La Corte di Cassazione, valutando la vicenda di un medico che aveva intentato un giudizio per il ottenere compensi adeguati al numero di assistiti, ha condannato il Ministero della Giustizia al pagamento dell’indennizzo di 1.000,00 euro per ogni anno di ritardo nel processo.

Il danno non patrimoniale è conseguenza normale, ancorché non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo e, pertanto, pur dovendo escludersi la configurabilità di un danno non patrimoniale in re ipsa, automaticamente e necessariamente insito nell’accertamento della violazione, il giudice, una volta accertata e determinata l’entità della violazione relativa alla durata ragionevole del processo, secondo le norme della L. n. 89 del 2001, deve ritenere sussistente il danno non patrimoniale salvo che non ricorrano, nel caso concreto, circostanze particolari che facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente. . [Avv. Ennio Grassini – www.dirittosanitario.net]

Cassazione Civile – Sezione I, Sent. n. 12607 del 28.05.2009.

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Svolgimento del processo

La corte d’appello di Roma, con decreto del 10 novembre 2005, ha condannato il Ministero della Giustizia al pagamento di Euro 2.000,00, oltre alle spese liquidate in Euro 750,50, a titolo di equa riparazione per l’irragionevole durata di un giudizio, avente ad oggetto il pagamento di compensi adeguati al numero di assistiti, iniziato da D.M.V., medico della ASL X. , davanti al pretore del lavoro di Napoli il 22 novembre 1995, deciso con sentenza del 26 novembre 2000, nei confronti della quale è stato proposto appello il 21 dicembre 2000, appello deciso con sentenza del 27 febbraio 2004. La corte territoriale ha ritenuto ragionevole una durata di tre anni per il giudizio di primo grado e due per l’appello e, pertanto, la complessiva durata del giudizio eccedente la durata ragionevole è stata calcolata in quattro anni e l’equa riparazione, in considerazione della scarsa entità della pretesa è stata liquidata equitativamente in Euro 500,00 l’anno.

Per la cassazione di tale decreto il D.M. ha proposto ricorso.

Il Ministero non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

1. Deducendo diversi profili di violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 6 della convenzione europea dei diritti dell’uomo, così come interpretata dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, nonché vizi di motivazione, il ricorrente lamenta che la Corte territoriale ha determinato l’equa riparazione del danno non patrimoniale, la prova del quale è in re ipsa, in misura insufficiente, discostandosi dal parametro utilizzato normalmente dalla Corte di Strasburgo (da 1000,00 a 1.500,00 Euro per anno di durata della causa e non per il solo periodo eccedente la durata ragionevole) senza adeguata motivazione, essendo all’uopo insufficiente il riferimento alla modesta entità economica della pretesa, senza tenere in considerazione la natura previdenziale del credito e le condizioni economiche della parte e senza liquidare il “bonus” di Euro 2.000,00 per la suddetta natura del credito vantato.

Il ricorrente lamenta anche l’erronea liquidazione delle spese.

2. Il motivo con il quale si censura la liquidazione dell’equa riparazione è solo in parte fondato.

2.a. Sulla base dei principi affermati con le sentenze delle sezioni unite del 26 gennaio 2004, n. 1338, 1339, 1340 e 1341 si è ribadito che il danno non patrimoniale è conseguenza normale, ancorché non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo e, pertanto, pur dovendo escludersi la configurabilità di un danno non patrimoniale in re ipsa, automaticamente e necessariamente insito nell’accertamento della violazione, il giudice, una volta accertata e determinata l’entità della violazione relativa alla durata ragionevole del processo, secondo le norme della L. n. 89 del 2001, deve ritenere sussistente il danno non patrimoniale salvo che non ricorrano, nel caso concreto, circostanze particolari che facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente. Ai fini della liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo l’ambito della valutazione equitativa affidata al giudice del merito, è segnato dal rispetto della convenzione europea dei diritti dell’uomo, per come essa vive nelle decisioni da parte della corte europea dei diritti dell’uomo di casi simili a quello portato all’esame del giudice nazionale, di tal che è configurabile, in capo al giudice del merito, un obbligo di tener conto dei criteri di determinazione della riparazione applicati dalla corte europea, pur conservando egli un margine di valutazione che gli consente di discostarsi, purché in misura ragionevole, dalle liquidazioni effettuate dalla Corte europea, la quale (con decisioni recentemente adottate a carico dell’Italia) ha individuato nell’importo compreso fra Euro mille/00 ed Euro millecinquecento/00 per anno la base di partenza per la quantificazione di tale indennizzo (Cass. n. 8714/2006, 8852, 8600 e 15093 del 2005).

Ora, non appare sufficiente la motivazione con la quale la Corte territoriale si è discostata in modo sensibile dai parametri indicati limitandosi a fare riferimento alla modesta entità della “posta in gioco”, non accompagnando questo elemento anche con la necessaria valutazione delle condizioni economiche della parte (che risulta essere stata priva di occupazione lavorativa) e alla natura (previdenziale) del credito azionato. Pertanto, lo scostamento dai suddetti parametri appare irragionevole.

2.b. è infondata la censura relativa al criterio di calcolo dell’equo indennizzo utilizzato dal giudice del merito. Infatti, come è stato più volte affermato, il principio del dovere del giudice nazionale di rispettare le norme della convenzione europea dei diritti dell’uomo, in particolare tenendo conto dei criteri di determinazione della riparazione utilizzati, trova un limite nel dovere di applicare la norma di cui L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), ai sensi del quale può essere indennizzato solo il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole. Né tale criterio di calcolo, divergente da quello utilizzato dalla Corte europea che prende in considerazione il danno relativo all’intera durata del processo influisce sulla complessiva attitudine della citata L. n. 89 del 2001 ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, e, dunque, non autorizza dubbi sulla compatibilità di tale norma con gli impegni internazionali assunti dalla repubblica italiana mediante la ratifica della convenzione europea e con il pieno riconoscimento, anche a livello costituzionale, del canone di cui all’art. 6, par. 1, della convenzione medesima (art. 111 Cost., comma 2, nel testo fissato dalla L.Cost. 23 novembre 1999, n. 2) (Corte europea dei diritti dell’uomo, 2 dicembre 2004, Provvedi; Cass. n. 8714/2006; 8658 e 8603 del 2005).

Il motivo relativo alle spese resta assorbito.

2.c. Quanto alla domanda di attribuzione di una somma forfettaria di Euro 2.000,00 in relazione alla natura previdenziale della controversia, non appare decisivo il richiamo alla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo 10 novembre 2004, Zullo, perchè se la decisione richiamata ha ritenuto di riconoscere tale somma in caso di violazione del termine di durata ragionevole nei giudizi aventi particolare importanza, tra le quali ha annoverato le cause previdenziali, non ne deriva automaticamente che tutte le cause previdenziali debbano essere considerate di particolare importanza. Spetta infatti al giudice del merito valutare se, in concreto, la causa previdenziale abbia avuto una particolare incidenza sulla componente non patrimoniale del danno, tale da giustificare l’attribuzione del bonus. Tale valutazione discrezionale non implica un obbligo di motivazione specifica, essendo sufficiente, in caso di diniego di detta attribuzione, una motivazione implicita.

Accolto il ricorso, nei sensi di cui in motivazione può procedersi alla decisione nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., nessun accertamento di fatto essendo richiesto. Infatti, la liquidazione dell’equa riparazione può essere effettuata sulla base dello standard minimo di Euro 1.000,00 per anno di ritardo applicato dalla Corte europea, in quanto nessun argomento del ricorso impone di derogare in melius, e pertanto deve essere liquidata la somma complessiva di Euro 4.000,00.

Le spese seguono la soccombenza e, per quanto riguarda questo giudizio, debbono essere compensate fino alla metà, attesa la parziale soccombenza in questa sede.

P.Q.M.

LA CORTE Accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione; cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., condanna il Ministero della giustizia a corrispondere alla ricorrente la somma di Euro 4.000,00 a titolo di equo indennizzo, oltre agli interessi dalla data della domanda; condanna il Ministero al pagamento delle spese che si liquidano, per quanto riguarda il giudizio di primo grado, in Euro 100,00 per esborsi, Euro 370,00 per diritti ed Euro 470,00 per onorari e, per quanto riguarda questo giudizio, previa compensazione fino alla metà, in Euro 550,00 (ivi compresi Euro 50,00 per esborsi) oltre a spese generali ed accessori di legge. Dispone la distrazione delle spese in favore dell’avv. Marra Maria Teresa.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della struttura centralizzata per l’esame preliminare dei ricosi, Sezione Prima Civile, il 19 marzo 2009.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2009