in primo grado dal prof. Claudio Buccelli, determinando, poi, il danno da risarcire nella maggiore misura di € 252.005,00.

Dal complesso degli atti acquisiti al fascicolo di causa non sono emersi profili di novità, tali da determinare una modifica degli elementi e considerazioni che hanno condotto alla pronuncia di condanna emessa con la precedente sentenza di questa Sezione            n. 91/2008, sul risarcimento del danno sino a quel momento subito dall’Amministrazione sanitaria.

Pertanto, anche dell’ulteriore pregiudizio erariale indiretto, ammontante ad € 179.687,84 – conseguente al maggiore risarcimento del danno determinato dalla Corte di Appello –  devono rispondere gli odierni convenuti, poiché dall’esaustiva istruttoria svolta dal Tribunale Civile di Matera e, soprattutto, dalla condivisibile Consulenza Tecnica d’Ufficio disposta dal predetto organo giudicante e depositata agli atti di causa dal requirente, emergono riscontri utili a confermare l’assunto attoreo circa la grave colpa professionale dei medici convenuti.

La richiamata consulenza tecnica di ufficio giunge, infatti, all’argomentata conclusione che la menomazione subita dalla neonata sia stata la conseguenza dell’errata scelta di un parto fisiologico, invece di quello mediante taglio cesareo (“vi era prevedibilità del parto distocico…..un parto operativo mediante taglio cesareo avrebbe agevolmente potuto evitare la produzione della paralisi ostetrica”) nonché di non corrette manovre nell’assistenza al parto (“causa della paralisi ostetrica riportata dalla giovane Y.  M.  è stato uno stiramento eccessivo dei tessuti tra collo e spalla sinistra,comprendenti anche i nervi  del plesso  brachiale…..Tale stiramento è stato provocato da errate manovre nell’assistenza al parto…).

Orbene, il non aver disposto il parto mediante taglio cesareo ha configurato una scelta imputabile esclusivamente al primario dott. P. , per la decisiva considerazione che l’art. 7 del d.P.R. n. 128/1969 (disciplinante l’ordinamento interno dei servizi ospedalieri) demanda specificamente al primario – oltre la generica vigilanza sull’attività del personale in servizio presso il reparto e la responsabilità dei malati – la definizione dei criteri diagnostici e terapeutici che devono essere seguiti dagli aiuti e dagli assistenti.

L’opzione di procedere mediante parto naturale, anche a fronte delle perplessità manifestate dall’aiuto dott. S. , è, quindi, riconducibile all’esclusiva responsabilità del primario.

Circostanza quest’ultima che trova conferma anche in via indiretta e, cioè, nella richiesta del 10.3.1988, sottoscritta da entrambi i genitori di Y.  M.  unitamente al loro legale, di risarcimento del danno subito dalla neonata in occasione del parto avvenuto il 28.2.1985 presso l’Ospedale di X.  – “…la indicazione di un parto operativo con taglio cesareo, peraltro empiricamente richiesto dalla mia cliente e scientificamente suggerito dall’aiuto operatore dott. S.  al manifestarsi delle difficoltà durante l’espletamento… (la risposta del dott. P.  fu di insistere nella applicazione della ventosa)”-.

Inoltre, assume particolare rilievo, per la prova della sussistenza della responsabilità del primario dott. P. , il fatto che – come inequivocabilmente emerge dall’istruttoria svolta in sede civile – il predetto medico aveva avuto in cura la madre della Y.  M.  durante il periodo di gravidanza (vedasi deposizione del teste Bonito, nonchè i certificati medici dal P.  rilasciati il 28/8, 11/10, 20/10 e 30/11/1984).

Il sanitario era, quindi, perfettamente a conoscenza che la partoriente era portatrice di esiti di poliomielite anteriore acuta, con conseguente bacino viziato, e che nel precedente parto del 30.12.1980, anch’esso distocico, la neonata aveva riportato una paralisi ostetrica all’arto superiore, in seguito risoltasi positivamente.

In base a tali conoscenze, nell’esercizio della sua funzione di primario, il dott. P.  aveva il dovere di impartire disposizioni, al momento del ricovero della partoriente, affinché si provvedesse mediante taglio cesareo.

Il C.T.U. evidenzia ampiamente come il bacino viziato rendesse molto probabile l’insorgenza di inconvenienti durante il travaglio del parto naturale (in tal senso, in particolare, pagg. 21, 22 e 23 della relazione del prof. Buccelli) e che, considerando anche la conoscenza di un  precedente parto distocico, il primario “avrebbe dovuto per tempo dare a questo (il riferimento è all’aiuto) l’indicazione a praticare il cesareo per non sottoporre la partoriente all’inutile e non effimero rischio di complicanze da parto”.

All’evento pregiudizievole ha concorso anche il dott. S. , atteso che egli è stato l’unico medico che “operativamente” ha seguito il parto (l’affermazione del dott. P.  di essersi limitato ad assistervi senza indossare né camice, né guanti, non trova smentite agli atti).

La consulenza tecnica di ufficio, dopo essersi lungamente soffermata sulle dinamiche e conseguenti problematiche della tipologia di parto, afferma: “ E’ evidente a questo punto che la paralisi ostetrica medesima fu determinata da un errore di comportamento di chi manualmente provvedeva al parto, dott. S. , ma il rischio che l’evento sfavorevole rappresentato dalla distocia di spalla si verificasse, con conseguente più elevata possibilità dell’ errore dell’operatore, fu concretizzato dalla decisione di non procedere al taglio cesareo”.

La  chiara  e   condivisibile  affermazione  del  C.T.U.,  se nella  prima parte delinea la concorrente condotta colposa del dott. S. , cui va ascritto un grave errore professionale nell’esecuzione del parto, nella seconda parte evidenzia il maggior contributo causale al danno derivato dalla mancata opzione per il taglio cesareo che ha reso “più elevata possibilità dell’ errore dell’operatore”.

In sostanza l’aiuto dott. S.  si è trovato ad operare in un contesto di “maggiore difficoltà” derivante dalla scelta effettuata  dal primario, circostanza che, peraltro, non esclude la sussistenza della sua responsabilità.

Proprio in ragione del diverso apporto nella produzione del danno dei due convenuti, occorre distinguere la loro posizione.

Nel delineato contesto  va ascritta al Dr. S.  solo una parte del danno, di cui l’attore chiede il risarcimento,  pari  al 20% ( € 35.937,60)  dell’intero pregiudizio, mentre   al dott.   P.   va  addebitata  la residua  porzione dell’ 80%  ( € 143.750,39),  in considerazione sia del un più elevato contributo causale al verificarsi del danno stesso, come innanzi detto, sia di una maggiore gravità dell’elemento soggettivo dell’invocata responsabilità.

A quest’ultimo proposito, appare connotata da vistosa gravità l’omessa scelta del trattamento palesemente più idoneo da parte del primario, che da tempo conosceva gli elementi che avrebbero dovuto imporre il taglio cesareo.

In base alla ricostruzione innanzi operata, appare chiaro che i comportamenti di entrambi i convenuti si pongono in nesso di causalità nella produzione dell’evento, secondo quanto previsto dall’art. 41, comma 1, del c.p., anche se al comportamento del primario va ascritto un maggior contributo alla produzione del danno.

Conclusivamente, in accoglimento della pretesa attrice, i convenuti P.  e S.  vanno condannati al pagamento in favore dell’Azienda Sanitaria n. 5 di Montalbano Jonico (attualmente ASM: Azienda Sanitaria Matera), rispettivamente, della somma di  € 143.750,39, e di € 35.937,60, entrambe maggiorate della rivalutazione monetaria, a decorrere dalla data del pagamento effettuato dalla Azienda sanitaria medesima in favore dei terzi danneggiati in esecuzione della sentenza della Corte di appello di Potenza  n. 337 del 2009, e sino alla pubblicazione della presente pronuncia, e degli interessi legali, decorrenti da tale ultima data e sino al soddisfo.

Le spese di giustizia seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.