Secondo la pubblica accusa un medico in servizio presso il pronto soccorso di un ospedale dove un uomo si era recato per un insistente dolore al torace, ne aveva determinato la morte per colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia. In particolare, per avere omesso di valutare adeguatamente i sintomi di una sindrome coronarica acuta di tipo ischemico già in atto, nonché di consigliare al paziente di sottoporsi ad osservazione clinica al fine di effettuare elettrocardiogrammi, dosaggi dei marcatori cardiaci e tutti i controlli ed esami di laboratorio necessari per chiarire la natura e le cause del problema.

Cassazione Penale – Sez. IV; Sent. n. 4957 del 31.01.2014

Ritenuto in fatto

-1- L.A. è stato tratto a giudizio davanti al Tribunale di Napoli per rispondere del decesso di F.A. , sopraggiunto intorno alle ore 12.40 del X.  per arresto cardiaco.

Secondo l’accusa, il Dott. L. , medico presso il pronto soccorso dell’ospedale X.  , ove il F. si era portato per un insistente dolore al torace, ne ha cagionato la morte per colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia. In particolare, per avere omesso di valutare adeguatamente i sintomi di una sindrome coronarica acuta di tipo ischemico già in atto, nonché di consigliare al paziente di sottoporsi ad osservazione clinica al fine di effettuare elettrocardiogrammi, dosaggi dei marcatori cardiaci e tutti i controlli ed esami di laboratorio necessari per chiarire la natura e le cause del dolore lamentato.

Lo stesso L. è stato chiamato a rispondere, oltre che del delitto di omicidio colposo, anche del reato di cui all’art. 479 cod. pen., per avere, nella qualità sopra indicata, redatto e rilasciato il referto medico n. 75149, nel quale era stato falsamente attestato che il F. aveva rifiutato l’osservazione che era stata consigliata dal sanitario.

I passaggi temporali che hanno caratterizzato la vicenda in esame sono stati ricostruiti nei seguenti termini.

Nella mattinata del 28 ottobre 2005, F.A. , avendo accusato un persistente dolore al torace, si era portato, accompagnato da I.R. , presso il predetto ospedale. Poiché i controlli eseguiti non avevano rivelato alcuna significativa alterazione fisiologica in atto, egli aveva deciso di lasciare l’ospedale e ritornare alle proprie occupazioni, avendo rifiutato di sottoporsi ad ulteriori accertamenti. La visita presso detto ospedale si era svolta tra le ore 10,40 e le ore 10,50. Circa un’ora dopo, intorno alle 11,55, il F. si era sentito ancora male e, allertato il “118”, era ritornato in ospedale ove era deceduto alle ore 12,40, dopo vane manovre rianimatorie.

-2- Il tribunale, in composizione monocratica, ha affermato la responsabilità dell’imputato in ordine al delitto di omicidio colposo e lo ha condannato, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, alla pena di quattro mesi di reclusione, nonché al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili, da liquidarsi in separato giudizio. Lo ha invece assolto dal reato di falso, ritenuto insussistente essendo emerso che il L. non aveva contraffatto la decisione del paziente, che aveva effettivamente rifiutato il ricovero, sia pure sulla base di un’informazione sbagliata, ma l’aveva solo erroneamente orientata.

Il giudice di primo grado ha anzitutto osservato come dall’istruttoria dibattimentale – al di là del contrasto emerso tra le parti in ordine al quadro clinico che presentava il F. al suo arrivo al pronto soccorso dell’ospedale e delle considerazioni mediche che se ne sarebbero potuto trarre – fosse emersa una circostanza da tutti ammessa, e cioè, l’opportunità che il paziente fosse trattenuto in osservazione per essere sottoposto al dosaggio dei marcatori.

In particolare, ha precisato lo stesso giudice, il teste a difesa, Dott. A. , collega del L. , ciò aveva consigliato, dopo avere appreso i sintomi denunciati dal paziente; lo stesso imputato aveva dichiarato di avere suggerito al F. l’osservazione per verificare l’efficacia del prodotto prescritto e, quindi, la bontà della sua diagnosi, mentre il teste d’accusa, I.R. , aveva ricordato che la prospettiva di una ulteriore osservazione era stata avanzata dallo stesso L. . Secondo il tribunale, quindi, poiché la mancata diagnosi della patologia cardiaca era dipesa dal rifiuto opposto dal paziente all’indicazione del sanitario di fermarsi in ospedale per sottoporsi ad osservazione, l’indagine, ai fini della decisione, avrebbe dovuto solo riguardare detto rifiuto, più specificamente, le ragioni dello stesso, con riferimento al tipo di informazione che al paziente era stata fornita dal L. .

A tale proposito, il giudicante ha affermato che il rifiuto non aveva alcuna efficacia scriminante, posto che la decisione del paziente doveva ritenersi niente più che una manifestazione di adesione dello stesso all’indicazione proveniente dal medico, essendo essa intervenuta dopo le rassicurazioni circa le sue condizioni di salute. Rassicurazioni che, però, erano il frutto di non corrette informazioni fornite dal sanitario, posto che la molteplicità degli elementi sintomatici rilevati sul F. , e cioè, la presenza di un dolore al petto, puntoreo prolungato nel tempo, e di sudorazione algida, nonché gli esiti di un ECG valutato dalla strumentazione “anormale” e comunque ai limiti dell’alterazione, avrebbero dovuto indurre il sanitario a sospettare la possibilità di un coinvolgimento dell’apparato cardiocircolatorio e a completare tutto il ciclo di indagini prima di stilare una diagnosi di “toracoalgia”, trattenendo il paziente ed evitando di orientarlo erroneamente.

In definitiva, sarebbe bastato, a giudizio del tribunale, che il medico non avesse fornito le rassicurazioni richieste dal F. sul suo stato di salute, che escludevano a priori la sindrome coronarica in atto, per paura della quale egli si era recato in ospedale.

In punto di nesso causale, il primo giudice, richiamando la sentenza delle SU di questa Corte, n. 30328/2002, ne ha rilevato la sussistenza, avendo ritenuto che la permanenza in reparto ospedaliero avrebbe scongiurato il decesso.

Di qui l’affermazione di responsabilità dell’imputato.

-3- Impugnata tale decisione dal L. , la Corte d’Appello di Napoli, disposta la rinnovazione dell’istruttoria per sottoporre ad ulteriori esami i testi A. e I. , con sentenza del 12 giugno 2012, ha assolto l’imputato perché il fatto non costituisce reato.

Il giudice del gravame, richiamando anche quanto emerso in esito all’esperito supplemento istruttorio, ha sostenuto che gli accertamenti clinici, necessari a verificare la reale origine del dolore toracico accusato dal F. , non erano stati eseguiti a causa della decisione di quest’ultimo di non sottoporvisi, per cui nessun addebito poteva muoversi all’operato del medico, che aveva consigliato il paziente di fermarsi in ospedale, in osservazione, e che aveva apertamente dissentito da tale decisione, come visivamente attestato dalla doppia sottolineatura presente sul referto medico, ove risultava annotato il rifiuto, da parte del F. , sia della terapia farmacologica sia dell’ulteriore osservazione.

-4- Avverso detta sentenza propongono ricorso per cassazione il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Napoli e le parti civili B.C. , F.C. e F.E. .

4.A) Il PG, con unico motivo, denuncia l’insufficienza della motivazione e la mancata valutazione di prove decisive esistenti in atti ed espressamente richiamate nella sentenza di primo grado. Il riferimento è al referto di pronto soccorso stilato dall’imputato al momento delle dimissioni del F. ed alle annotazioni riportate in detto documento in ordine alla diagnosi (“toracoalgia”) ed a quanto era stato consigliato al paziente (recarsi dal medico curante). Sul punto, si era a lungo soffermato il primo giudice che aveva evidenziato come tali elementi consentissero di ricostruire la responsabilità dell’imputato, in quanto indicativi di un’inadeguata informazione al paziente, circa la presenza di possibili patologie cardiache, e di un’errata percezione, da parte dello stesso, del rischio che correva sottraendosi agli approfondimenti diagnostici. È probabile, sostiene il ricorrente, che la corte territoriale abbia superato la questione richiamando le dichiarazioni rese, in sede di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, dai testi escussi circa le raccomandazioni fatte al F. dal suo accompagnatore di fermarsi in ospedale e le spiegazioni fornite dall’imputato in ordine all’impossibilità di articolare una diagnosi senza ulteriori approfondimenti diagnostici. E tuttavia, si soggiunge nel ricorso, la corte territoriale, non solo non ha argomentato in alcun modo in ordine all’attendibilità dei testi, né ha proceduto alla comparazione delle loro dichiarazioni con quelle rese in precedenza, ma non si è in alcun modo espressa circa l’adeguatezza dell’informazione fornita al paziente in ordine ai rischi ai quali si esponeva allontanandosi dall’ospedale.

4.B) Le parti civili deducono;

a) Vizio di motivazione della sentenza impugnata: inconferenza della motivazione resa dalla corte territoriale rispetto a quella articolata nella sentenza di primo grado. Sostengono le PC ricorrenti che, se è vero che il giudice d’appello può pervenire ad una ricostruzione dei fatti diversa rispetto a quella effettuata dal primo giudice, è anche vero che egli ha l’onere di tener conto delle valutazioni svolte da quest’ultimo e di indicare le ragioni per le quali ha inteso discostarsene. A tale obbligo, la corte territoriale si sarebbe sottratta, avendo omesso di considerare e di confutare le argomentazioni poste dal primo giudice a sostegno della decisione di condanna dell’imputato, essendosi limitata a ricordare le dichiarazioni rese dai testi I. e A. in sede di parziale rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, senza indicare se, ed in che termini, esse si discostavano da quelle rese al tribunale e senza chiarire i motivi di dissenso rispetto a quanto da questo sostenuto;

b) Omessa motivazione in ordine alle argomentazioni difensive esposte dalle PC con memoria depositata in sede di gravame, allegata al ricorso, laddove era stata evidenziata la necessità di un immediato dosaggio dei marcatori, posto che il dolore al petto e la sudorazione si presentavano quali sintomi di una possibile sofferenza coronarica, specie in vista dei risultati non normali dell’ECG;

c) Ancora vizio di motivazione, rispetto alle risultanze probatorie in punto di ritenuta assenza di sudorazione nel paziente e di valutazione della condotta dell’imputato;

d) Vizio di motivazione in punto di consenso informato. Si sostiene nel ricorso che il giudice del gravame non avrebbe svolto alcuna indagine circa la presenza di una compiuta ed esauriente informazione al paziente da parte del sanitario; non si sarebbe chiesto, cioè, lo stesso giudice, quali informazioni il F. avrebbe ricevuto circa la possibilità di una sindrome coronarica, sugli sviluppi della terapia farmacologica prescritta, sulla prescrizione di recarsi dal medico di famiglia.

Concludono i ricorrenti, chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.

Considerato in diritto

I ricorsi sono infondati, inesistenti essendo i dedotti vizi di motivazione.

-1- In tema di vizio motivazionale questa Corte ha costantemente affermato che il vizio della mancanza o manifesta illogicità della motivazione, valutabile in sede di legittimità, sussiste allorché il provvedimento giurisdizionale manchi del tutto della parte motiva, ovvero la medesima, pur esistendo graficamente, sia tale da non evidenziare l’iter argomentativo seguito dal giudice per pervenire alla decisione adottata. È stato, altresì, affermato che il vizio è presente anche nell’ipotesi in cui dal testo della motivazione emergano illogicità o contraddizioni di tale evidenza da rivelare una totale estraneità tra le argomentazioni adottate e la soluzione decisionale prescelta.

L’indagine di legittimità sulla motivazione affidata a questa Corte è quindi volta solo ad accertare se gli elementi probatori utilizzati dal giudice del merito siano stati compiutamente valutati secondo le regole della logica, attraverso un iter argomentativo congruo ed adeguato, idoneo a giustificare la decisione adottata; rimanendo estraneo ai poteri del giudice di legittimità un intervento volto ad offrire una diversa interpretazione delle prove o una revisione dell’analisi ricostruttiva dei fatti.

-2- Orbene, nel caso di specie i ricorrenti non prospettano vizi afferenti alla carenza di elementi di giudizio o ad un iter argomentativo carente sul piano logico; essi propongono, in realtà, una serie di doglianze, che essenzialmente attengono a profili di merito, non proponibili nella sede di legittimità, con le quali viene in sostanza chiesto a questa Corte di accogliere una diversa interpretazione degli elementi probatori acquisiti, fino a porsi in sovrapposizione argomentativa rispetto alle considerazioni e valutazioni poste dal giudice del gravame a sostegno della contestata decisione.

In realtà, la corte territoriale ha compiutamente ed attentamente esaminato, sia pure giungendo a conclusioni diverse da quelle rese dal primo giudice, le emergenze probatorie in atti ed ha ritenuto, attraverso un tragitto argomentativo privo di incoerenze di natura logica, che la condotta del L. – una volta accertato che gli esami ai quali il paziente era stato sottoposto erano nei limiti della norma e che allo stesso era stata prospettata l’opportunità di sottoporsi ad ulteriori controlli – non evidenziava i profili di colpa rilevati dal primo giudice, neanche con riferimento ai punti concernenti le informazioni fornite al paziente e la decisione dello stesso di non accogliere il consiglio del medico di fermarsi qualche ora in ospedale in osservazione.

In particolare, la medesima corte ha rilevato come, davanti ai sintomi denunciati dal F. , l’imputato, secondo quanto dallo stesso riferito, pur davanti ai risultati delle analisi già eseguite, ritenuti entro i limini della norma, avesse consigliato il paziente di fermarsi in ospedale per eseguire ulteriori e più approfonditi accertamenti, e come lo stesso avesse rifiutato, adducendo anche esigenze di lavoro, ed avesse lasciato l’ospedale dopo avere firmato la “liberatoria”.

Affermazioni, ha soggiunto la corte d’appello, richiamando anche quanto emerso in esito al disposto supplemento istruttorio, confermate dal teste Dott. A. , collega del L. , il quale, secondo quanto sostenuto nella sentenza impugnata, ha, non solo ribadito di essere stato interpellato dal L. per un parere sul caso e di avergli consigliato di invitare il paziente a sottoporsi ad un periodo di osservazione, ma anche che l’imputato aveva accolto tale suggerimento ed aveva invitato il paziente a fermarsi in ospedale per alcune ore per procedere agli approfondimenti clinici che il caso richiedeva. Suggerimento, però, non raccolto dal F. , allontanatosi dall’ospedale dopo avere firmato la “liberatoria”, malgrado le esortazioni dello stesso amico che l’aveva accompagnato (I.R. ) a seguire i consigli del medico. Dichiarazioni che poco o nulla si discostano dalla testimonianza resa dall’A. nel corso del dibattimento di primo grado, come riportate nella relativa sentenza. Lo stesso I. , del resto, ha confermato, secondo quanto emerge dalla sentenza di primo grado, che il sanitario aveva effettivamente prospettato al paziente l’opportunità di eseguire ulteriori esami clinici.

Nulla di più avrebbe potuto, quindi, pretendersi dal medico, che aveva correttamente consigliato al paziente di fermarsi in ospedale in osservazione, che aveva dissentito dalla decisione dello stesso di non sottoponisi – come visivamente evidenziato, secondo il giudice del gravame, dalla doppia sottolineatura presente sul referto medico, ove risultava annotato il rifiuto, sia della terapia farmacologica sia dell’ulteriore osservazione – e che non poteva certo trattenere il paziente contro la volontà dello stesso, né imporgli l’assunzione di farmaci.

-3- A fronte di tali coerenti argomentazioni, il PG ricorrente lamenta una inadeguata valutazione, da parte del giudice del gravame, di elementi probatori acquisiti in atti ed oggetto di esame da parte del tribunale. Non sarebbe stato valutato, in particolare, il referto medico del Pronto Soccorso, stilato dall’imputato al momento della volontaria dimissione del F. , sul quale era stata segnalata una “toracoalgia” ed era stato prescritto al paziente l’assunzione di un antinfiammatorio e di recarsi dal medico curante. Tali indicazioni, si sostiene nel ricorso, sarebbero indicative della inadeguata informazione fornita dal sanitario in ordine alle possibili patologie cardiache da cui avrebbe potuto essere affetto il F. , che avrebbe determinato una inesatta percezione dello stesso – dovuta, appunto, all’errata informazione – del rischio che correva sottraendosi agli approfondimenti diagnostici consigliati.

Orbene, osserva la Corte, anzitutto, che i giudici del gravame non hanno certo trascurato di esaminare e valutare il contenuto del referto in questione. Al contrario, essi lo hanno attentamente esaminato ed hanno segnalato che la registrazione e la doppia sottolineatura del rifiuto opposto dal paziente all’approfondimento diagnostico ed alla terapia consigliati, confermavano la versione dei fatti fornita dall’imputato e dallo stesso teste, Dott. A. .

Non la mancata valutazione del referto, quindi, può imputarsi alla corte territoriale, bensì le valutazioni che la stessa ha tratto dall’esame del documento, come del resto lascia intendere lo stesso ricorrente con i suoi riferimenti alla “toracoalgia” ed alla indicazione al paziente di recarsi dal medico di famiglia.

Or dunque, rilevato che tali considerazioni non rappresentano la denuncia di un’assenza, nella motivazione o di elementi di giudizio ovvero di una presenza nella stessa di incoerenze logiche, bensì solo la prospettazione al giudice di legittimità di una inammissibile diversa valutazione degli elementi probatori utilizzati dai giudici del gravame, osserva la Corte che tali prospettazioni si presentano, esse si, scarsamente coerenti sul piano logico, ove si consideri:

A) Che l’indicazione della diagnosi, rivelatasi errata alla luce del successivo evolversi della vicenda, oltre che essere giustificata dall’esito negativo dei controlli immediatamente eseguiti, era comunque provvisoria, tanto che il L. aveva ritenuto necessario – in tal senso anche consigliato dal collega A. – verificarne l’esattezza attraverso l’esecuzione di ulteriori accertamenti diagnostici, rifiutati dal F. . Davanti al rifiuto ed alla decisione del paziente di allontanarsi dall’ospedale, il L. altro non ha potuto fare che registrare sul referto l’unica diagnosi accertata, cioè la “toracoalgia”. Mentre la prescrizione di un semplice farmaco ad azione antinfiammatoria si presenta del tutto coerente, se rapportata all’unica diagnosi che al momento poteva essere formulata.

Non si può, cioè, trarre da quella registrazione diagnostica la prova di una scorretta o inadeguata informazione al paziente, posto che in detto documento certo non potevano che essere riportati i dati diagnostici sicuramente accertati e le conseguenti terapie che al momento si ritenevano opportune, non anche i teorici e possibili sviluppi diagnostici, tutti da accertare. Sul punto, d’altra parte, ha riferito il teste A. il quale, come sopra ricordato, ha interamente confermato le dichiarazioni dell’imputato.

Deve, peraltro, aggiungersi che, se è vero che non risulta agli atti che l’imputato abbia segnalato il rischio di una crisi coronarica, è anche vero che l’invito a fermarsi in ospedale per ulteriori accertamenti, dopo l’esito di un elettrocardiogramma ai limiti della norma, non poteva che implicare l’esigenza di approfondire il quadro clinico proprio sotto il profilo cardiologico. E non è pensabile che il medico, ove anche non avesse apertamente indicato il rischio di una crisi coronarica – comunque non prevedibile nell’intensità con la quale si è poi manifestata – non abbia almeno spiegato che gli accertamenti da eseguire erano proprio diretti ad escludere ipotizzabili patologie di natura cardiaca.

B) Che il consiglio dell’imputato al F. di recarsi dal medico curante non attesta il disimpegno del sanitario rispetto alle esigenze di cura del paziente né la conferma di un’errata informazione allo stesso fornita. Al contrario, tale indicazione ben può spiegarsi con la consapevolezza del sanitario che il paziente andava seguito, per cui, avendo lo stesso rifiutato l’osservazione ospedaliera, ha ritenuto di consigliargli di farsi seguire almeno dal suo medico di famiglia.

E dunque, per concludere sui punti posti dal PG ricorrente all’esame di questa Corte, si deve concludere che le censure proposte, pur a tacere dei profili di inammissibilità che li caratterizzano, sono in ogni caso infondate, avendo la corte territoriale espresso i propri giudizi in piena sintonia con gli elementi probatori acquisiti, con motivazione che non presenta vizi di sorta.

-4- Analoghe conclusioni valgono quanto al ricorso proposto dalle parti civili, che pure hanno diffusamente svolto osservazioni critiche alla motivazione della sentenza impugnata.

Occorre, anzitutto, in proposito rilevare che parte delle questioni sottoposte all’esame della Corte sono ormai estranee al tema centrale della causa.

In realtà, lo stesso giudice di primo grado, preso atto del fatto che, dopo essersi consultato con il collega, il L. aveva realmente suggerito al F. di fermarsi in ospedale in osservazione, ha ritenuto di delimitare l’oggetto dell’indagine e di concentrarlo sul tipo di informazioni fornite al paziente dal sanitario, essendo infine giunto alla conclusione secondo cui la decisione del F. era stata erroneamente orientata dall’imputato, che non aveva adeguatamente informato il paziente dei rischi che correva rifiutando di sottoporsi ad ulteriori esami clinici. Ne consegue, che i riferimenti delle PC ricorrenti ai sintomi che quello presentava (dolore puntoreo, sudorazione algida) e ad un presunto errore diagnostico commesso dall’imputato si presentano ormai superati e privi di rilievo rispetto all’indagine, come ormai definitivamente delineata dal giudice di primo grado, diretta a valutare la bontà e congruenza delle informazioni fornite dal sanitario al paziente. D’altra parte, proprio la presenza di quei sintomi ed il risultato dell’ECG ai limiti, aveva indotto il medico a consigliare al F. , dopo essersi consultato con il collega, di fermarsi in ospedale per ulteriori approfondimenti diagnostici.

Tanto chiarito, osserva ancora la Corte che le censure dedotte in proposito nel ricorso, concernenti asseriti vizi motivazionali, si presentano infondate sotto tutti i profili articolati, in gran parte ripetitivi delle censure svolte dal PG territoriale, in ordine ai quali si rimanda a quanto già osservato, e per il resto unitariamente esaminabili.

Non sembra, anzitutto, alla Corte che il giudice del gravame non abbia sottoposto a critica la decisione del tribunale, come erroneamente sostengono le PC ricorrenti. In realtà, lo stesso giudice ha elaborato una propria visione della vicenda in esame ed ha indicato, con coerenza argomentativa, come già sopra rilevato, le ragioni per le quali ha ritenuto di non condividere la decisione del primo giudice.

Nell’argomentare della corte territoriale, in realtà, si coglie ampiamente la complessiva critica rivolta alla decisione appellata, peraltro, come già osservato, solo incentrata sulla valutazione del tipo di informazione fornita al paziente dall’imputato. Valutazione per la quale non era certamente necessario richiamare i pareri dei vari consulenti intervenuti, né le diverse testimonianze acquisite, bensì essenzialmente solo interpretare il senso della “liberatoria” sottoscritta dal F. prima di lasciare l’ospedale e la testimonianza resa dal Dott. A. , principale teste di riferimento sul punto, avendo egli direttamente seguito l’intera vicenda per esserne stato informato dal L. .

Interpretazione che – nel rispetto dei principi di diritto affermati da questa Corte in punto di motivazione della sentenza di gravame che riformi la sentenza di primo grado – la corte territoriale ha operato, dopo attento esame degli atti, in termini di assoluta coerenza logica, come si è già avuto modo di segnalare.

L’indagine, peraltro, non si presentava per nulla complessa e gli elementi di prova utilizzati non richiedevano all’interprete particolari sforzi interpretativi, chiaro essendo il tema centrale della causa, incentrato sull’unico profilo di colpa rilevato dal primo giudice. Legittimamente e motivatamente ritenuto dalla stessa corte insussistente, alla stregua degli elementi probatori acquisiti che hanno consentito di accertare, secondo il coerente argomentare della medesima corte, che l’informazione fornita al F. era stata corretta e che il paziente, malgrado le indicazioni del medico, aveva autonomamente deciso di non seguirne i consigli.

Conclusione che definitivamente rende infondata qualsiasi censura che concerna il tema del “consenso informato”, in relazione al quale, peraltro, le PC ricorrenti svolgono considerazioni prive di rilievo (quelle concernenti la prescrizione di un antidolorifico e la prescrizione di recarsi dal medico di famiglia), ovvero in fatto, non deducibili nella sede di legittimità.

-4- In conclusione, i ricorsi devono essere rigettati e le parti civili ricorrenti devono essere condannate al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi del PG e delle parti civili. Condanna le parti civili ricorrenti al pagamento delle spese processuali.