La Corte d’Appello di Torino, con sentenza 9/1/2008, confermava la decisione 9/12/2002 del locale Tribunale, che aveva condannato a pena ritenuta di giustizia e con i benefici di legge N.A.R., dichiarato colpevole del reato di cui all’art. 328 c.p., perché, quale sanitario di turno presso il servizio di guardia medica della USL n. X. , aveva indebitamente rifiutato, il X. , l’intervento domiciliare per sostituire il catetere urinario, che era ostruito, alla paziente S.R., gravemente ammalata (tetraplegica) e impossibilitata alla minzione da circa 12 ore.

1 – La Corte territoriale, sulla base delle emergenze processuali acquisite, ricostruiva così la vicenda: la sera del X. , C.T., marito della S., aveva sollecitato per telefono l’intervento domiciliare della guardia medica, in quanto la moglie, costretta a letto e cateterizzata, versava da diverse ore in condizione di anuresi con notevole sofferenza; il N., medico col quale pacificamente v’era stato il contatto telefonico, non aveva aderito alla richiesta, adducendo di essere sprovvisto del set sterile necessario per l’operazione di sostituzione del catetere e prospettando all’interlocutore l’opportunità di chiamare il “118”;

v’era stata una seconda telefonata al sanitario da parte di C.G. (figlia della paziente), che, dopo le proprie rimostranze, aveva nuovamente sollecitato la visita domiciliare; il medico non era intervenuto; v’era stato l’intervento del “118”, ma C.T. non aveva consentito il trasferimento in ospedale della moglie, inserita da tempo nel programma di assistenza domiciliare; sta di fatto che alla sostituzione del catetere alla paziente aveva provveduto un infermiere professionale, al quale in via privata si era rivolta C.G..

Riteneva, quindi, la Corte di merito censurabile sotto il profilo penale la condotta tenuta dal sanitario, che, informato delle precarie condizioni di salute dell’anziana paziente, aveva l’obbligo di effettuare la visita domiciliare, per rendersi direttamente conto, al di là di quanto appreso in maniera approssimativa per telefono, della reale causa del malessere lamentato dalla medesima paziente e apprestarle le dovute cure; l’intervento rivestiva certamente carattere d’urgenza, considerato che lo stesso dr. N. aveva consigliato l’intervento del “118” e il trasporto in ospedale della paziente.

2 – Ha proposto ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore, l’imputato e ha lamentato: 1) mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine all’apprezzamento e alla valutazione delle risultanze processuali, con particolare riguardo alla testimonianza di C.T., confusa, contraddittoria e, quindi, inattendibile; 2) violazione della legge penale, con riferimento all’art. 328 c.p., e connesso vizio di motivazione in ordine alla ritenuta attendibilità della testimonianza di C.G. e al mancato rilievo dato alla reale ragione per la quale egli aveva consigliato di ospedalizzare la paziente; 3) inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 328 c.p. e connesso vizio di motivazione, sotto i profili del difetto d’urgenza del sollecitato intervento sanitario e della buona fede dell’agente.

3 – Il ricorso è inammissibile, perché i motivi articolati o si risolvono in non consentite censure in fatto all’intelaiatura argomentativa della sentenza impugnata o si appalesano manifestamente infondati.

3a – Quanto ai primi due motivi, osserva la Corte che le contestazioni con gli stessi articolate in punto di responsabilità si risolvono in una non consentita rilettura, in diversa ottica valutativa, delle fonti di prova.

E’ diritto ormai vivente che, in sede di ricorso per cassazione, sono rilevabili esclusivamente i vizi di motivazione che incidano sui requisiti minimi di esistenza e di logicità del discorso giustificativo sviluppato nel provvedimento e non sul contenuto della decisione. Il controllo di logicità deve rimanere all’interno del provvedimento impugnato e non è consentito procedere ad una nuova e diversa valutazione degli elementi di prova acquisiti. Le ricostruzioni alternative, al pari delle censure sulla selezione e sull’interpretazione del materiale probatorio, non possono essere idonee ad attivare il sindacato di legittimità ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), quando la motivazione sia, nei suoi contenuti essenziali, coerente e plausibile. In presenza di una completa e logica ricostruzione della vicenda, non è ammessa in questa sede, pur alla luce del novellato art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), alcuna incursione nelle risultanze processuali per giungere a un diverso giudizio circa l’attendibilità dei testi escussi o a diverse ipotesi ricostruttive dei fatti, rimanendo il sindacato di legittimità circoscritto alla verifica della completezza dell’iter argomentativo seguito dal giudice di merito e della insussistenza in esso di vizi logici ictu oculi percepibili.

La motivazione della sentenza impugnata descrive con chiarezza ed assoluta plausibilità gli elementi a carico del N., sicché le doglianze del ricorrente si risolvono in una diversa lettura dei fatti e delle prove, non consentita – come si è precisato – in questa sede.

3b- Manifestamente privo di fondamento è il terzo motivo di ricorso sotto entrambi i profili prospettati.

Quanto al requisito dell’urgenza che deve caratterizzare l’atto richiesto e rifiutato dall’agente, rileva la Corte che il sanitario che effettua il servizio di guardia medica è tenuto a compiere al più presto tutti gli interventi che siano richiesti direttamente dall’utente e che, per come prospettati, presentino caratteri tali da richiedere un immediato apprezzamento del quadro clinico e i conseguenti opportuni interventi.

Tale obbligo trova la sua fonte normativa nel D.P.R. n. 41 del 1991, art. 13, che testualmente statuisce; “Il medico che effettua il servizio di guardia in forma attiva deve presentarsi…presso la sede assegnatagli e rimanere a disposizione…per effettuare gli interventi domiciliari o a livello territoriale che gli saranno richiesti…Durante il turno di guardia il medico è tenuto ad effettuare al più presto tutti gli interventi che gli siano richiesti direttamente dall’utente…”.

E’ pur vero, in linea di principio, che non può negarsi al sanitario il compito di valutare, sulla base della sintomatologia prospettatagli, la necessità o meno di visitare il paziente, ma è anche vero che una tale discrezionalità può essere sindacata dal giudice alla luce degli elementi di fatto acquisiti agli atti e sottoposti al suo esame, attraverso i quali potrà accertarsi se l’esercizio del potere di valutazione del sanitario sia stato effettivo o – invece – meramente apparente.

Non va sottaciuto che la norma incriminatrice di cui all’art. 328 c.p.p., comma 1 è concepita come delitto di pericolo, nel senso che prescinde dalla causazione di un danno effettivo e postula semplicemente la potenzialità del rifiuto a produrre un danno o una lesione.

Ciò posto, è indubbio che, di fronte alla denuncia di un grave stato di sofferenza, provocato da un’anuresi che si protraeva da oltre 12 ore, in una paziente già gravemente ammalata, il medico di guardia aveva il dovere d’intervenire con tempestività presso il domicilio dell’ammalata, per rendersi conto direttamente, al di là della ipotesi formulata (ostruzione del catetere), delle reali condizioni della predetta ed apprestare le cure necessaria.

In tale caso, la mancata adesione del medico ad effettuare la visita domiciliare non può essere considerata neppure espressione di una valutazione discrezionale, ma vero e proprio rifiuto di atto d’ufficio, considerato che il medico, in maniera aprioristica ed irresponsabile, non pose a disposizione della paziente la propria professionalità, non effettuò alcuna valutazione sulla necessità eventuale di apprestare le necessarie cure e si limitò a suggerire l’opportunità di richiedere l’intervento del “118”, dimostrando quindi in tal modo di essersi reso conto che la situazione denunciata richiedeva comunque il tempestivo intervento di un sanitario.

Né l’urgenza di tale intervento può essere esclusa sulla base della considerazione, pure contenuta in ricorso, che il concreto pericolo per la salute si verificherebbe soltanto dopo 24 ore di anuresi. E’ dovere imprescindibile del medico prestare la propria opera per fronteggiare ed alleviare lo stato di sofferenza dell’ammalato, non essendo tollerabile che costui venga lasciato soffrire, con pericolo di ulteriori complicazioni e di aggravamento delle già precarie condizioni generali.

L’urgenza dell’intervento, specie in campo sanitario, va apprezzata con riferimento al pregiudizio, anche potenziale e non necessariamente irreparabile, che può comunque derivare al paziente dalla mancata o tardiva assistenza sollecitata. La tutela della salute è diritto costituzionalmente presidiato, che non può essere compresso o limitato da scelte irragionevoli del medico.

La giustificazione addotta dall’imputato (non disponeva del set sterile per l’eventuale sostituzione del catetere), peraltro, è stata motivatamente disattesa dalla Corte di merito, con argomentazioni logiche e non censurabili sotto il profilo della legittimità (cfr. pg. 5 della sentenza).

Il rifiuto opposto dal N., per quanto innanzi esposto, fu sicuramente indebito, perché contrario ai doveri specifici che su di lui incombevano in relazione all’osservanza di norme giuridiche extrapenali inerenti ai suoi compiti istituzionali. Il reato, peraltro, punito a titolo di dolo generico, richiede soltanto la coscienza e volontà dell’agente di rifiutare l’atto del proprio ufficio che per ragioni di sanità, in difetto di una effettiva causa di giustificazione, deve essere compiuto senza ritardo.

4- Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso, consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla cassa delle ammende della somma, che stimasi equa, di Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e a quello della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 28 maggio 2008.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2008