a fronte di un’algia in “sede 13”, una paziente si sottoponeva ad un ciclo terapico presso uno studio odontoiatrico, consistito nell’esecuzione di una devitalizzazione e quindi in un’apicectomia.  Di seguito, la donna, agiva in giudizio per  ottenere il risarcimento del danno derivante dalla presunta erronea esecuzione del trattamento.

Tribunale di Bologna – Sez. III; Sent. del 07.07.2011

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Di seguito alla citazione in giudizio di parte attrice, intesa a conseguire il risarcimento dei danni subiti nel corso degli interventi odontoiatrici eseguiti dal convenuto, la causa, costituitisi il sanitario convenuto e, su chiamata di lui, la compagnia che ne assicurava la responsabilità civile, previamente istruita, era rinviata per la precisazione delle conclusioni ed indi tenuta in decisione alla scadenza dei termini di cui all’art. 190 sulla base delle conclusioni epigrafate.

2. La domanda attorea è fondata e merita accoglimento.

3.1. E’ vero, in diritto, ripercorrendo qui a grandi linee una trama giurisprudenziale ampiamente nota, che “di regola, le obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale costituiscono obbligazioni di mezzi e non di risultato, in quanto il professionista si impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato, non per conseguirlo” (Cass. civ., Sez. II, 14/11/2002, n. 16023) e che, se “l’obbligazione di mezzi, richiede al debitore soltanto la diligente osservanza del comportamento pattuito, indispensabilmente dalla sua fruttuosità rispetto allo scopo perseguito dal creditore” (Cass. civ., Sez. III, 10/09/1999, n. 9617), l’inadempimento di essa non può farsi discendere dal mancato conseguimento del risultato sperato (Cass. civ., Sez. III, 04/03/2004, n. 4400), ma semmai dall’inosservanza dell’obbligo di diligenza specifica imposto al professionista intellettuale dall’art. 1176, comma secondo, c.c. (Cass. civ., Sez. III, 13/01/2005, n. 583). E’ poi indiscutibile che gli interventi, cui l’attrice si sottopose ad opera del convenuto e che ne determinano la responsabilità, debba farsi rientrare nell’ambito di quelli che la prassi giurisprudenziale ha cura di definire routinari, non solo perché riguardo alla professione odontoiatrica l’art. 2236 è dai più considerato un ramo secco, ma perché è questo l’inequivoco giudizio del c.t.u. che annota nella sua relazione come quelle affrontate dal convenuto non costituiscano “problematiche di particolare difficoltà tecnica”.

3.2. Nello specifico, incontroverso che l’attrice a fronte di un’algia in sede 13, si sottopose sul finire del 1999 e i primi giorni del 2000 ad un ciclo terapico presso lo studio del convenuto, consistito nell’esecuzione di una devitalizzazione e quindi in un’apicectomia, la responsabilità del convenuto è comprovata in relazione agli interventi in parola alla luce degli accertamenti espletati in sede di a.t.p. prima e di c.t.u. dopo.

Come, invero, si apprende dalla lettura dei relativi elaborati, ancorché la scelta terapeutica operata nell’occasione dal convenuto non possa giudicarsi incongrua rispetto alla sintomatologia lamentata dalla paziente e alle condizioni generali di essa (in particolare si sottolinea dal c.t.u. che l’intervento per via ortograda mediante la perforazione della preesistente corona a presidio del 13 trovi giustificazione nella minor dispendiosià di questa tecnica rispetto ad una preventiva rimozione dell’impianto), è giudizio dell’a.t.p., prima, che “il quadro radiografico conferma che l’intervento endodontico e di apicectomia non siano stati eseguiti in modo esauriente” (relazione Ru.) e della c.t.u., poi, che la scelta di intervenire per via ortograda prima e per via retrograda Successivamente “non è stata supportata da manovre tecniche ben eseguite (riempimento parziale del canale, materiale fuori sede) con conseguente mancato raggiungimento degli esiti sperati (problematica non risolta, peggioramento del quadro clinico, necessità di reintervento)” (relazione Ri.). Il rilevato quadro esitale è descritto ancora più chiaramente dal c.t.u., osservando, quanto alla devitalizzazione, che, pur in difetto di un’idonea rappresentazione iconografica della sede, vi è motivo di credere che in relazione all’insuccesso dell’intervento siano insorte in fase di esecuzione “difficoltà tecnico operative”, vero che “intervenire attraverso una corona protesica è oggettivamente più complesso che intervenire senza”, dato che non si conosce “l’esatta inclinazione anatomica e/o rotazione del dente, senza escludere le difficoltà oggettive legate alla storia clinica dell’elemento”; e quanto all’apicectomia, che è “provata la mal esecuzione dell’intervento chirurgico (amalgama non nel canale, frustuli sparsi nella breccia chirurgica)”.

E’ indubbio perciò sulla base delle trascritte risultanze peritali che sia comprovata la presunzione di colpevolezza a carico del convenuto in relazione ad entrambi gli interventi, posto che la devitalizzazione operata senza rimozione della corona, quantunque potesse essere giustificate da ragioni extra – cliniche, si rivelava di esecuzione indubbiamente più complessa e quindi più rischiosa sotto il profilo di un buon esito di essa, e che l’apicectomia denuncia per i reliquati obiettivi rilevati dal c.t.u. un’evidente imperizia nella sua esecuzione.

Né qui è di qualche peso opporre, sul pure ricordato presupposto che la responsabilità del medico non discende dal mancato raggiungimento dei risultati sperati, che vi sarebbe stato solo un insoddisfacente esito degli interventi operati dal convenuto. Al contrario e come detto, la responsabilità medica sussiste se sia violato l’obbligo di diligenza nella sua più ampia accezione di prudenza, perizia ed osservanza delle leges artis, che nel caso specifico è puntualmente comprovata da quanto si è appena osservato in ordine al profilo della colpa.

4. Ciò detto in ordine all’an, circa il quantum, il giudizio formulato dal c.t.u., che ha escluso, come già il c.t.u. dell’a.t.p., ogni risalenza causale agli eventi di causa della concomitante patologia sinusale accusata dalla paziente, così come ha ritenuto indimostrata la necessità dell’estrazione del 13 a causa dell’operato del convenuto, porta a ritenere che, quanto al danno alla persona, parte attrice ebbe a riportare lesioni invalidanti di carattere permanente nella misura pari al 1% e fu affetta da invalidità temporanea parziale per giorni 7 al 50% e per giorni 60 al 25%; il danno patrimoniale andrà determinato, giusta sempre le risultanze peritali, in ragione delle spese sostenute e sostenende per cure e trattamenti riabilitativi.

Venendo alla liquidazione del danno, secondo i criteri in uso in questo Tribunale e già più volte richiamati, a parte attrice competerà un risarcimento, quanto al danno non patrimoniale, liquidato all’attualità, di Euro 990, 00 = per invalidità permanente e sofferenza morale soggettiva e, quanto all’invalidità temporanea, per quella al 50% di Euro 350,00 (50 Euro x 7 gg.) e per quella al 25%, di Euro 1.500,00 (Euro 25 x 60 gg.), somme pure liquidate all’attualità.

All’attrice va altresì liquidato il danno emergente in ragione delle spese per le cure di ripristino stimate dal c.t.u. in Euro 1.500,00 =.

La complessiva somma così risultante dovrà poi maggiorarsi degli accessori, secondo l’insegnamento di Cass. 17 febbraio 1995, n. 1712, in Guida del diritto, n. 11/95, 53, opportunamente ridotti gli interessi al tasso annuo del 2,5% e decorrenti, quanto alle somme liquidate all’attualità, dal 1 giugno 2005, avuto riguardo alla data di accadimento dei fatti.

Va da sé, infine, che a seguito della liquidazione operata in questa sede il debito di valore si converte in debito di valuta, sicché su di esso dovranno computarsi i normali interessi moratori ex lege.

5. Atteso l’obbligo contrattuale gravante sul terzo in forza della polizza in atti che lo vincola a tenerlo indenne da quanto questo sia tenuto a pagare quale civilmente responsabile obbligato ai sensi di legge (capitale, interessi e spese) a titolo di risarcimento di danni involontariamente cagionati a terzi in dipendenza di attività professionali, dell’onere della condanna in accoglimento della svolta domanda di garanzia, andrà gravato l’assicuratore in persona della Mi.

L’obiezione di questa che, facendosi scudo della clausola a secondo rischio figurante in polizza, contesta ogni addebito è documentalmente smentita dal carattere condizionato della pattuizione e dalla circostanza, comprovata dal documento allegato dal convenuto alla propria memoria ex art. 184 c.p.c., che all’epoca dei fatti (1999 – 2000), la precedente polizza stipulata con la compagnia la Previdente era da tempo cessata, essendo stata stipulata sino al 9 febbraio 1997 e non costandone successivamente il rinnovo. Va da sé che per la riserva di lite pure figurante in polizza la compagnia risponderà poi solo nei limiti del capitale e degli interessi.

6. Le spese seguono la soccombenza nei reciproci rapporti tra le parti.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza respinta

1) Accoglie la domanda proposta da Pi.Si. nei confronti di Pe.St. con atto di citazione passato per la notifica il 12 maggio 2005 e, per l’effetto, condanna parte convenuta al pagamento in favore di parte attrice:

a) della somma di Euro 990,00 + 350,00 + 1.500,00 = per danno non patrimoniale, oltre agli interessi al tasso annuo del 2,5% dal 1 giugno 2005 alla pubblicazione della sentenza;

b) della somma in Euro 1.500,00 = per danno patrimoniale, oltre rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT ed interessi al tasso annuo del 2,5% sulla somma capitale annualmente rivalutata dalla domanda alla pubblicazione della sentenza;

c) degli interessi al tasso annuo di legge sulle somme predette dalla pubblicazione della sentenza al saldo effettivo e delle spese di lite che si liquidano in Euro 197,00 + 373,33 = per spese, Euro 2.239,00 = per competenze ed Euro 3.500,00= per onorari, oltre IVA, CPA e art. 14 t.p. e spese di c.t.u. se quietanzate.

2) Accoglie la domanda proposta da Pe.St. nei confronti di Mi. S.p.A. con atto di citazione per chiamata di terzo passato per la notifica il 26 ottobre 2005 e, per l’effetto, condanna parte chiamata al pagamento in favore di parte chiamante delle somme che questa sarà tenuta a corrispondere in base al precedente punto 1 con esclusione delle spese di lite, oltre le spese che si liquidano nella somma di Euro 39,43 = per spese, Euro 3.198,50 = per competenze ed Euro 3.000,00 per onorari, oltre IVA, CPA e art. 14 t.p.