Una struttura sanitaria assistenziale ha convenuto in giudizio il marito e le figlie di una donna ricoverata al fine di ottenere il pagamento del residuo della retta giornaliera, sostenendo di aver ricevuto somme minori rispetto a quelle dovute, in particolare da una delle figlie, che aveva sottoscritto una “domanda di ammissione e dichiarazione di impegno al pagamento della retta di mantenimento”. I congiunti della paziente, a loro volta, hanno chiesto la restituzione degli importi pagati in misura maggiore, in quanto calcolati erroneamente dal Comune in funzione dei rispettivi redditi.

Tribunale di Firenze – Sez. II; Sent. del 18.09.2012

FATTO E DIRITTO

Premesso in fatto che:

con atto di citazione ritualmente notificato l’Azienda Pubblica di Servizi alla Persona Mo. (in seguito: APM) ha. convenuto in giudizio, dinanzi a questo Tribunale, i sig.ri N. A., A. A. e R. A., chiedendole la condanna al pagamento di euro 17.292,69, oltre accessori, quale residuo, a loro carico, della retta giornaliera di lire 91.000, dovuta dalla sig.ra D. F. (rispettivamente moglie di N. A. e madre delle altre convenute), per il ricovero presso la RSA M., dall’aprile del 2001 al giorno del decesso (maggio 2004) e, a sostegno della domanda, ha dedotto che, durante la degenza nella residenza assistita, da parte della sig.ra F., erano state corrisposte minori somme rispetto a quelle dovute e che, pertanto, i convenuti era tenuti al pagamento del residuo in qualità di eredi della loro congiunta, mentre la sig.ra A. A. vi era tenuta anche in proprio, avendone assunta specifica obbligazione nell’atto scritto di richiesta di ricovero della madre;

in comparsa di risposta i convenuti hanno contestato la domanda, chiedendone la reiezione e, in via riconvenzionale, hanno chiesto la condanna dell’attrice al rimborso delle somme da loro pagare in più rispetto al dovuto, tenuto conto che il Comune di Firenze aveva erroneamente stabilito la misura a loro carico della quota sociale della retta di soggiorno presso residenza assistita;

durante il processo le convenute si sono costituite anche nella qualità di eredi dei padre N. A., deceduto in corso di giudizio;

La causa, istruita, sulle produzioni documentali delle parti, a mezzo di una CTU, è stata trattenuta in decisione all’udienza del 28.03.2012, sulle conclusioni delle parti sopra trascritte;

osserva il Tribunale che la domanda è infondata e va rigettata.

La pretesa creditoria dell’APM trova la propria fonte nella scrittura denominata “domanda di ammissione e dichiarazione di impegno al pagamento della retta di mantenimento”, datata 5.01.2000, sottoscritta dalla sig.ra A. A., figlia della sig.ra D. F., nella quale la dichiarante chiede l’ammissione della propria congiunta nella RSA e, tra l’altro, si impegna a versare, con cadenza mensile, la retta giornaliera di lire 91.000, sia in proprio sia in nome e per conto della madre.

A giudizio del Tribunale detta clausola negoziale sull’onere di pagamento del prezzo è nulla, ai sensi degli artt. 1418, 1419 CC, perché contraria a norme imperative.

Premesso che il diritto alla saluta ed all’assistenza sanitaria ricevono avallo costituzione (art. 32 Cost.), in base all’attuale quadro normativo, gli enti titolari dell’assistenza sociale e sanitaria sono i Comuni che, coi propri regolamenti, disciplinano i criteri di erogazione dei servizi, le modalità di accesso e le forme di compartecipazione ai costi delle prestazioni da parte dei beneficiari e dei loro famigliari.

Nel caso di assistenza sanitaria è previsto il ricovero in strutture convenzionate con il SSN e la legge stabilisce che la retta di ricovero sia per il 50% a carico dell’ASL (“quota sanitaria “) e per il 50% a carico del Comune (“quota sociale”), con compartecipazione da parte dei ricoverati e dei loro famigliari in base ai rispettivi redditi, nel senso che più alto è il reddito dei privati, maggiore è la loro compartecipazione e viceversa.

Le convezioni tra le RSA ed i privati che, come nel caso di specie, ponendo dirittamente a carico dell’utenza l’onere di pagamento della quota sociale della retta di ricovero, possono rappresentare un concreto e persino insormontabile ostacolo alla fruizione del servizio di assistenza sanitaria , soprattutto nei casi di soggetti con minore capacità reddituale, costituiscono un’evidente violazione del complesso di norme di legge volte ad assicurare le prestazioni socio- sanitarie che l’ente pubblico è obbligato a garantire.

Accertata la nullità, per contrarietà a norme imperative, della clausola prezzo del ed contratto di spedalità, rimane priva di significativa valenza, sul piano del diritto, l’individuazione della natura giuridica (obbligazione principale, obbligazione di garanzia etc.) dell’impegno al pagamento della retta assunto in proprio dalla sig.ra A. A..

E’ invece fondata la domanda riconvenzionale delle convenute che hanno chiesto la condanna dell’attrice alla restituzione di quanto da loro corrisposto in esubero rispetto alla legittima misura di compartecipazione del privato alla “quota sociale” della retta a carico dell’ente pubblico.

In base all’art. 3 comma 2 ter D.L.vo n. 109/1998, introdotto dal D.L.vo n. 130/2000, in materia di criteri unificati di valutazione della situazione economica dei soggetti che richiedono prestazioni sociali agevolate: “Limitatamente alle prestazioni sociali agevolate assicurate nell’ambito di percorsi assistenziali integrati di natura socio- sanitaria , erogate… a soggetti ultrasessantacinquenni la cui non autosufficienza fisica o psichica sia stata accertata dalle aziende unità sanitarie locali, le disposizioni del presente decreto si applicano nei limiti stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri… Il suddetto decreto è adottato… al fine di evidenziare la situazione economica del solo assistito, anche in relazione alle modalità di contribuzione al costo della prestazione…”.

Questa norma, immediatamente precettiva e cioè che non richiede l’adozione di disposizioni di dettaglio (il DPCM dalla stessa richiamato), stabilisce che, nel caso di ultrasessantacinquenni non autosufficienti (tale era la condizione della sig.ra F., affetta dal morbo di Alzheimer), la quota di compartecipazione (col Comune) del privato al costo della prestazione (la retta della RSA) è determinata tenendo conto della sola situazione economica dell’avente diritto alla prestazione e non anche del reddito dei suoi famigliari.

La CTU, con adeguato e condivisibile apparato argomentativo, ha accertato che, prendendo in considerazione i soli redditi annui della persona assistita, ammontanti a euro 6.941,18, la porzione dell’intera quota sociale (di euro 47,00 al giorno), a carico di questa era pari a circa euro 13,00, mentre quella a carico del Comune di Firenze era di circa euro 34,00 (v. la CTU depositata il 30.12.2009).

Le convenute hanno dichiarato, senza che tale asserzione venisse contraddetta, ex adverso, di avere effettuato, dall’aprile 2001 al maggio 2004, pagamenti maggiori rispetto al dovuto – computato, tale ultimo importo, sulla base del contributo giornaliero di euro 13,00 – in relazione alla parte di retta giornaliera a loro carico, sull’erroneo presupposto, avvalorato dai calcoli dell’amministrazione comunale, che la compartecipazione al pagamento della retta del ricovero della madre dovesse prendere in considerazione anche 1 redditi del nucleo famigliare dell’assistita.

Detti pagamenti costituiscono un indebito che le richiedenti hanno diritto di ripetere.

Ne consegue che, in accoglimento della domanda, l’attrice deve essere condannata a restituire alle convenute gii importi versati in più rispetto al dovuto, durante l’intero ricovero della sig.ra F..

Le spese processuali, infra liquidate in base al DM Giustizia n. 140/2012, seguono la soccombenza; le spese di CTU, liquidate in corso di causa in euro 1.266,00, oltre IVA e GAP (v. il decreto di liquidazione del 6.02.2010), vanno poste definitivamente a carico dell’attrice soccombente.

PQM

II Tribunale di Firenze, definitivamente pronunciando, rigetta la domanda dell’attrice e, in accoglimento della riconvenzionale, condanna l’attrice a pagare alle convenute le somme versate in eccesso in relazione al ricovero della sig.ra F.; condanna altresì l’attrice a pagare alle convenute le spese processuali che liquida in euro 3.150,00 a titolo di compenso (fase di studio: euro 550,00; fase introduttiva: euro 300,00; fase istruttoria: euro 550,00; fase decisoria: euro 700,00; importi aumentati del 50%), oltre IVA e CPA come per legge; pone le spese di CTU a carico dell’attrice.

Firenze, 18 settembre 2012

Il Giudice dott. Riccardo Guida