La Procura Regionale presso una sezione della Corte dei Conti ha convenuto in giudizio un medico di medicina generale e un suo assistito, pubblico dipendente, già imputato e poi condannato per il reato di truffa aggravata nei confronti dello Stato collegato alla ripetuta presentazione di certificazioni prognostiche idonee al conferimento di congedo per malattia effettivamente ottenute negli stessi giorni in cui il lavoratore era impegnato a disputare competizioni calcistiche.

Corte dei Conti – Toscana; Sent. n. 479 del 11.10.2012

FATTO e DIRITTO

Con atto introduttivo del giudizio depositato presso questa Sezione l’1 febbraio 2012 la Procura Regionale conveniva in giudizio davanti a questa Sezione giurisdizionale i sigg.ri X.  X. , agente scelto della Polizia di Stato in forza al Compartimento di Polizia Ferroviaria per la Liguria ed effettivo al Posto di Polizia Ferroviaria di X.  X. , e la sig.ra Y.  Y.  Y.  Y.  Y. , medico di medicina generale del sig. X.  X. .

Il giudizio traeva origine dalla comunicazione del Tribunale di Massa – Ufficio del Giudice per le Udienze Preliminari – con cui si informava l’odierna parte attrice del procedimento penale nei confronti del sig. X.  X.  imputato del reato di truffa aggravata nei confronti dello Stato, atteso che con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, mediante artifizi e raggiri, consistiti nel presentare in più occasioni certificazioni prognostiche di malattie quali lombosciatalgia, gastroenterite febbrile ed otite acuta, induceva in errore l’Amministrazione di appartenenza a riconoscergli il congedo per malattia nei seguenti giorni: 21 novembre 2004, 16 gennaio 2005, 6 e 12 febbraio 2005, 21 maggio 2006, 14 e 18 marzo 2007, 15 e 25 aprile 2007, 13 e 20 maggio 2007, e ad erogare a suo favore gli emolumenti fissi e continuativi nei suddetti periodi.

Il sig. X. , in siffatto modo, si procurava un ingiusto profitto con pari danno per la Pubblica Amministrazione, atteso che negli stessi giorni disputava competizioni agonistiche come calciatore dell’Unione XX Calcio che militava nel campionato di serie D.

Il procedimento penale  esitava nella aveva esito nella sentenza n. 124/2010 del Tribunale di Massa – Ufficio del Giudice per le udienze preliminari con applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 c.p.p., di 6 mesi di reclusione e 200,00 € di multa, e 1.200,00 € per il danno arrecato all’Amministrazione (risarcito con assegno circolare del 26 maggio 2010).

Per tale condotta, osserva la Procura erariale, era derivato anche un ulteriore profilo di danno correlato alla lesione del prestigio e dell’immagine del Ministero dell’Interno.

Da un’ulteriore attività istruttoria posta in essere dal Comando Carabinieri per la tutela della salute N.A.S. di Livorno risultava che il X.  – nel periodo 28 ottobre 2006 – 31 dicembre 2010 – aveva fruito di n. 326 giorni di prognosi riferibili a 47 referti medici, di cui n. 39 sottoscritti dalla dott.ssa Y. , e contestualmente aveva eseguito gli allenamenti infrasettimanali pomeridiani.

Il sig. X.  nell’iniziale parte del periodo investigato (1 novembre 2006 – 25 aprile 2007) aveva disputato  anche le partite ufficiali domenicali  e/o infrasettimanali – sebbene risultassero certificazioni mediche attestanti patologie in atto – , mentre successivamente al 25 aprile 2007 il convenuto durante tutte le partite disputate non risultava più assente per malattia che, tuttavia, veniva certificata prima e dopo ciascun incontro.

La manifesta illogicità delle certificazioni mediche in atti attestanti le varie patologie (lombosciatalgia, otite, gastroenterite, coliche renali e sindrome influenzale) e lo svolgimento di attività agonistica era confermata da 5 “certificazioni di idoneità all’attività sportiva agonistica” rilasciate dall’Azienda USL 5 di Pisa in favore del calciatore X.  (certificati di durata annuale e rilasciati il 13 luglio 2006,23 agosto 2007, 21 agosto 2008, 28 luglio 2009 e 20 luglio 2010).

A fronte della corposa certificazione medica, peraltro, nel periodo 1 gennaio 2006 – 31 gennaio 2011, risultavano solo due ricette mediche a carico del S.S.N. .

La condotta causativa di danno erariale aveva determinato, secondo la prospettazione attorea, un danno erariale nei confronti del Ministero dell’Interno imputabile in via principale al sig. X.  e in via sussidiaria nei confronti della dott.ssa D’ Amico – a concorrenza della propria quota pari al 35% subordinatamente alla mancata realizzazione, totale o parziale, del credito erariale correlato all’illecita percezione degli emolumenti stipendiali da parte del X.  – quantificabile in siffatto modo: a) emolumenti stipendiali percepiti durante l’assenza per malattia pari a complessivi € 20.630,00; b) danno correlato al danno all’immagine ed al prestigio per un importo pari a € 15.000,00.

Con ordinanza resa in sede cautelare, il giudice designato (ord. 26 gennaio 2012 n. 19) confermava il sequestro conservativo ante causam disposto con decreto presidenziale del 30 novembre 2011 sino alla concorrenza di € 36.630,00 per le somme dovute al sig. X.  X.  a titolo di emolumenti stipendiali e di liquidazione del T.F.S..

Notiziate dell’atto di citazione, dopo aver dedotto in sede preprocessuale, ambedue le parti convenute si costituivano in giudizio.

In data 30 aprile 2012 il sig. X.  X.  con memoria defensionale deduceva l’erronea quantificazione del danno erariale dedotto dalla Procura, in quanto parte del danno era stato già corrisposto dal sig. X. , la prescrizione di quanto percepito ante 1 febbraio 2007 essendo stata la citazione depositata l’1 febbraio 2012, e la infondatezza delle pretese attore.

La effettiva sussistenza delle patologie, secondo le tesi difensive, era acclarata dalle visite fiscali (ad eccezione di due sole volte) rese con convalida di diagnosi e prognosi e con verifica nel merito dell’effettiva esistenza dello stato patologico, sicché l’atto pubblico era contestabile solo mediante querela di falso.

In ordine alle dichiarazioni rese dalla dott.ssa Y. , esse erano inattendibili, secondo la parte convenuta, per motivi legati alle condizioni personali della dottoressa, affetta essa stessa da una patologia grave che le aveva fatto perdere la naturale serenità nelle necessarie valutazioni oggettive, e per la difficoltà, per un medico curante, di ricordare con esattezza il tipo, l’intensità della sintomatologia e le singole patologie di cui poteva aver sofferto diversi anni prima uno dei suoi oltre 1.000 assistiti.

Con riferimento alla patologie sofferte ed alle due sole prescrizioni di farmaci per un arco temporale così lungo, si osservava che le certificazioni di idoneità all’attività sportiva agonistica non erano incompatibili con la periodica insorgenza delle malattie sofferte, mentre i farmaci utilizzati erano antiinfiammatori e antidolorifici non richiedenti la prescrizione del farmaco stesso.

Oltre al danno erariale diretto emergente, il sig. X.  eccepiva l’assenza del danno all’immagine, atteso che non vi era stato un reato accertato irrevocabilmente in sede penale e, inoltre, l’importo era esorbitante visto il ruolo e la funzione del convenuto nell’ambito della organizzazione amministrativa e dell’ambito territoriale, e ritenuta la reazione della comunità locale al fatto causativo del danno.

Concludeva, il sig. X. , per l’assoluzione da ogni addebito e per la refusione delle spese legali.

In via istruttoria si chiedeva la nomina del CTU in riferimento alla disamina della patologia della lombo sciatalgia, unitamente all’audizione a testimone del dott. Piemontino a conferma della convalida delle visite fiscali rese.

Con memoria del 2 maggio 2012 si costituiva la dott.ssa Y.  che deduceva la sua estraneità al disegno delittuoso del sig. X.  e affermava di aver sottoscritto certificati per disturbi non obiettivabili fidandosi dei sintomi accusati o riferiti dallo stesso paziente, in totale buona fede ed al più forse confidando eccessivamente nell’integerrima onestà e incorruttibilità del proprio paziente.

Inoltre aveva prescritto accertamenti una volta con visita ortopedica e un esame radiologico, ma non aveva avuto alcun riscontro in merito.

Concludeva, quindi, per l’assoluzione per assenza della colpa grave.

Nell’udienza di discussione la rappresentante della Pubblica accusa insisteva per la condanna delle parti convenute e specificava il danno erariale decurtando dallo stesso: a) € 235,96 per 4 giorni di assenza nel mese di ottobre 2006 e € 1.474,35 per 25 giorni di assenza nel mese di novembre 2006, essendo gli importi colpiti da prescrizione a fronte dell’ invito a dedurre del 26 novembre 2006; b) € 369,84 per le assenze del 14 e 18 marzo 2007, 15, 25 aprile 2007 e 20 maggio 2007 in quanto già risarcite a seguito della sentenza penale di patteggiamento.

L’avv. Z. , per il sig. X.  X. , ribadiva l’eccezione di prescrizione, un’erronea quantificazione del danno erariale ed in ogni caso l’infondatezza delle pretese attoree.

L’ avv. W. , per la dott.ssa Y. , si riportava alla comparsa di costituzione, affermava che non era stata provata la negligenza professionale e chiedeva l’assoluzione da ogni addebito; quindi la causa veniva introitata per la decisione.

In via preliminare il Collegio prende atto della precisazione resa dalla procura contabile in ordine al petitum, per cui il danno correlato agli emolumenti stipendiali va decurtato dell’importo pari a € 2.080,15 e quantificato globalmente in € 17.549,85 (e non in € 20.630,00).

Il comportamento addebitato al sig. X.  X. , ovvero l’aver militato in qualità di calciatore nell’U.S. XX Calcio XX, disputando campionati di calcio, prevalentemente di serie D, mentre risultava assente dal servizio per malattia, appare indiscutibilmente provato dalla parte attorea.

Infatti sia i referti arbitrali sia le liste dei giocatori partecipanti agli incontri – e/o comunque presenti – disputati dall’U.S. XX Calcio XX nelle stagioni 2006/2007, 2007/2008, 2008/2009, 2009/2010 e 2010/2011, hanno evidenziato la presenza dell’ odierno convenuto, e lo stesso ha presenziato agli allenamenti infrasettimanali pomeridiani (cfr. allegati 1,2 ,3,4,5,6 e 7 rel. NAS ) siccome reso dalle persone informate sui fatti, da cui si evince che “nell’arco dei nove anni di presenza del calciatore X.  X. , ad eccezione di sporadiche circostanze dovute ad infortuni, l’ho sempre visto presenziare agli allenamenti”.

Oltre agli allenamenti infrasettimanali pomeridiani, il convenuto in giudizio aveva anche disputato le partite ufficiali e/o infrasettimanali con due diverse condizioni: a) nel periodo 1 novembre 2006 – 25 aprile 2007 aveva disputato le partite nonostante risultassero certificazioni mediche acclaranti patologie in atto; b) in un secondo momento( dal 25 aprile 2007) era stata adottata una condotta più “cauta” in quanto durante le partite disputate il sig. X.  X.  non risultava assente per malattie che, in ogni caso, apparivano certificate prima e dopo l’incontro.

Il cambiamento era stato adottato a seguito dell’intervento (in data 25 aprile 2007) del personale del Commissariato della P.d.S. di Pontedera che aveva messo in evidenza la illegittimità della partecipazione dell’odierno convenuto alla partita.

Nella specie il convenuto, dopo aver segnato un gol si era diretto verso la Tribuna occupata dai tifosi locali avversari simulando con le mani una mitraglietta che spara. A seguito di tale gesto vi era stata la contestazione di una parte della tifoseria a conoscenza dell’appartenenza del X.  alle forze dell’ordine. E solo in seguito all’intervento del personale del Commissariato della Polizia di Stato di Pontedera il “bomber” riusciva a lasciare lo stadio incolume a bordo dell’autovettura privata.

Accanto alla menzionata situazione fattuale, come esposto in sede di narrativa di fatto, sussistono certificazioni mediche di idoneità all’attività sportiva agonistica – nel numero di cinque afferenti al periodo 13 luglio 2006 – 20 luglio 2011 – attestanti lo stato di salute idoneo non solo per un’ attività ordinaria – e quindi per un’attività di servizio -, ma addirittura per un’attività sportiva agonistica.

Alla palese illiceità del comportamento, il convenuto deduce che la sussistenza delle patologie era stata confermata dalle visite fiscali (ad eccezione di due sole volte) con convalida di diagnosi e prognosi, sicché l’atto pubblico era contestabile solo mediante querela di falso.

La deduzione è infondata.

La giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione, che questo Collegio ritiene di condividere, ha statuito che le attestazioni sono riferibili ad una certificazione amministrativa solo per quanto attiene alle attività espletate nel corso di una terapia o di un intervento, mentre le valutazioni, le diagnosi o comunque le manifestazioni di scienza o di opinione in essa contenute non hanno alcun valore probatorio privilegiato rispetto ad altri elementi di prova: in termini C. Cass. , III, 12 maggio 2003 n. 2701.

Dal contesto documentale e testimoniale appare evidente l’espletamento (truffaldino) di attività sportive incompatibili con le patologie che il convenuto asseriva di soffrire, con danno erariale nei confronti del Ministero dell’Interno.

Sussistono, pertanto, e non vi è necessità alcuna degli ulteriori atti istruttori richiesti dalla difesa, tutti gli elementi configuranti la responsabilità amministrativa: la condotta connotata dall’elemento doloso, il nesso causale tra condotta ed evento ed il danno erariale nella sua duplice voce di danno diretto e di danno all’ immagine.

Sicché il sig. X.  X. , mentre riteneva di non essere idoneo al servizio, nello stesso periodo (con la “copertura” di certificati medici) svolgeva attività ludica e sportiva addirittura in modo agonistico.

In tal senso il giudice di legittimità ha statuito che “l’espletamento di altra attività lavorativa ed extralavorativa da parte del lavoratore durante lo stato di malattia è idonea a violare i doveri contrattuali di correttezza e buona fede nell’adempimento dell’obbligazione, posto che il fatto……. e di prestare una seconda attività lavorativa sono di per sé indici di una scarsa attenzione del lavoratore alla propria salute ed ai relativi doveri di cura e non Y. rdata guarigione, oltreché dimostrativi del fatto che lo stato di malattia non è assoluto e non impedisce comunque l’espletamento di un’attività ludica o lavorativa”: nei suddetti termini Cass. Civ. Sez. IV, 21 aprile 2009 n. 9474.

Le retribuzioni relative ai periodi di assenza dal servizio sono state, quindi, corrisposte dall’Amministrazione dell’Interno, seppure il dipendente prestasse attività sportiva in modo sistematico con il pagamento di rimborso spese ed indennità.

Gli orientamenti giurisprudenziali di questa Corte sono consolidati nel ritenere che, in materia di percezione di somme non dovute, il danno erariale è ravvisabile nell’ammontare degli emolumenti indebitamente riscossi a titolo di corrispettivo per prestazioni di servizio non rese, per effetto di assenza arbitrarie dal servizio (cfr. Sezione giurisdizionale Emilia Romagna  26 luglio 2007 n. 581 ).

E’ dunque evidente la responsabilità per violazione degli obblighi di sevizio da parte dell’odierno convenuto che con dolo ha deliberatamente dichiarato uno stato di malattia per assentarsi dal servizio: cfr. Sezione giurisdizionale Regione Lazio 6 luglio 2011 n. 998.

Va, pertanto, condannato per l’intero danno diretto il sig. X.  X. .

Parimenti sussiste il danno all’immagine.

La Corte Costituzionale ha emesso la sentenza n. 355 (1 dicembre 2010- 15 dicembre 2010) con cui riteneva costituzionale la delimitazione, sul piano oggettivo, degli ambiti di rilevanza del giudizio di responsabilità amministrativa, limitando la risarcibilità del danno per lesione dell’immagine dell’Amministrazione soltanto in presenza di un fatto che integri gli estremi di delitti contro la Pubblica Amministrazione (cap.I, titolo II libro secondo del codice penale), dovendosi ritenere preclusa ogni ulteriore tutela per il danno all’immagine derivante da reati diversi da quelli commessi contro la Pubblica Amministrazione e, a maggior ragione, per il danno all’immagine derivante da fatto illecito non reato.

Successivamente alla decisione della Corte Costituzionale, questa Sezione (sent. n. 90 in data 18 marzo 2011, confermata, tra le ultime dalla sentenza n. 332/2012), orientamento che si ritiene condivisibile, ritenendo la sentenza della Consulta una sentenza di rigetto, e quindi non vincolante  al di fuori del giudizio a quo (cfr. Corte Cass. SS.UU. n. 23016 del 2004), ha statuito che l’art. 17 comma 30 ter va interpretato nel senso che non esclude la tutela del danno all’immagine della Pubblica Amministrazione derivante da reato comune.

Il giudice penale, con sentenza di patteggiamento ha acclarato il comportamento contestato all’ odierno convenuto (GUP di Massa con sentenza 124/2010) con conseguenti effetti sul giudizio contabile ai sensi dell’ art. 7 della legge n. 97 del 2001.

Occorre, pertanto, visto l’accertamento reso in sede penale, verificare se sussistano gli elementi per configurare un danno all’immagine.

Nella specie il comportamento del convenuto è incontestabilmente ed inequivocabilmente contrario ai propri doveri d’ufficio ed è idoneo a diffondere nell’opinione pubblica un senso di sfiducia dell’azione dei pubblici dipendenti, ed in particolare di chi è preposto alla tutela dell’ordine pubblico.

La risonanza della vicenda sugli organi di informazione appare evidente dagli articoli di stampa depositati in atti (cfr. all. 24 e 25 rel. NAS).

In tema di danno all’immagine la giurisprudenza contabile (cfr. 1/2011/QM e 10/QM/2003) ha statuito che l’immagine ed il prestigio della Pubblica Amministrazione sono beni – valori coessenziali all’esercizio delle pubbliche funzioni, e che il danno all’ immagine dell’ Amministrazione consiste in un pregiudizio che, pur se non integra una diminuzione patrimoniale diretta, è comunque suscettibile di valutazione patrimoniale, in quanto dal comportamento del convenuto è derivata la lesione di un bene giuridicamente rilevante: cfr. anche questa Sezione 2 agosto 2010 n. 259.

La III Sez. Centr. 9 aprile 2009 n. 143 ha affermato che, a fronte della intervenuta lesione dell’immagine pubblica, negli amministrati, o se si vuole nello Stato Comunità, si incrinano quei naturali sentimenti di affidamento e di “appartenenza” alle istituzioni che giustifica la stessa collocazione dello Stato apparato e degli altri enti, e specialmente degli enti territoriali (quali enti “esponenziali” della collettività residente nel territorio) tra “ le più rilevanti formazioni sociali nella quali si svolge la personalità dell’uomo”, ex art. 2 della Costituzione. Il recupero di tali sentimenti e, con essi, il recupero dell’immagine pubblica è essenziale per l’esistenza stessa della Pubblica Amministrazione e impongono di intervenire per ridurre, in via preventiva, ed eliminare, in via successiva, i danni conseguenti alla lesione della sua dignità e del suo prestigio danni che sono ascrivibili alla categoria del danno patrimoniale: cfr. anche Sez. I Centr. 14 luglio 2011 n. 323, Sez. II Centr. 22 novembre 2011 n. 615 e Sez. III Centr. 12 dicembre 2011 n. 850.

La quantificazione del danno prospettata dalla Procura contabile, con valutazione equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c. e pari a € 15.000,00, può ritenersi fondata, visto il clamore destato dalla vicenda e la successiva ampia eco giornalistica .

Il sig. X.  X.  va, pertanto, condannato all’intero anche per la posta del danno all’immagine.

Va condannata, in via sussidiaria, nei limiti del 35%  della somma addebitata al X. , anche la dott.ssa Y.  Y.  Y.  Y.  Y. , che con la propria condotta gravemente colposa ha agevolato la commissione dell’illecito doloso.

Non può non rimarcarsi, nella specie, che i numerosi (nel numero di 39) certificati medici confezionati dalla stessa a favore del sig. X.  X. , fondati spesso sulle mere dichiarazioni dello stesso, evidenzino una grave negligenza nello svolgimento dell’attività medica, che ha consentito all’odierno convenuto a titolo principale di assentarsi (formalmente in maniera ineccepibile) dal servizio con danno per l’Erario, non abbinando la certificazione della patologia ad esami strumentali avvaloranti sul piano oggettivo sintomi dichiarati dal X.  e fondati su meri dati soggettivi.

Conseguenza logica del discorso è la domanda attorea va in parte accolta e va: a) condannato il sig. X.  X.  alla somma di € 17.549,85 per gli emolumenti stipendiali indebitamente percepiti e di € 15.000,00 per danno all’immagine; b) condannata la dott.ssa Y.  Y.  Y.  Y.  Y.  in via sussidiaria nei limiti del 35% di quanto complessivamente addebitato al X.  e, quindi, nei limiti della somma di € 11.392.44.

Trattandosi di obbligazione risarcitoria e quindi di debito di valore, la rivalutazione monetaria e gli interessi vanno calcolati secondo i criteri che seguono:

       a) la rivalutazione va calcolata secondo l’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (FOI), a decorrere dagli emolumenti non dovuti e, per quanto riguarda il danno all’immagine, dalla data del clamor fori ed in specie dalla data dell’ultimo articolo di giornale (3 dicembre 2009 cfr. all. 25 Rel. NAS) e fino alla pubblicazione della presente sentenza sia per gli emolumenti non dovuti sia per il danno all’immagine;

       b) gli interessi legali vanno calcolati dalle stesse date sino al soddisfo sulla somma originaria valutata anno dopo anno, cioè con riferimento ai singoli momenti con riguardo ai quali la predetta somma si incrementa nominalmente in base agli indici di rivalutazione monetaria (Cass., sez. II, 18028/2010, sez. III, 5671/2010, sez. I^, 4587/2009 e SS.UU. 1712/2005).

Le spese seguono la soccombenza.