Il fatto:

con due note regionali veniva sostanzialmente configurato il divieto per i per i fisioterapisti, di esercitare la propria attività libero professionale presso un proprio studio, consentendo loro di operare, unicamente, presso strutture pubbliche o private, in regime di dipendenza o di collaborazione coordinata e continuativa.

Il diritto:

l’assunto è in contrasto con il principio per cui il fisioterapista svolge la sua attività professionale in strutture sanitarie, pubbliche o private, in regime di dipendenza o libero-professionale tale da ricomprendere sia il concetto di “struttura sanitaria” vera e propria che quello di “studio medico”, nozioni che sono alternativamente previste, anche ai fini dell’esercizio dell’attività professionale.

L’esercizio della professione di fisioterapista, a fronte della mancata attuazione della norma che aveva delegato il Governo all’istituzione degli Albi professionali per le professioni sanitarie, deve attualmente ritenersi consentita in base al solo conseguimento del diploma universitario.

Esito della lite:

il Tar ha accolto il ricorso affermando l’illegittimità delle note regionali.

TAR Piemonte – Sez. II; Sent. n. 498 del 20.05.2011

per l’annullamento

quanto al ricorso n. 637 del 2004:

del provvedimento adottato dalla Regione Piemonte – Assessorato alla Sanità – Direzione controllo delle attività sanitarie – Settore assistenza extra ospedaliera, avente ad oggetto “terapisti della riabilitazione e massofisioterapisti”, indirizzato ai Direttore generali delle Aziende sanitarie locali del Piemonte e recante data 9 dicembre 2003,

nonchè per l’annullamento

in quanto di ragione, degli atti tutti antecedenti, preordinati, consequenziali e comunque connessi del relativo procedimento,

con espressa riserva

di agire, anche in separato giudizio, per il risarcimento dei danni derivanti dalla esecuzione del provvedimento di cui sopra;

quanto al ricorso n. 1186 del 2007:

del provvedimento adottato dalla Regione Piemonte – Assessorato tutela della salute e sanità, avente ad oggetto “attività terapisti della riabilitazione” indirizzato ai Direttore generali delle Aziende sanitarie locali del Piemonte e recante data 14 maggio 2007,

nonchè per l’annullamento

in quanto di ragione, degli atti tutti antecedenti, preordinati, consequenziali e comunque connessi del relativo procedimento, ivi occorrendo la precedente nota dell’Assessorato alla sanità in data 9 dicembre 2003 n. 19422/29.4,

con espressa riserva di agire, anche in separato giudizio, per il risarcimento dei danni derivanti dalla esecuzione del provvedimento di cui sopra.

Visti i ricorsi e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Regione Piemonte e di Regione Piemonte;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 4 maggio 2011 il dott. Antonino Masaracchia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto che l’Associazione Italiana Fisioterapisti Regioni Piemonte e Valle d’Aosta (AIFI), in persona del proprio rappresentante legale, ha impugnato, con separati ricorsi (rispettivamente, iscritti ai numeri di R.G. 637/2004 e 1186/2007, quest’ultimo promosso anche dal sig. G. R.  L., nella qualità di fisioterapista esercente la libera professione) due note emesse dalla Regione Piemonte – Assessorato alla Sanità:

– la nota prot. n. 19422/29/4, del 9 dicembre 2003, avente ad oggetto “Terapisti della Riabilitazione e Massofisioterapisti”;

– la nota prot. n. 7147/29, del 14 maggio 2007, avente ad oggetto “Attività Terapisti della Riabilitazione”;

che, con la prima delle due note, la Regione – premesso che la figura del “terapista della riabilitazione e massofisioterapista” non ha visto ancora l’istituzione del relativo Albo, pur essendo stata riconosciuta con d.m. n. 741 del 1994, con la conseguenza che “l’esercizio della professione in oggetto non rientra ancora in quanto disposto all’art. 2229 ss. Cod. Civ.” – è addivenuta alla conclusione che, “allo stato, non sia consentito l’esercizio in forma autonoma dell’attività di che trattasi, dovendosi svolgere presso strutture sanitarie come tali organizzate – quanto a mezzi, locali, risorse strumentali di personale – e soggette, a pena di illiceità, ad autorizzazioni ex art. 193 ss. T.U. LL.SS. e successivi provvedimenti normativi (in particolare, D.C.R. 616-3149 del 22.2.2000)”;

che, con la seconda delle due note, la Regione ha specificato il contenuto della precedente nota, aggiungendo che la sopravvenuta legge-delega n. 43 del 2006 “ribadisce l’istituzione degli albi e dei collegi, la cui attivazione costituisce condizione imprescindibile per l’esercizio dell’attività libero professionale da parte dei fisioterapisti e, pertanto, nelle more che sia data attuazione alla legge delega da parte del Governo, si ritiene che non esistano ancora gli estremi per lo svolgimento dell’attività in oggetto, in forme diverse da quelle in essere, presso strutture pubbliche o private in regime di dipendenza o di collaborazione coordinata e continuativa”;

che, in entrambi i ricorsi, l’associazione ricorrente, anzitutto, premette di proporre l’impugnazione giurisdizionale in via prudenziale, allorché gli atti contestati vengano interpretati nel senso di riferirsi alla figura del “fisioterapista” (anziché a quella del “terapista della riabilitazione” e/o del “massofisioterapista”), le note regionali apparendo, in proposito, del tutto interlocutorie;

che, in diritto, la ricorrente fa valere violazione di legge in relazione all’art. 1, comma 6, del d.m. n. 741 del 1994, agli artt. 33 e 41, comma 1, Cost., all’art. 2229 c.c., all’art. 8-ter d.lgs. n. 502 del 1992 e all’art. 193 del r.d. n. 1265 del 1934 (nonché, nel ricorso del 2007, in relazione anche all’art. 3 d.m. 29 marzo 2001 ed all’art. 2 della legge n. 43 del 2006), rivendicando, in sostanza, il “diritto” dei fisioterapisti di esercitare la propria professione in forma autonoma;

che, in applicazione dell’art. 9, comma 2, della legge n. 205 del 2000, a seguito di avviso notificato a cura della Segreteria del TAR, in data 19 luglio 2010 l’associazione ricorrente ha presentato nuova istanza di fissazione di udienza di discussione con riferimento al ricorso depositato nel 2004;

che, con memoria depositata il 17 dicembre 2010, la ricorrente ha insistito per l’accoglimento del ricorso R.G. n. 637/2004;

che si è costituita in entrambi i giudizi, con mera memoria di stile, la Regione Piemonte, in persona del Presidente pro tempore, chiedendo il rigetto dei ricorsi;

che alla pubblica udienza del 4 maggio 2011 entrambe le cause sono state trattenute per la decisione;

Considerato che deve preliminarmente disporsi la riunione dei due ricorsi, essendo essi legati da connessione soggettiva ed oggettiva;

che, nel merito, entrambi i ricorsi sono fondati;

che, in proposito, deve anzitutto essere confermata l’interpretazione che l’associazione ricorrente ha avanzato circa l’oggetto dei due atti impugnati i quali – nonostante il fuorviante riferimento alle figure del “terapista della riabilitazione” e del “massofisioterapista” – appaiono senz’altro riferirsi alla categoria dei “fisioterapisti”, quale delineata dall’art. 3, lett. b, del d.m. 29 marzo 2001;

che, infatti, la nota del 14 maggio 2007, nel citare la legge n. 43 del 2006, opera un richiamo alle “attività delle professioni sanitarie riabilitative di cui alla legge n. 251 del 10 agosto 2000”, con ciò senz’altro richiamandosi alla professione del “fisioterapista”, essendo quest’ultima l’unica figura, citata nel d.m. 29 marzo 2001 (di attuazione della legge n. 251 del 2000) nella quale possono oggi dirsi confluite le attività già svolte dai terapisti della riabilitazione e dai massofisioterapisti (figure non più contemplate, in modo espresso, dalla legge e non dotate di autonomia professionale: si vd., in proposito, TAR Umbria, sez. I, n. 5 del 2010);

che, ciò precisato, non vi è dubbio che entrambe le note impugnate contengono un sostanziale divieto, per i fisioterapisti, di esercitare la propria attività libero professionale presso un proprio studio medico, consentendo loro di operare, unicamente, presso strutture pubbliche o private, in regime di dipendenza o di collaborazione coordinata e continuativa;

che tale assunto è in contrasto, anzitutto, con una corretta interpretazione dell’art. 1, comma 6, del d.m. n. 741 del 1994 (a norma del quale “Il fisioterapista svolge la sua attività professionale in strutture sanitarie, pubbliche o private, in regime di dipendenza o libero-professionale”), tale da ricomprendere sia il concetto di “struttura sanitaria” vera e propria che quello di “studio medico”, nozioni che sono alternativamente previste, anche ai fini dell’esercizio dell’attività professionale, dall’art. 8-ter, rispettivamente commi 1 e 2, del d.lgs. n. 502 del 1992 (così come introdotto dal d.lgs. n. 229 del 1999 e successivamente modificato con d.lgs. n. 254 del 2000);

che, sul punto, è insita nel concetto di “autonomia” della professione di fisioterapista (riaffermata dall’art. 1, comma 1, del medesimo d.m. n. 741 del 1994) la possibilità di svolgere tale professione presso un apposito studio medico, anziché presso una struttura sanitaria in regime non autonomo;

che, peraltro, è fondata anche l’ulteriore argomentazione addotta da parte ricorrente, vertente sull’art. 2 del d.m. n. 741 del 1994 (a norma del quale “Il diploma universitario di fisioterapista conseguito ai sensi dell’art. 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, abilita all’esercizio della professione”), e sull’art. 2, comma 1, prima parte, della legge n. 43 del 2006 (“L’esercizio delle professioni sanitarie di cui all’articolo 1, comma 1, è subordinato al conseguimento del titolo universitario rilasciato a seguito di esame finale con valore abilitante all’esercizio della professione”);

che, infatti, in base a tali norme, l’esercizio della professione di fisioterapista, a fronte della mancata attuazione della delega legislativa di cui all’art. 4 della legge n. 43 del 2006 (che aveva delegato il Governo all’istituzione degli Albi professionali per le professioni sanitarie), deve attualmente ritenersi consentita in base al solo conseguimento del diploma universitario;

che, in sostanza, nella prospettiva dell’art. 2229 c.c., quella del fisioterapista è una professione per l’esercizio della quale la legge non richiede (ancora) l’iscrizione in appositi albi od elenchi, posto che, nella fattispecie, il relativo albo non è stato dalla legge ancora istituito;

che, del resto, in base all’art. 4, comma 2, del d.lgs. n. 30 del 2006 (recante “Ricognizione dei princìpi fondamentali in materia di professioni, ai sensi dell’articolo 1 della L. 5 giugno 2003, n. 131”), è la legge statale che definisce i requisiti ed i titoli per l’esercizio delle attività professionali che richiedono una specifica preparazione a garanzia di interessi pubblici generali, sicché, laddove la legge statale non istituisca, in concreto, un albo professionale, tale mancanza non può essere addotta come ostacolo al libero dispiegarsi dell’attività;

che, in definitiva, entrambi i ricorsi vanno accolti;

che sono ravvisabili giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite, per entrambi i giudizi;