Al medico radiologo veniva contestato il reato di omicidio colposo per avere con grave negligenza ed imperizia effettuato una Tac-torace-addome e scavo pelvico, avendo omesso di descrivere nel referto o comunque di annotare nel diario clinico od in altra documentazione relativa alla paziente, la presenza nella sede anatomica del corpo coda del pancreas di una formazione ovalare del diametro di circa cm. 8/9, riscontrabile in alcune immagini.

La Corte di Cassazione confermando la pronuncia di condanna del grado di giudizio precedente, ne ha riproposto le argomentazioni logiche in ordine ad un intervento diagnostico eseguito con negligenza allorquando, nel corso dell’esame, pur essendo la presenza della neoformazione perfettamente visibile, in quanto di considerevole dimensioni, aveva omesso di refertarla, così da precludere ogni tipo di intervento che avrebbe potuto salvare la vita della paziente, qualora si fosse trattato di una neoformazione di natura benigna, nel tempo degenerata o, comunque, nel caso che la neoformazione fosse già all’epoca di natura maligna, avrebbe potuto ritardare in maniera significativa l’evento morte

Cassazione Penale – Sez. IV, Sent. N. 15563 del 18.04.2011

Svolgimento del processo

Con sentenza del 21 luglio 2008 il Tribunale di Palermo in composizione monocratica assolveva M.D. dal delitto di omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla disciplina dell’arte medica perchè il fatto non sussiste.

Al M., medico radiologo in servizio il 9 luglio 1998 presso l’U.O. di radiologia dell’azienda di rilievo nazionale e di alta specializzazione “Ospedale Civico e B., G. di Cristina e M. Ascoli” di X. , era stato contestato il reato di cui all’art. 589 c.p. per avere, per colpa consistita in grave negligenza ed imperizia, avendo effettuato il 9 luglio 1998 ad A.F. una Tac-torace-addome e scavo pelvico e avendo omesso di descrivere nel referto e/o comunque di annotare nel diario clinico od in altra documentazione relativa alla paziente, la presenza nella sede anatomica del corpo coda del pancreas di una formazione ovalare del diametro di circa cm. 8/9, riscontrabile nelle immagini contrassegnate dal numero 40 al numero 43 della suddetta indagine radiologica, non avendo imposto così ulteriori accertamenti diagnostici che, in caso di natura benigna della lesione avrebbe suggerito l’eliminazione chirurgica della massa con conseguente sicura guarigione della paziente e, in caso di lesione già maligna, avrebbero determinato una diagnosi precoce, una tempestiva aggressione della malattia e la probabile guarigione della stessa, cagionato il decesso di A.F. avvenuto il X.  per “metastasi epatiche di adenocarcinoma capillifero a medio grado di differenziazione compatibile con genesi pancreatica”.

Avverso la decisione del Tribunale di Palermo hanno proposto appello il Procuratore Generale e la parte civile F.V., in proprio e nella qualità di genitore esercente la potestà genitoriale sui figli minori F.A., F.G. e F.M..

La Corte di Appello di Palermo in data 19.03.2010 con la sentenza oggetto del presente ricorso, in riforma della sentenza del Tribunale, dichiarava non doversi procedere nei confronti dell’imputato M.D. per essere estinto il reato per intervenuta prescrizione; condannava l’imputato al risarcimento del danno in favore della parte civile da liquidarsi in separata sede nonché alle spese del doppio grado di giudizio liquidate in complessivi Euro 4000,00; assegnava alla parte civile una provvisionale di Euro 25.000,00 e dichiarava il relativo capo della pronuncia provvisoriamente esecutivo.

Avverso la sentenza della Corte d’appello di Palermo M. D. proponeva due distinti ricorsi per Cassazione a mezzo dei suoi difensori e concludeva chiedendone l’annullamento anche in ordine alle statuizioni civili.

Motivi della decisione

La ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per i seguenti motivi:

1) erronea applicazione dell’art. 42 c.p. per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.

Secondo il ricorrente non era corretto l’assunto dei giudici della Corte territoriale secondo cui il M. avrebbe tenuto un comportamento non improntato ai criteri di diligenza richiesti dalla legge in quanto egli avrebbe potuto visionare la TAC anche il giorno dopo l’intervento effettuato in condizioni di urgenza e avrebbe potuto quindi diagnosticare la presenza di una massa al pancreas e annotarla nel diario clinico. Sosteneva invece il ricorrente di essere stato chiamato ad operare un intervento in regime di estrema urgenza volto ad iniettare nell’arteria polmonare un farmaco utile ad ostruire i vasi sanguigni che erano occlusi a causa dell’embolia e che la TAC si era resa necessaria solo per verificare se le vene iliache dalle quali sarebbe dovuto passare il catetere utile ad iniettare il farmaco nei polmoni fossero occluse. Egli quindi non aveva materialmente visto le lastre della TAC dalle quali era possibile scorgere la massa tumorale al pancreas, essendosi egli limitato a verificare al monitor ed in condizioni di urgenza, se sussistevano le condizioni per potere passare con la sonda ed operare sulla donna l’intervento di angiopneumografia.

2) Erronea applicazione dell’art. 40 c.p., omessa, insufficiente e manifesta contraddittorietà della motivazione sotto il profilo della congruenza intrinseca e del travisamento dei fatti emergenti dagli atti del processo in relazione all’insussistenza del nesso causale tra la condotta ascritta all’imputato e l’evento. Secondo il ricorrente non poteva ritenersi provato il nesso di causalità tra la sua condotta e l’evento letale verificatosi, non essendo possibile affermare che A.F. avrebbe avuto aspettative di vita significativamente più lunghe, dal momento che, come emerge dalle consulenze tecniche in atti, che sul punto sono concordi, le aspettative di vita a cinque anni dei soggetti trattati è assai modesta (circa il 10%). Sul punto, osservava il M., che la sig.ra A., dalla data in cui è stata effettuata la TAC alla data del decesso, è vissuta per più di tre anni, dato che si allinea perfettamente in termini probabilistici nella media dei pazienti trattati.

I proposti motivi di ricorso non sono fondati. Nella sentenza oggetto di ricorso è infatti chiaro il percorso motivazionale che ha indotto i Giudici della Corte di appello di Palermo a ritenere sussistente la responsabilità di M.D. in ordine al reato ascrittogli, di cui è stata peraltro correttamente dichiarata la prescrizione, e a condannare quindi l’imputato al risarcimento del danno in favore della parte civile.

La Corte di Appello infatti ha correttamente evidenziato che il dottor M. operò con negligenza allorquando, nel corso dell’esame TAC torace addome sulla paziente A.F., pur essendo la presenza della neoformazione al pancreas perfettamente visibile, in quanto era di considerevole dimensioni, aveva omesso di refertarla, così da precludere ogni tipo di intervento che avrebbe potuto salvare la vita della paziente, qualora si fosse trattato di una neoformazione di natura benigna, nel tempo degenerata o, comunque, nel caso che la neoformazione fosse già all’epoca di natura maligna, avrebbe potuto ritardare in maniera significativa l’evento morte.

Correttamente pertanto i giudici della Corte territoriale hanno ritenuto la sussistenza del nesso causale tra la condotta del dottor M. e il decesso della signora A.F..

Il rapporto di causalità costituisce un criterio di imputazione oggettiva di un evento alla condotta di un soggetto; solo se l’evento può essere ritenuto ricollegabile alla condotta, l’agente potrà essere tenuto a risponderne, sempre che concorrano i criteri di imputabilità soggettiva.

Peraltro, nella ipotesi di causalità omissiva,il decorso degli avvenimenti non è, nella realtà fenomenica, influenzato dall’azione (che non esiste) di un soggetto; per cui la causalità omissiva si configura come una costruzione giuridica (art. 40 c.p., comma 2, che, non a caso, usa la locuzione “equivale”: non impedire equivale a cagionare), che consente di ricostruire l’imputabilità oggettiva come violazione di un obbligo di agire, di impedire il verificarsi dell’evento (in violazione del cosiddetto obbligo di garanzia);

omissione che provoca l’evento di pericolo o di danno (reati omissivi impropri o commissivi mediante omissione); contrapposti ai reati omissivi propri nei quali il reato si perfeziona con la mera omissione della condotta dovuta.

Nei reati omissivi impropri, quindi, la causalità, proprio per essere giustificata in base ad una ricostruzione logica e non in base ad una concatenazione di fatti materiali esistenti nella realtà ed empiricamente verificabili, costituisce una causalità costruita su ipotesi e non già su certezze. Si tratta quindi di una causalità ipotetica, normativa, fondata, come quella commissiva su di un giudizio contro fattuale (“contro i fatti”: se l’intervento omesso fosse stato adottato, si sarebbe evitato il prodursi dell’evento?) alla quale si fa ricorso per ricostruire una sequenza che, però, a differenza della causalità commissiva, non potrà mai avere una verifica fenomenica.

Con la sentenza Franzese del 10 luglio 2002 n. 30328 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno posto un punto fermo su questa complessa problematica. Secondo la sentenza di cui sopra ” nel reato colposo omissivo improprio il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato sulla base di un giudizio di alta probabilità logica, sicchè esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l’azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l’interferenza di decorsi causali alternativi, l’evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo, ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva”. Pertanto, in tema di causalità nei reati omissivi impropri, può pervenirsi al giudizio di responsabilità solo quando, all’esito del ragionamento probatorio, che abbia escluso l’interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata e “processualmente certa” la conclusione che la condotta omissiva dell’imputato è stata condizione necessaria dell’evento lesivo con “alto o elevato grado di credibilità razionale” o “probabilità logica”.

Tanto premesso si osserva che, nella fattispecie di cui è processo, per le considerazioni sopra effettuate, se il ricorrente avesse informato la signora A. della neoformazione che la TAC aveva rilevato, sarebbe stato possibile effettuare una diagnosi tempestiva e sarebbe stato possibile adottare i trattamenti chirurgici e farmacologici necessari che sarebbero stati quanto meno in grado a garantire una significativa sopravvivenza. Pertanto, come correttamente osservano i giudici della Corte territoriale, il comportamento negligente dell’imputato si pone in rapporto eziologico con il decesso dell’ A., in quanto nel caso di tempestiva diagnosi, la donna avrebbe potuto utilizzare le terapie appropriate e l’evento morte, quand’anche fosse stato ineluttabile in considerazione del tipo di patologia, si sarebbe verificato in tempi significativamente più lontani.

I ricorsi devono essere pertanto essere rigettati e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese di giudizio in favore delle parti civili.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione, in favore delle costituite parti civili delle spese di questo giudizio che, unitariamente e complessivamente, liquida in Euro 2700,00 oltre accessori come per legge.