Il termine per proporre la querela per il reato di lesioni colpose determinate da colpa medica inizia a decorrere non già dal momento in cui la persona offesa ha avuto consapevolezza della patologia contratta, bensì da quello, eventualmente successivo, in cui la stessa è venuta a conoscenza della possibilità che sulla menzionata patologia abbiano influito errori diagnostici o terapeutici dei sanitari che l’hanno curata.

Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 07-04-2010) 07-05-2010, sentenza n. 17592

 

 omissis

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 18.12.2007 il Giudice monocratico del Tribunale di Aosta dichiarava non doversi procedere nei confronti di P. L., B.M. e M.E. in ordine al delitto di lesioni colpose gravissime loro ascritto perchè l’azione penale non doveva essere iniziata per mancanza di querela.

In particolare, agl’imputati era contestato il reato di cui all’art. 113 c.p., art. 40 cpv. c.p., art. 590 c.p., in relazione all’art. 583 c.p., comma 2, n. 1, perchè, in cooperazione tra loro, in qualità di pediatri in servizio presso l’Ospedale (OMISSIS), per colpa cagionavano al neonato A.A. lesioni gravissime consistite nell’insorgere di una condizione ipossicoischemica che determinava conseguenze a carico dell’encefalo e in particolare una cerebropatia fissa a tipo paralisi cerebrale infantile (tetraparesi spastica). Per colpa consistita in negligenza e imperizia, in particolare:

– per non avere adeguatamente valutato le condizioni del minore immediatamente dopo il parto, in particolare per avere erroneamente omesso di attribuire il corretto significato alla estrema agitazione del minore, al fatto che lo stesso apparisse cianotico e che presentasse frequenti scatti di gambe e braccia; che presentasse vomiti continui sin dalle prime ore dopo il parto, nonchè un grave quadro di ipocalcemia, iponatremia, iperpotassemia con ematocrito 73,8 (ematocrito crescente tale da segnalare una evidente anomalia);

– per avere omesso di valutare correttamente i segni clinici descritti manifestatisi immediatamente e comunque in modo evidente già tre ore dopo il parto, e per avere omesso in presenza dei suddetti sintomi, di diagnosticare tempestivamente la cerebropatia;

– per avere omesso di adottare tempestivamente i necessari interventi terapeutici che, secondo le regole e la migliore scienza ed esperienza medica, avrebbero dovuto essere posti in essere nell’immediatezza del parto e per avere ritardato tali interventi di 36 ore;

– in particolare per non avere operato una pronta e continua correzione della diselettrolitemia, per avere omesso di posizionare un catetere centrale per l’effettuazione di perfusione continua e rapida di elettroliti (glicoelettrolitica), limitandosi, al contrario, a somministrare esclusivamente soluzione glucosata;

in tal modo avendo contribuito a determinare le lesioni che, in presenza di una tempestiva diagnosi e di tempestivi interventi terapeutici, non si sarebbero, con livello di elevata probabilità, verificate;

con l’aggravante di avere cagionato una lesione gravissima in quanto certamente insanabile (commesso in (OMISSIS)).

Tale sentenza veniva riformata limitatamente agli effetti civili, a seguito di appello ai sensi dell’art. 576 c.p.p. delle costituite parti civili, dalla Corte di Appello di Torino – che riteneva la tempestività della querela poichè solo allorchè i genitori del minore ebbero a disposizione l’elaborato (dd. 5.11.2003) del Prof. L. (nel frattempo deceduto) attivarono l’iter che portò alla presentazione della querela- con sentenza emessa in data 16.2.2009, condannava P.L., B.M. e M.E., in solido, al risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede e alla rifusione delle spese del doppio grado oltre all’assegnazione di una provvisionale immediatamente esecutiva di Euro 50.000 in favore del padre del minore e di Euro 10.000 in favore di ciascuno dei tre nonni.

Avverso tale sentenza ricorrono per Cassazione solo P.L., personalmente, e il difensore di fiducia di B.M..

Entrambi denunziano il vizio di violazione della legge penale con riferimento all’art. 124 c.p. (il difensore della B. anche il vizio motivazionale), assumendo che erroneamente la Corte di Appello di Torino aveva ritenuto tempestiva la querela proposta, poichè, malgrado gli elementi già in possesso dei querelanti fin dagli anni 2000-2001, secondo cui la malattia del bambino discendeva da una situazione anomala, imputabile alla struttura ospedaliere, che si era verificata subito dopo il parto, si rivolgevano al Prof. L. e al Dott. R. soltanto nel 2003 ed esercitavano il diritto di querela solo il 2.2.2004.

Il P. denunzia, inoltre, la violazione dell’art. 113 c.p. in quanto non poteva ritenersi, come sostenuto dalla Corte territoriale la sostanziale unitarietà delle condotte colpose, dal momento che, come da massime della S.C. citate, la cooperazione nel delitto colposo si verifica in caso autonome condotte di più persone nella consapevolezza di contribuire all’azione altrui che sfocia nella produzione dell’evento non voluto.

Infine, il P. deduce il vizio motivazionale, non avendo la Corte territoriale tenuto conto di una serie di circostanze pur rappresentate dalla difesa, assumendo, in particolare, che al momento del parto il P. assisteva la sorella Ma. del piccolo A. e di aver lasciato l’Ospedale alle ore 00:38 del (OMISSIS), con il subentro, per l’impostazione della terapia, della collega B. e di altro medico; rappresenta di aver assistito il piccolo A. tra la 20a e 32a ora di vita (come da diari), verificandone le migliorate condizioni respiratorie e ritenuto corretta il programma terapeutico disposto.

Risulta in atti la remissione di querela non formalmente accettata da entrambi gl’imputati (è successivamente pervenuta solo l’accettazione del P.).

Motivi della decisione

Giova premettere che la remissione della querela, nello specifico caso in esame, è irrilevante, dal momento che la sentenza d’appello, in sede penale, ha deciso solo ai fini civili, sicchè la remissione, in assenza dell’impugnazione della parte pubblica, non potendo in ogni caso produrre l’effettiva estinzione del reato, non varrebbe ad incidere sugli effetti civilistici accertati.

Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.

L’accertamento della tempestività della querela costituisce una tipica valutazione di fatto, riservata al giudice di merito e, come tale, insindacabile in sede di legittimità se sorretta da congrua motivazione, esente da vizi logici e giuridici. E deve riconoscersi che nel caso di specie la Corte territoriale ha fornito ampia e corretta spiegazione del diverso avviso, rispetto alla soluzione adottata dal giudice di 1^ grado al quale è pervenuta.

Invero, è pacifico che il termine per proporre la querela per il reato di lesioni colpose determinate da colpa medica inizia a decorrere non già dal momento in cui la persona offesa ha avuto consapevolezza della patologia contratta, bensì da quello, eventualmente successivo, in cui la stessa è venuta a conoscenza della possibilità che sulla menzionata patologia abbiano influito errori diagnostici o terapeutici dei sanitari che l’hanno curata (Cass. pen. Sez. 4, 30.1.2008, n. 13938, Rv. 239255).

Orbene, da nulla risulta che gli elementi già in possesso dei querelanti fin dagli anni 2000-2001, e cioè già dopo la visita da parte del medico tunisino, consentissero di ritenere non solo che la malattia del bambino discendeva da una situazione anomala, che si era verificata subito dopo il parto, ma anche che fosse imputabile alla struttura ospedaliera (come scrive il giudice di primo grado).

Tant’è che, come riconosce lo stesso ricorrente P., i querelanti si erano rivolti alle rinomate strutture ospedaliere di (OMISSIS), nel corso delle quali veniva evidenziata la presenza di “displegia spastica a prevalenza sinistra, esito di sofferenza perinatale”.

E come correttamente rilevato dalla Corte territoriale, il Prof. L. con la sua relazione, evidenziò per la prima volta che omissioni addebitagli ai pediatri dell’ospedale ebbero ad incidere significativamente sulla insorgenza della leucomacia periventricolare e sulla successiva paralisi cerebrale.

Nè si può parlare di una tardività di riflesso della querela, non essendo decorso, al momento della sua presentazione, il termine di prescrizione quinquennale (attesa l’insorgenza della malattia all’11.10.2000).

E’ stato ritenuto da questa Corte (es. Sez. 5, 20.1.2000, n. 3315, Rv. 215580) che, ai fini della decorrenza del termine perentorio della querela, occorre che l’offeso abbia avuto conoscenza precisa, certa e diretta del fatto delittuoso, in maniera da possedere tutti gli elementi di valutazione onde determinarsi. Inoltre, per notizia del fatto che costituisce reato, indicata dall’art. 124 c.p., comma 1, è da intendere la conoscenza certa del fatto, non solo sotto il profilo oggettivo, ma anche sotto quello soggettivo, concernente la identificazione dell’autore del reato, che è indispensabile perchè la PO, anche intuito personae, possa fare quella scelta che la legge rimette alla sua discrezione e possa, quindi, liberamente determinarsi (conf. Sez. 2, 24.7.2002 n.29923, Rv 222083).

Pertanto, nel caso in cui siano svolti tempestivi accertamenti, indispensabili per la individuazione del soggetto attivo, il termine di cui all’art. 124 c.p. decorre, non dal momento in cui la persona offesa viene a conoscenza del fatto oggettivo del reato, nè da quello in cui, sulla base di semplici sospetti, indirizza le indagini verso una determinata persona, ma dall’esito di tali indagini (Cass. pen. sez. 5, 1.10.1999, n. 14660, Rv. 215188) Nè si può ritenere che la parte offesa abbia assolto tardivamente all’onere di accertamento in ordine alla identità del soggetto attivo del reato:

la ricerca di una risposta ai dubbi circa l’origine della malattia non risulta abbia subito soluzioni di continuità e solo il Prof. L., come evidenziato dalla sentenza impugnata, sottopose il bimbo ad una serie di esami ed analisi, volti ad escludere che la grave patologia non fosse dovuta a fattori genetici e solo a seguito del completamento e lettura della consulenza del Prof. L. i querelanti cominciarono a capire che le malformazioni del figlio erano ascrivibili ad omissioni terapeutiche.

Va poi rilevato, quanto alle ulteriori censure mosse dal P., che la cooperazione nel delitto colposo si caratterizza esclusivamente come reciproca consapevolezza da parte dei concorrenti della convergenza delle rispettive condotte verso un identico scopo, senza che, ai fini della sua configurabilità, rilevi l’eventuale incertezza sull’attribuibilità delle singole condotte ai cooperanti (Sez. 4, 7.11.2007 n. 5111, Rv. 238741): consegue l’irrilevanza delle pretese “autonome condotte”, ben potendosi ritenere la sostanziale unitarietà delle stesse come ritenuto dal giudice di appello e configurato nella stessa imputazione. Inoltre, si deve rammentare che “nella motivazione della sentenza il giudice di merito non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo; nel qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata e ravvisare, quindi, la superfluità delle deduzioni suddette” (Cass. pen. Sez. 4, 24.10.2005, n. 1149, Rv. 233187), sicchè deve ritenersi che la Corte abbia comunque tenuto conto delle osservazioni difensive disattendendole poichè non determinanti ai fini dell’esclusione della responsabilità del ricorrente P.. S’impone, pertanto, il rigetto di entrambi i ricorsi e, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.