La Corte di Cassazione ha confermato la sentenza di condanna per il reato di interruzione volontaria della gravidanza avvenuta secondo quanto ritenuto accertato dai giudici del merito, all’ottava settimana di gravidanza attraverso l’assunzione di un farmaco destinato alla cura dell’ulcera ma capace di provocare l’aborto come effetto secondario.

All’imputata era stato contestato il reato di cui alla L. n. 194 del 1978, art. 19, commi 1 e 2, fattispecie che prevede la sanzione penale per chi cagiona l’interruzione volontaria della gravidanza senza l’osservanza delle modalità relative al necessario previo intervento della struttura socio sanitaria nel tracciare il percorso dapprima psicologico e poi medico che la donna che intenda abortire è tenuta a seguire.

Cassazione Penale – Sez. V; Sent. n. 44107 del 30.09.2011

FATTO E DIRITTO

Propone ricorso per cassazione D.M. avverso la sentenza della Corte di appello di Milano in data 7 aprile 2010 con la quale è stata confermata quella di primo grado di condanna per il reato di interruzione volontaria della gravidanza commesso il X. .

La detta interruzione era avvenuta, secondo quanto ritenuto accertato dai giudici del merito, all’ottava settimana di gravidanza attraverso la assunzione di un farmaco (Cytotex) destinato alla cura dell’ulcera ma capace di provocare l’aborto come effetto secondario.

L’accertamento del fatto era avvenuto ad opera dei medici dell’Ospedale di X.  presso il quale la donna si era recata denunciando perdite ematiche e la recente assunzione di pillole per abortire.

Era stata inflitta alla donna, imputata e condannata per il reato di cui alla L. n. 194 del 1978, art. 19, commi 1 e 2, la pena, poi condizionalmente sospesa, di 40 giorni di reclusione.

Deduce la violazione dell’art. 47 c.p..

La ricorrente aveva assunto il Cytotec quale pillola equivalente a quella propriamente abortiva (la RU486) ritenendo, per mero errore, che non vi fosse un protocollo da rispettare (peraltro all’epoca dei fatti nemmeno approvato) e la ignoranza di tale protocollo non poteva ritenersi – come invece ritenuto dal giudice-errore inescusabile ricadente su “parte di norma penale”, bensì errore sul fatto, come previsto dall’art. 47 c.p.: errore capace cioè di alterare il processo volitivo e comunque non destinato a formare oggetto di onere probatorio dell’imputato;

2) la violazione dell’art. 19 L. cit. quanto alla individuazione del trattamento sanzionatorio, previsto dalla legge, per la donna, nella forma solo pecuniaria.

Il ricorso è fondato nei termini che si indicheranno.

Invero il primo motivo è destituito di fondamento.

Alla imputata è stato contestato il reato di cui alla L. n. 194 del 1978, art. 19, commi 1 e 2, fattispecie che prevede la sanzione penale per chi cagiona la interruzione volontaria della gravidanza senza la osservanza delle modalità indicate dagli artt. 5 e 8:

quelle cioè relative al necessario previo intervento della struttura socio sanitaria nel tracciare il percorso dapprima psicologico e poi medico che la donna che intenda abortire è tenuta a seguire.

Nel caso di specie è stato accertato che la imputata ha assunto al di fuori del rispetto delle dette modalità una medicina capace di farle raggiungere il risultato perseguito di abortire.

La Corte d’appello ha dunque giustamente replicato al motivo di appello con il quale la difesa aveva sostenuto la convinzione della imputata sulla liceità della propria condotta : ha cioè osservato che la ignoranza delle modalità, previste dalla legge in contestazione (L. n. 194 del 1978, art. 19), per la realizzazione legittima di una condotta volontariamente abortiva non può che costituire ignoranza della legge penale, ai sensi dell’art. 5 c.p., in linea di principio incapace di escludere la responsabilità.

Si è osservato anche, in proposito, da parte della giurisprudenza di questa Corte che la coscienza dell’antigiuridicità o dell’antisocialità della condotta non è una componente del dolo, per la cui sussistenza è necessario soltanto che l’agente abbia la coscienza e volontà di commettere una determinata azione. D’altra parte, essendo la conoscenza della legge penale presunta dall’art. 5 c.p., quando l’agente abbia posto in essere coscientemente e con volontà libera un fatto vietato dalla legge penale, il dolo deve essere ritenuto sussistente, senza che sia necessaria la consapevolezza dell’agente di compiere un’azione illegittima o antisociale sia nel senso di consapevolezza della contrarietà alla legge penale sia nel senso di contrarietà con i fini della comunità organizzata (Rv. 236432). Del tutto improprio appare dunque il richiamo della difesa all’art. 47 c.p., norma che regola il caso dell’errore sulla legge diversa da quella penale, tale potendosi considerare non quella in contestazione ma solo quella destinata in origine a regolare rapporti giuridici di carattere non penale e non esplicitamente in una norma penale o da questa non richiamata anche implicitamente (vedi in tal senso rv 169820).

Fondato è invece il secondo motivo.

La citata Legge, art. 19, comma 2 prevede per la donna che provochi la interruzione volontaria della propria gravidanza la pena solo pecuniaria, della multa fino a lire centomila che, ragguagliata all’Euro è pari a Euro 51,65.

Tenuto conto che il giudice del merito, nell’irrogare erroneamente la pena detentiva, ha manifestato un giudizio di congruità di pena individuata in misura vicina al minimo edittale, questa Corte, applicando il medesimo criterio, individua all’esposto principio di diritto, valutando in concreto anche la opportunità della concessione dei benefici di legge.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano per nuovo esame sul punto.

Così deciso in Roma, il 30 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2011