La Corte d’appello di Venezia, in parziale riforma di una sentenza del Tribunale di Vicenza impugnata dall’imputato accusato di truffa e falso ai danni della pubblica amministrazione perché in qualità di pubblico impiegato, mediante artifici e raggiri consistiti nel rappresentare falsamente di essere malato, non prestava la propria attività lavorativa pur facendosi corrispondere la retribuzione – ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’imputato con riguardo a talune fattispecie di truffa e di falso ormai prescritte, confermando per il resto la penale responsabilità per altri e più recenti episodi e conseguentemente rideterminando la pena.

Cassazione Penale – Sez. II; Sent. n. 48145 del 03.12.2013

Ritenuto in fatto

Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Vicenza in data 22 giugno 2011, impugnata da R.R. – accusato di truffa e falso ai danni della p.a. perché in qualità di pubblico impiegato, mediante artifici e raggiri consistiti nel rappresentare falsamente di essere malato, non prestava la propria attività lavorativa pur facendosi corrispondere la retribuzione – ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’imputato con riguardo a talune fattispecie di truffa e di falso ormai prescritte, confermando per il resto la penale responsabilità per altri e più recenti episodi e conseguentemente rideterminando la pena.

Ricorre assistito da difensore l’imputato presentando i seguenti motivi: violazione di legge e vizio di motivazione in primo luogo con riguardo alla modalità di assunzione della testimonianza del medico di base dell’imputato, il dottor P. , essendo la stessa avvenuta in violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa avendo l’imputato chiesto ma non ottenuto che fosse seguito un diverso ordine di esame del teste nella presentazione allo stesso dei certificati medici asseritamente falsi affinché quest’ultimo ne riconoscesse o meno la paternità; per avere la Corte di appello ritenuto corretta la decisione del Tribunale di non dar seguito alla pretesa della difesa di far confluire nel fascicolo del dibattimento le dichiarazioni rese durante le indagini dal medico malgrado il dissenso del pubblico ministero di udienza; per avere la Corte di appello ritenuto la penale responsabilità dell’imputato nonostante l’effettivo stato di malattia del medesimo e nonostante la sussistenza di un contraddittorio quadro probatorio, caratterizzato dal contrasto tra la deposizione del citato teste – non correttamente giudicato in ordine alla credibilità delle proprie dichiarazioni – e la perizia di parte prodotta dalla difesa, e inoltre caratterizzato dalla immotivata svalutazione delle deposizioni dei testi a difesa; per non avere la Corte di appello disposto la rinnovazione della istruttoria dibattimentale; infine per avere la Corte territoriale escluso la sussistenza dell’attenuante del danno lieve benché nel caso di specie il danno non poteva essere superiore ad Euro 245,00.

Considerato in diritto

Il ricorso è manifestamente infondato.

Manifestamente infondati sono i motivi relativi alla violazione del diritto di difesa già in prospettazione, avendo chiarito la Corte di appello, a pagina 5 della sentenza impugnata, come sia il pubblico ministero che il difensore dell’imputato hanno potuto esaminare il teste P. e come non fosse assolutamente rilevante l’ordine di esame dei singoli certificati medici al fine di assicurare la possibilità di contraddire tra accusa e difesa con riguardo a ciascun singolo certificato: in effetti a tali generiche contestazioni nel ricorso nemmeno si accompagna la indicazione delle eventuali norme di legge nel caso asseritamente violate. Lo stesso deve dirsi circa la riproposizione della doglianza con riguardo alla mancata acquisizione delle dichiarazioni rese dal P. in sede di indagini preliminari, avendo chiarito la Corte di appello come la decisione sul punto non spettasse al giudice risolvendosi in una scelta processuale del pubblico ministero.

Lo stesso deve concludersi per gli ulteriori rilievi in ordine alla valutazione delle prove, avendo la Corte di appello con giudizio corretto in punto di diritto e logicamente condotto concluso sulla penale responsabilità dell’imputato in ragione della perizia di ufficio che ha accertato la falsità delle firme apposte sui certificati medici nella quasi totalità dei casi; e inoltre in ragione della deposizione del medico, il quale ha disconosciuto gran parte delle firme apposte sui diversi certificati presentati; in ragione ancora del rilievo che lo stato di cronicità della malattia che affligge l’imputato, emersa agli atti, non è di tale gravità da giustificare di per sé l’assenza dal lavoro e dunque è irrilevante ai fini del processo; tutto ciò diffusamente argomentando nelle pagine da 4 a 7 della sentenza impugnata, con motivazione non presa in considerazione nel ricorso che quindi denuncia un evidente difetto di correlazione sul punto.

Manifestamente infondata è infine la doglianza relativa al carattere lieve del danno subito dalla p.a., avendo la Corte di appello correttamente argomentato l’insussistenza dei presupposti di fattispecie considerato l’ammontare del danno concretamente subito dall’amministrazione, pari ad oltre Euro 200,00 in ragione dell’indirizzo di legittimità per cui la circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 4 cod. pen. ricorre solo quando il danno patrimoniale subito dalla parte offesa come conseguenza diretta e immediata del reato sia di valore economico pressoché irrilevante (Cass. sez. 2, 20.12.2012, n. 15576).

Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1000.

P.Q.M.

“Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle ammende.