Ai fini della integrazione del delitto di omissione di atti d’ufficio, è irrilevante il formarsi del silenzio-rifiuto entro la scadenza del termine di trenta giorni dalla richiesta del privato. Ne consegue che il “silenzio-rifiuto” deve considerarsi inadempimento e, quindi, come condotta omissiva richiesta per la configurazione della fattispecie incriminatrice. (Fattispecie relativa ad un’istanza presentata da un medico convenzionato all’A.S.L., al fine di ottenere il pagamento delle proprie competenze retributive).

Svolgimento del processo

1. – Con la decisione in epigrafe la Corte d’appello di Bari, in riforma della sentenza del Tribunale di Foggia del 9 novembre 2004, appellata dall’imputato D.V.V., ha dichiarato non doversi procedere in ordine al reato di omissione di atti d’ufficio (art. 81 cpv. c.p. e art. 328 c.p., comma 2) per essere lo stesso estinto per intervenuta prescrizione; tuttavia, essendo stata pronunciata, con la sentenza di primo, condanna dell’imputato al risarcimento dei danni cagionati dal reato alla parte civile, la Corte territoriale ha deciso l’impugnazione ai soli effetti civili ex art. 578 c.p.p., confermando la sentenza impugnata.

2. – Contro questa sentenza ricorre l’imputato tramite il suo difensore di fiducia.

Con il primo motivo il ricorrente censura la sentenza per l’erronea applicazione della legge penale, sostenendo che non sussistono gli elementi per configurare il reato contestatogli.

Innanzitutto rileva che l’istanza del D.S. era stata presentata all’ASL FG/(OMISSIS) di nuova istituzione, anzichè alla competente Gestione Liquidatoria, di cui egli era il Commissario, e che in base alla L. n. 549 del 1995 aveva assorbito le competenze delle soppresse USL; precisa che la mancata risposta si giustificava nella misura in cui vi era un orientamento incerto circa la competenza su chi dovesse corrispondere la somma richiesta dal D. S.; evidenzia come da parte sua non vi è stata alcuna volontà di negare quanto richiesto dal D.S., tanto è vero che ha apposto uno “scippo” sull’atto di diffida, inviandolo all’ufficio legale.

Con un secondo motivo deduce il vizio di motivazione della sentenza per non avere preso in considerazione la condotta complessiva posta in essere dall’imputato che si è, comunque, attivato passando la richiesta all’ufficio legale perchè studiasse la questione.

Il terzo motivo attiene alla supposta mancanza dell’elemento psicologico del reato.

In data 5 novembre 2009 è stata depositata una memoria in cui si ribadisce il motivo riguardante il difetto dell’elemento soggettivo e si chiede l’annullamento della sentenza impugnata con l’assoluzione nel merito.

Motivi della decisione


3. – Nelle sue conclusioni il ricorrente non si limita a chiedere l’annullamento della sentenza impugnata ai soli effetti civili, ma insiste anche per l’annullamento ai sensi dell’art. 620 c.p.p., comma 1, lett. a), richiesta che più correttamente deve essere intesa come diretta ad ottenere una sentenza assolutoria ai sensi dell’art. 129 c.p.p., comma 2, tenuto conto che i giudici d’appello hanno dichiarato l’estinzione del reato per prescrizione.

Invero, deve escludersi che ricorrano le condizioni per un’applicazione della disposizione da ultimo citata, non risultando evidente nè l’estraneità dell’imputato ai fatti contestatigli, nè l’insussistenza del reato, anche sotto il profilo della carenza dell’elemento soggettivo.

4. – Il ricorso è infondato anche per quanto riguarda i soli effetti civili, che devono essere confermati.

Risulta dalle sentenze che dopo la cessazione del rapporto di convenzione presso la ASL FG/(OMISSIS) di San Severo, D.S. F., medico convenzionato, attivatosi senza esito per ottenere la corresponsione del cd. “premio di operosità”, si rivolgeva al suo legale di fiducia, il quale in data 30.7.1998 avanzava richiesta di pagamento delle competenze al direttore generale p.t. dell’ASL, D.V.V., e, nel silenzio dell’amministrazione, inviava altra lettera raccomandata, in data 24.9.1998, chiedendo per il proprio assistito l’accesso agli atti e l’estrazione di copie ai sensi della L. n. 241 del 1990, con la comunicazione del responsabile del procedimento. Anche in questo caso non riceveva alcuna risposta, per cui il D.S. diffidava la ASL FG/(OMISSIS) ad ottemperare e, permanendo un atteggiamento inerte da parte dell’ente,si rivolgeva al giudice amministrativo che gli riconosceva il diritto di accesso agli atti e ordinava alla ASL, in persona del direttore generale, di consentire l’esame e l’estrazione di copia degli atti. Ciò malgrado l’amministrazione non dava adempimento alla pronuncia del giudice e il D.S. diffidava nuovamente l’ASL ad ottemperare. Solo in data 6.5.1999, all’indomani della cessazione dell’incarico di direttore generale del D.V., veniva consentito al D. S. di accedere agli atti amministrativi.

La Corte d’appello ha ritenuto di affermare la responsabilità dell’imputato escludendo che il formarsi del silenzio-rifiuto possa incidere sulla sussistenza del reato di cui all’art. 328 c.p., così come sostenuto dalla difesa. I giudici hanno, quindi, precisato che l’esperibilità dei rimedi giurisdizionali avverso il silenzio- rifiuto e la tutela penale apprestata dalla disposizione del codice si collocano su piani diversi, in quanto la formazione del cd. silenzio-rifiuto è funzionale a consentire al privato di promuovere un giudizio amministrativo, ma non esclude la rilevanza penale dell’omissione.

Sotto altro profilo, i giudici hanno rilevato che la posizione apicale del D.V. non lo esonerasse dalla responsabilità penale, spettando allo stesso di fare in modo che fosse data risposta al cittadino richiedente.

5. – Deve ribadirsi che il reato di omissione di atti d’ufficio, di cui all’art. 328 c.p., comma 2, non è escluso dal formarsi del silenzio rifiuto entro la scadenza del termine di trenta giorni dalla richiesta del privato, in quanto con l’esperibilità dei rimedi giurisdizionali avverso il silenzio rifiuto non si soddisfano interamente le esigenze di tutela nei confronti della pubblica amministrazione – si pensi al vizio di merito dell’atto amministrativo – e, inoltre, con il silenzio rifiuto non si ottiene un provvedimento negativo, dovendo pur sempre considerarsi come un inadempimento, quindi come una condotta omissiva tale da integrare l’elemento preso in esame dalla fattispecie delittuosa (Sez. 6^, 6 aprile 2000, n. 5691, Scorsone).

Quanto agli altri motivi proposti, si rileva come la Corte d’appello abbia messo in evidenza che la richiesta del D.S. è stata espressa in modo chiaro e indirizzata al rappresentante apicale della struttura amministrativa della ASL, che, inoltre, la richiesta, rimasta “inascoltata”, è stata ripresentata come diffida ad adempiere, comunicata al rappresentante dell’amministrazione che, a questo punto, anzichè “adottare un atteggiamento di disponibilità nei confronti del privato” ha assunto “un pervicace atteggiamento di ostilità orientato a fine di non ricevere”.

Sulla base di questa ricostruzione dei fatti appaiono del tutto irrilevanti i motivi con cui il ricorrente ha negato la propria competenza a rispondere all’istanza del privato a causa del momentaneo commissariamento dell’USL, essendo del tutto evidente non solo la perfetta conoscenza della richiesta, ma anche l’atteggiamento ostile, diretto ad evitare ogni forma di collaborazione e di doverosa risposta da fornire all’interessato, atteggiamento che prescinde da ipotetiche questioni di competenza e che, secondo i giudici, trova spiegazione in una condotta volutamente omissiva, che porta a confermare, conseguentemente, anche la sussistenza dell’elemento psicologico del reato.

Sotto altro profilo deve rilevarsi che l’aver “passato” la richiesta all’ufficio legale non fa venir meno la responsabilità dell’imputato per il reato contestatogli, in quanto avrebbe comunque dovuto rispondere al privato.

6. – In conclusione, il ricorso deve essere respinto, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile per il grado, che si liquidano in complessivi Euro 2.000,00, oltre iva e cpa.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile per il presente giudizio liquidate complessivamente in Euro 2.000,00 oltre iva e cpa.

Così deciso in Roma, il 24 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2010