In tema di IRPEF, l’indennità di fine rapporto corrisposta dall’ENPAM ai medici di medicina generale, a seguito dell’attività prestata per conto dei disciolti enti mutualistici e del servizio sanitario nazionale, rientra tra quelle di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. c), con conseguente sottoposizione a tassazione separata secondo i criteri dettati dall’art. 18, medesimo D.P.R. e non invocabilità della regola di computo – concernente la riduzione dell’imponibile per una somma pari alla misura di tale indennità corrispondente ai contributi previdenziali versati dal contribuente – stabilita dal precedente art. 17 per le indennità di fine rapporto relative ai rapporti di lavoro dipendente. [Avv. Ennio Grassini – www.dirittosanitario.net]

Cassazione Civile – Sezione V, Sent. n.  11762 del 20-05-2009

omissis

Svolgimento del processo

Con ricorso alla commissione tributaria provinciale di Bari del 31.3.1994 T.F.B. proponeva opposizione avverso il silenzio-rifiuto, che l’intendenza di finanza di quella città aveva serbato in ordine all’istanza di rimborso della trattenuta Irpef operata dall’Enpam, quale sostituto d’imposta, sulle somme erogategli per pensione, inerente alla sua attività di libero professionista, convenzionato col servizio sanitario nazionale, nello svolgimento di attività di riabilitazione e fisioterapia con una struttura, in cui lavoravano diversi dipendenti e collaboratori esterni, con cospicui guadagni, per i quali egli chiedeva il rimborso della somma di L. 213.414.600, a fronte di ricavi accertati per L. 5.062.080.000.

Sennonché l’ufficio non dava alcun seguito a tale richiesta, per la quale il contribuente proponeva impugnativa avverso il relativo provvedimento negativo. T. esponeva che esso era da annullare, perchè il relativo beneficio riguardava non solo i lavoratori pubblici dipendenti, per i quali il trattamento di fine rapporto va depurato di una somma pari al rapporto tra tutti i contributi versati e quelli pagati dall’interessato, ma anche i soggetti legati alla pubblica amministrazione da un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa con gli enti mutualistici, come i medici.

Instauratosi il contraddittorio, l’agenzia delle entrate, subentrata all’intendenza, eccepiva l’infondatezza del ricorso introduttivo, in quanto l’invocata agevolazione era prevista solamente per i lavoratori dipendenti degli enti pubblici, e non anche per gli altri legati alla PA. solamente da un rapporto di collaborazione, ancorché continuativo, come nella specie, e per i quali la stessa corte costituzionale si era espressa nel senso di carenza di incostituzionalità della relativa disciplina con pronuncia n. 50 del 1994.

Quella commissione, con sentenza n. 424 del 2001, in accoglimento del ricorso introduttivo, annullava il silenzio-rifiuto.

Avverso la relativa decisione l’agenzia delle entrate proponeva appello, cui T. resisteva, dinanzi alla commissione tributaria regionale della Puglia, la quale, con sentenza del 10.5.2004, in riforma di quella impugnata, ha rigettato il ricorso introduttivo, osservando che nella specie non poteva essere invocato alcun giudicato dall’appellato, posto che la sentenza emessa per un anno differente e altra diversa imposta non aveva lo stesso oggetto dedotto nel presente giudizio; inoltre la disciplina di favore invocata non poteva essere applicata nell’ipotesi attuale di libera attività professionale, ancorchè svolta mediante collaborazione continuativa col sistema sanitario nazionale in regime di convenzione, attenendo il beneficio richiesto solamente ai pubblici dipendenti.

Avverso questa pronuncia T. ha proposto ricorso per cassazione, indicando tre motivi, e ha depositato memoria.

Il Ministero dell’economia e delle finanze e l’agenzia delle entrate hanno resistito con controricorso.

Motivi della decisione

1) Col primo motivo il ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c. in quanto la commissione tributaria regionale non ha considerato che la questione devoluta al suo esame era stata già decisa dalla commissione provinciale di primo grado con la sentenza n. 236 del 2003 nella controversia vertente tra e stesse parti e concernente lo stesso rapporto tributario, ancorché sotto un diverso riflesso; né poteva avere alcun rilievo il fatto che l’anno d’imposta riguardasse il 1993, posto che la questione prettamente giuridica era la stessa.

Il motivo, a parte l’aspetto di genericità con cui è stato formulato, poiché non contiene l’indicazione precisa della motivazione invocata, tuttavia è infondato.

La CTR ha osservato che, anche se il rapporto tributario era unico, tuttavia da esso scaturivano diritti ed obblighi differenti, che non coincidevano precisamente con l’oggetto del presente processo, e pertanto nessuna efficacia di giudicato poteva essere attribuito alla pronuncia indicata.

Al riguardo va rilevato che ai fini dell’accertamento della preclusione derivante dall’esistenza di un giudicato esterno, fondamentale ed imprescindibile risulta, oltre all’identificazione della statuizione contenuta nella precedente decisione, il raffronto della stessa con l’oggetto specifico del processo nell’ambito del quale il giudicato dovrebbe fare stato, e quindi il riscontro dell’esistenza di una relazione giuridica tra i diritti dedotti nei due giudizi. Pertanto la preclusione dev’essere esclusa qualora il giudizio abbia ad oggetto un rapporto giuridico diverso da quello deciso con la sentenza passata in giudicato, ed in particolare, nella materia tributaria, nel caso in cui la controversia riguardi imposte strutturalmente ed oggettivamente differenti da quella che ha costituito oggetto della predetta decisione, e tra le stesse non sia configurabile alcun vincolo giuridico, come nella specie (Cfr. anche Cass. Sentenza n. 2438 del 5/02/2007; Sezioni Unite: n. 13916 del 2006).

Sul punto perciò la sentenza impugnata risulta motivata in modo giuridicamente corretto.

2) Col secondo motivo il ricorrente denunzia violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 16, 17 e 18, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 giacche il giudice del gravame non ha considerato che l’indennità corrisposta dall’ente previdenziale al contribuente era costituita pure dall’aliquota del 2% corrisposta da lui sugli emolumenti percepiti, e che perciò non poteva costituire reddito ai fini della tassazione per irpef, alla stregua di quanto previsto per i dipendenti pubblici, pena l’incostituzionalità della relativa disciplina, con conseguente trasmissione degli atti alla Consulta per l’esame di legittimità della relativa normativa.

La censura non va condivisa.

In tema di IRPEF, l’indennità di fine rapporto corrisposta dall’ENPAM ai medici di medicina generale, a seguito dell’attività prestata per conto dei disciolti enti mutualistici e del servizio sanitario nazionale, rientra tra quelle di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. c), con conseguente sottoposizione a tassazione separata secondo i criteri dettati dall’art. 18, medesimo D.P.R. e non invocabilità della regola di computo – concernente la riduzione dell’imponibile per una somma pari alla misura di tale indennità corrispondente ai contributi previdenziali versati dal contribuente – stabilita dal precedente art. 17 per le indennità di fine rapporto relative ai rapporti di lavoro dipendente (V. pure Cass. Sentenze n. 19047 del 22/09/2004, n. 11372 del 2003, n. 11362 del 2003).

Ne tale disciplina pone dubbi di legittimità costituzionale in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., posto che il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 appresta due differenti regimi di imposizione tributaria, che si correlano alla diversità delle situazioni considerate, con riguardo, rispettivamente, al lavoro subordinato ed a quello autonomo allorché indica, all’art. 16, comma 1, i redditi soggetti a tassazione separata e considera, a tal fine, distintamente i trattamenti e le indennità corrisposte per la cessazione di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa. Da ciò fa discendere, quanto al computo dell’imposta, giusta la disciplina prevista, rispettivamente, dagli artt. 17 e 18, conseguenze che concernono non solo i criteri di determinazione della base imponibile (nell’ambito dei quali la parte di indennità corrispondente alla quota dei contributi versati dall’iscritto è solo uno degli elementi presi in considerazione dallo stesso art. 17), ma anche le modalità di individuazione dell’aliquota di tassazione da applicarsi.

Pertanto, mentre è escluso che possa procedersi, in sede di esame della rispondenza dei detti regimi ai precetti dell’art. 3 Cost. e art. 53 Cost., comma 1, alla trasposizione di criteri regolatori dell’uno, all’altro, deve riconoscersi conseguenza di corretto esercizio della discrezionalità legislativa il disposto del citato D.P.R. n. 917 del 1986, art. 18, comma 1, nella parte in cui non prevede, per le indennità connesse a prestazioni di lavoro autonomo – ivi compresa quella di fine rapporto corrisposta dall’E.N.P.A.M. ai medici di medicina generale, a seguito dell’attività svolta per conto dei disciolti enti mutualistici e del Servizio sanitario nazionale – la riduzione dell’imponibile per una somma pari alla misura di tale indennità corrispondente al contributo posto a carico del percipiente, a differenza di quanto stabilito, invece, dall’art. 17 per le analoghe indennità corrisposte in occasione della cessazione di rapporti di lavoro dipendente (Cfr. anche Corte Cost.

Sentenza num. 0050 del 1994).

Sul punto perciò la sentenza impugnata risulta motivata in modo giuridicamente corretto.

3) Col terzo motivo il contribuente lamenta ancora vizio di legittimità costituzionale della normativa in questione, e che rimane assorbito da quanto enunciato testè.

Ne deriva che il ricorso va rigettato.

Quanto alle spese di questa fase, sussistono giusti motivi per compensarle.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 2 aprile 2009.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2009