l’onere della prova che l’opera del medico, se correttamente e prontamente prestata, avrebbe avuto serie ed apprezzabili possibilità di evitare il danno, grava sul danneggiato.

una volta accertati gli inadempimenti del medico ed accertato che l’evento verificatosi rientra fra i probabili effetti di quegli inadempimenti, il nesso causale fra la condotta omissiva e l’evento dannoso deve ritenersi esistente in tutti i casi in cui possa affermarsi, in base alle circostanze del caso concreto, che la condotta alternativa corretta avrebbe impedito il verificarsi dell’evento sulla base di un ragionevole criterio probabilistico. Il cd. “standard” di “certezza probabilistica deve applicarsi anche quando vi sia un problema di scelta di una delle ipotesi, tra loro incompatibili o contraddittorie, sul fatto, con la conseguenza di dover porre a base della decisione civile la soluzione derivante dal criterio di probabilità prevalente, sulla base degli elementi di prova complessivamente disponibili.

[Avv. Ennio Grassini – www.dirittosanitario.net]

Cassazione civile – Sez. III;Sent. n. 7354 del 13.04.2015

omissis

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 7 settembre 1992 G. G., in proprio e quale esercente la potestà parentale sui figli minori, I.G. e S., ha convenuto davanti al Tribunale di Siracusa la USL n. X. di Noto e il dott. D. C., chiedendone la condanna in via solidale al risarcimento dei danni per la morte del marito, I.G., deceduto nella notte dell’X. per collasso cardiocircolatorio, poche ore dopo che il dott. D. medico di guardia al Pronto soccorso dell’Ospedale di Noto – lo aveva visitato a seguito di un malore e dimesso con diagnosi tranquillizzante.

I convenuti hanno resistito alla domanda.

La USL ha chiesto ed ottenuto di chiamare in causa la s.p.a. RAS e le società coassicuratrici indicate in polizza (Unipol, Assicurazioni Generali, Assitalia, SAI, Reale Mutua Assicurazioni, Danubio, Liguria, Soc. Cattolica di assicurazioni).

Il dott. D. ha chiamato a sua volta in garanzia la s.p.a.

Zurigo Assicurazioni.

Si sono costituite, resistendo alle domande, le s.p.a. Zurigo, RAS, Unipol, Generali, Danubio e Liguria e la coop. ar.l. Cattolica.

Nel corso del giudizio è stata disposta ed esperita CTU e, sopraggiunta l’estinzione della USL n. X. , con ordinanza resa all’udienza del 24 gennaio 1996 il giudice ha disposto la chiamata in causa della AUSL n. X. di Siracusa, ad essa subentrata.

Questa si è costituita, resistendo anch’essa alle domande attrici.

Con sentenza n. 359/1998 il Tribunale ha condannato il dott. D. e la AUSL n. X. , in via fra loro solidale, a pagare agli attori in risarcimento dei danni la somma complessiva di L. 772.000.000, oltre interessi legali, e ha condannato le compagnie assicuratrici a rivalere i rispettivi assicurati.

Il Tribunale si è attenuto alle conclusioni del CTU nominato in primo grado, il quale ha attribuito la causa della morte ad arresto circolatorio da fibrillazione ventricolare, presumibilmente provocata da infarto acuto del miocardio, pur non potendosi escludere altre cause. Ha ritenuto imprudente il comportamento del medico, per non avere disposto il ricovero del paziente in osservazione, dopo la prima visita, ritenendo che l’adozione di tempestivi provvedimenti terapeutici al primo insorgere del malessere avrebbero potuto evitare il decesso.

Con atto notificato il 27 ottobre 1999 il dott. D. ha proposto appello, a cui hanno resistito gli appellati, ad eccezione della Ausl n. X. , rimasta contumace.

La s.p.a. Zurigo Assicurazioni ha proposto appello incidentale adesivo all’appello principale G.G. e gli altri eredi I. hanno anch’essi proposto appello incidentale, di cui è stata disposta la notifica alla Ausl, contumace, ed hanno successivamente rinunciato all’impugnazione.

La Ausl si è costituita, proponendo appello incidentale, con atto 30 marzo 2001, successivo all’udienza di precisazione delle conclusioni, ma anteriore all’udienza collegiale, ed ha eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva, sul rilievo che non essa, ma la Regione Sicilia, è subentrata nei debiti della USL di Noto, tramite l’apposita gestione liquidatoria.

Nel corso del giudizio si sono costituiti in proprio I. G. e S., divenuti maggiorenni.

Tutti i danneggiati hanno eccepito l’inammissibilità dell’appello incidentale della Ausl, perchè tardivo, ed il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado.

Con ordinanza collegiale 5 ottobre 2001 la Corte di appello di Catania ha rimesso la causa in istruttoria per dare corso ad una nuova CTU, affidata a due periti, per la valutazione del comportamento del medico e per l’accertamento delle cause della morte. Alla relazione di CTU hanno fatto seguito supplementi di perizia.

Con sentenza 23 febbraio – 25 settembre 2007 n. 928, notificata il 20 febbraio 2008, la Corte di appello di Catania, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato il difetto di legittimazione passiva della Ausl.

Ha respinto tutte le domande proposte dagli eredi I. contro la ASL e contro il medico, nonchè le domande di rivalsa proposte da questi ultimi nei confronti delle compagnie assicuratrici, ritenendo che le relazioni peritali depositate in appello portino ad escludere il nesso causale fra il comportamento del dott. D. e la morte del paziente.

G.G., I.G. e S. propongono tre motivi di ricorso per cassazione.

Resistono con separati controricorsi il dott. D., la AUSL n. X. di Siracusa, le Assicurazioni Generali e la Zurigo Assicurazioni.

Hanno depositato memoria i G., la Ausl, la Zurich e il dott. D..

All’udienza di discussione del 20 maggio 2014, con ordinanza depositata il 16 luglio 2014 la causa è stata rinviata a nuovo ruolo per mancanza di prova dell’avvenuta notifica dell’avviso di udienza al difensore della s.p.a. Generali Assicurazioni. Fissata nuova udienza di discussione, la Zurich ha depositato una seconda memoria.

Motivi della decisione

1.- Deve essere preliminarmente esaminata l’eccezione di inesistenza della notificazione del ricorso al dott. D., sollevata da quest’ultimo per il fatto che l’atto non gli è stato notificato presso gli avv.ti Fausto D’Agata e Pasqualino Racioppo, dai quali era rappresentato e difeso nel giudizio di appello, bensì presso l’avv. Giuseppe Nastasi, con studio in Catania, via Papale n. 56, indicato nella procura alle liti quale mero domiciliatario per il medesimo giudizio.

1.1.- L’eccezione è manifestamente infondata.

A norma dell’art. 330 c.p.c., comma 1, la notificazione dell’impugnazione può essere effettuata sia presso il procuratore costituito, sia nella residenza dichiarata, sia nel domicilio eletto dalla parte per il giudizio.

In ogni caso, anche ammesso che la notifica fosse irregolare, il ricorso sarebbe ammissibile poichè il destinatario della notificazione ha ritualmente presentato le sue difese, rispondendo con controricorso all’avversaria impugnazione, così dimostrando che l’atto ha raggiunto lo scopo a cui era diretto (cfr. da ultimo Cass. civ. Sez. 3, 29 maggio 2013 n. 13451, con riferimento ad un caso in cui la notificazione era effettivamente irregolare, perchè effettuata presso il domicilio eletto dall’intimato per il giudizio di primo grado, anzichè presso il domiciliatario nominato per il giudizio di appello).

2.- Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione dell’art. 2908 cod. civ. e artt. 325, 327, 334, 331 e 332 cod. proc. civ., in relazione agli artt. 102 ss. e 343 cod. proc. civ., omessa pronuncia e motivazione insufficiente e contraddittoria, nel capo in cui la sentenza impugnata ha respinto l’eccezione di inammissibilità dell’appello incidentale tardivo proposto dalla ASL n. X. di Siracusa. Assumono che l’impugnazione – essendosi limitata a prestare adesione al ricorso principale – non è stata motivata da quest’ultimo, bensì da altre ragioni, immediatamente desumibili dalla sentenza impugnata; che pertanto essa avrebbe dovuto essere proposta nei termini stabiliti per l’appello principale.

Soggiungono che l’obbligazione della ASL è autonoma e indipendente rispetto a quella del medico, trattandosi di responsabilità solidale, e che pertanto la mancata impugnazione dell’uno dei due creditori non può essere sopperita dall’impugnazione tempestiva dell’altro, non essendovi litisconsorzio necessario fra i due: che quindi la sentenza è passata in giudicato nei confronti dell’appellante incidentale tardiva.

Rilevano infine che il dott. D. e la Ausl sono bensì chiamati a rispondere entrambi a titolo contrattuale, ma che la loro responsabilità si fonda su diverse ragioni giuridiche, cioè sugli obblighi di comportamento derivanti da “contatto sociale”, quanto al medico; sul contratto di spedalità stipulato con il paziente, quanto alla AUSL. Donde ulteriore ragione di autonomia fra le rispettive posizioni.

3.- Il motivo è privo di fondamento sotto ogni profilo.

3.1.- Va premesso che nella specie la AUSL, rimasta contumace nel giudizio di appello, si è tardivamente costituita, proponendo appello incidentale, dopo l’udienza di precisazione delle conclusioni ed in sede di rimessione della causa al Collegio; sicchè l’appello sarebbe in linea di principio inammissibile ai sensi dell’art. 293 cod. civ., norma applicabile anche in appello (Cass. civ. 7 febbraio 2001 n. 1720).

La preclusione di cui sopra tuttavia non opera quando – dopo l’assegnazione a sentenza – il Collegio rimetta la causa in istruttoria (Cass. civ. Sez. 3, 27 luglio 2002 n. 11136; Idem, 11 dicembre 2012 n. 22618), com’ è avvenuto nel caso in esame, a seguito dell’ammissione di nuova CTU. 3.2.- Il ricorso incidentale è poi ammissibile, anche se tardivo e meramente adesivo all’appello principale. I ricorrenti richiamano il principio giurisprudenziale per cui l’appellato che, costituendosi, chieda l’accoglimento del gravame per le medesime ragioni fatte valere dell’appellante, formula una impugnazione distinta ed autonoma, per soggetti e per titolo, rispetto a quella proposta in via principale, mostrando che il suo interesse a proporla sorge non dall’impugnazione principale, ma dalla stessa sentenza impugnata; che quindi l’atto di appello avrebbe dovuto essere notificato nel termine stabilito per le impugnazioni principali, restando inapplicabile l’art. 334 cod. proc. civ. (Cass. civ. S.U. 9 agosto 1996 n. 7339, a cui hanno fatto seguito Cass. civ. 25 gennaio 2008 n. 1610; Cass. civ. 7 settembre 2009 n. 19286, ed altre).

Tale orientamento – pur se sporadicamente confermato anche di recente (cfr. Cass. civ. Sez. 3, 21 gennaio 2014 n. 1120) – è stato disatteso dalla più recente giurisprudenza di questa Corte a Sezioni unite, la quale ha disposto che l’impugnazione incidentale tardiva è da ritenere sempre ammissibile, a tutela della reale utilità della parte, qualora l’impugnazione principale metta in discussione l’assetto di interessi derivante dalla sentenza alla quale l’impugnante incidentale aveva originariamente prestato acquiescenza;

che essa è conseguentemente ammissibile, sia quando rivesta la forma della controimpugnazione rivolta contro il ricorrente principale, sia quando rivesta le forme della impugnazione adesiva a quella presentata da quest’ultimo, pur se sia fondata sugli stessi motivi e pur se si tratti di cause scindibili, ogniqualvolta si possa affermare che l’interesse ad impugnare è sorto dall’impugnazione principale, nel senso che tale impugnazione, se accolta, comporterebbe una sostanziale modifica dell’assetto delle situazioni giuridiche originariamente accettate dal coobbligato solidale (Cass. civ. Sez. U. 27 novembre 2007 n. 24627; Cass. civ. S.U. 4 agosto 2010 n. 18049; Cass. civ. Sez. 3, 30 aprile 2009 n. 10125; Cass. civ. Sez. Lav. 29 marzo 2012 n. 5086).

Dalla casistica giurisprudenziale si desume che la suddetta, rilevante modifica dell’assetto di interessi derivante dalla sentenza ed inizialmente accettato è stata ravvisata nei casi in cui l’impugnante incidentale tardivo sia un coobbligato solidale dell’impugnante principale ed intenda usufruire degli effetti che deriverebbero anche in suo favore dall’eventuale riforma della sentenza impugnata (Cass. S.U. n. 24627/2007, cit.).

L’impugnazione incidentale adesiva e tardiva è stata invece ritenuta inammissibile perchè priva di reale utilità per la parte, in un caso in cui il gravame principale era stato proposto dalla compagnia assicuratrice di altro coobbligato, al fine di escludere l’operatività della garanzia prestata in favore di quest’ultimo, mentre l’impugnazione incidentale era diretta contro il capo contenente la condanna dei condebitori solidali (Cass. civ. S.U. 7 agosto 2013 n. 18752). Ne consegue che il principio oggi ritenuto applicabile dalle Sezioni Unite, e che questa Corte condivide, è nel senso che l’impugnazione incidentale tardiva è da ritenere ammissibile, pur se meramente adesiva all’impugnazione principale, qualora rivesta concretamente utilità per l’impugnante, riguardando un capo della sentenza la cui riforma verrebbe a coinvolgere anche la posizione di quest’ultimo, come deve dirsi del caso in esame.

3.3.- Va poi condivisa la decisione della Corte di appello nella parte in cui ha ritenuto che nella specie l’appello tardivo sarebbe comunque ammissibile, trattandosi di cause inscindibili, in virtù del rapporto di dipendenza fra il comportamento del medico e la responsabilità della ASL, essendo stati entrambi i soggetti convenuti nel medesimo processo.

Vero è che il medico e la Usi di Noto rispondono sulla base di titoli diversi: l’uno in forza del contatto sociale e l’altra in virtù del rapporto di spedalità (cfr. diffusamente, Cass. civ. Sez. 3, 13 aprile 2007 n. 8826; Idem, 14 giugno 2007 n. 13953 ed altre).

Ma il criterio decisivo non. attiene tanto a questo aspetto, quanto alla coincidenza degli accertamenti in fatto sottostanti alle rispettive responsabilità, per il fatto che la ASL è qui chiamata a rispondere non per fatto proprio, bensì solo per le inadempienze del medico di cui si è avvalsa. Non si tratta, cioè, di una mera obbligazione solidale orizzontale (o semplice), ma di un obbligazione in cui la solidarietà ha struttura verticale; nel senso che uno dei convenuti in giudizio è chiamato a rispondere del comportamento altrui, e che il fatto determinante la responsabilità dell’uno è quello posto in essere dal comportamento dall’altro.

In questi casi viene a crearsi fra i condebitori solidali convenuti nello stesso processo un rapporto di pregiudizialità-dipendenza tra le rispettive posizioni, tale da determinare l’inscindibilità della causa ed un caso di litisconsorzio necessario processuale (Cass. civ. Sez. 3, 18 gennaio 2012 n. 676 e 8 febbraio 2012 n. 1771).

4.- Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano violazione degli artt. 331, 334, 325 e 327 cod. proc. civ., motivazione insufficiente e contraddittoria, nel capo in cui la Corte di appello li ha ritenuti non legittimati ad eccepire l’inammissibilità dell’appello incidentale proposto dalla s.p.a. Zurigo, assicuratrice del dott. D..

4.1.- Il motivo non è fondato.

Va condivisa la motivazione della sentenza impugnata per cui la compagnia di assicurazioni è stata chiamata in giudizio dal dott. D., con essa assicurato, tramite azione di garanzia cd.

impropria, che concerne esclusivamente i rapporti fra l’assicurato e l’assicuratore, cioè rapporti nei quali il danneggiato non ha titolo per interferire.

I ricorrenti assumono che il titolo deriva loro dal fatto che la sentenza di primo grado aveva condannato anche la Zurigo a rifondere ad essi attori le spese processuali, in solido con i convenuti. Ma ciò configura in loro favore un interesse di mero fatto, per avere il giudice di primo grado erroneamente omesso di tenere distinto il rapporto di garanzia intercorrente esclusivamente fra il dott. D. ed il suo assicuratore – dal rapporto azionato dagli attori nei confronti del medico.

Solo il medico poteva essere direttamente condannato al risarcimento dei danni ed al rimborso delle spese in favore dei danneggiati: fermo restando il suo diritto di rivalersi nei confronti dell’assicuratore.

5.- Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano violazione degli artt. 1176, 1218, 1223, 2236 e 2697 cod. civ., in relazione agli artt. 41 e 42 cod. pen., nonchè motivazione insufficiente e contraddittoria ed omissione di pronuncia, nel capo in cui la Corte di appello ha escluso ogni responsabilità a carico del dott. D..

Premettono che il loro congiunto è stato una prima volta ricoverato al Pronto Soccorso dell’Ospedale di Noto alle ore 3,30 della notte dell’8 giugno 1992, poichè accusava forti dolori al petto, ed ha reso nota in quella sede la sua qualità di cardiopatico, in quanto aveva sofferto nel 1981 di insufficienza coronarica acuta; che il dott. D., medico di guardia, dopo qualche controllo ed un elettrocardiogramma – esame spesso insufficiente a rivelare alcunchè – lo ha dimesso con diagnosi di “algia retrosternale in cardiopatico:

aerogastrica con aerofagite”, quasi che avesse avuto un mero mal di stomaco, mentre è prassi comune trattenere in osservazione per un certo tempo il paziente che denunci di essere cardiopatico, ed assoggettarlo ad esame del sangue per accertare il dosaggio degli enzimi cardiaci, prima di dimetterlo con diagnosi tranquillizzante;

chelo I., a distanza di un’ora, si è nuovamente sentito male ed è stato riaccompagnato al Pronto Soccorso, ove gli è stata diagnosticata insufficienza cardiorespiratoria acuta e shock cardiogeno. Dimesso su richiesta dei familiari e trasportato a casa, è deceduto poco tempo dopo, con diagnosi di “cardiosclerosi, infarto del miocardio, collasso cardiocircolatorio”.

Rilevano che la Corte di appello ha ritenuto errata la predetta diagnosi ed ha escluso la responsabilità del medico, ritenendo maggiormente attendibile il parere dei CTU nominati in appello, secondo i quali la morte è stata provocata da “fibrillazione ventricolare con l’aspetto ecografico di torsione di punta”: evento che può essere provocato da molteplici cause anche non derivanti da cardiopatie. La Corte – sempre sulla base degli accertamenti peritali – ha dato atto del fatto che il dott. D. ha tenuto un comportamento negligente in occasione del primo ricovero, ma ha ritenuto impossibile accertare in concreto da quale causa sia derivata la morte, non essendo stata effettuata autopsia, ed ha ritenuto più probabile che la fibrillazione sia stata provocata da aritmia, anzichè da “crisi ischemica acuta del miocardio”, avendo il paziente assunto per molti anni medicinali che possono provocare aritmia.

Ne ha dedotto l’irrilevanza delle inadempienze del dott. D., considerato che l’aritmia cardiaca è evento imprevedibile, spesso non preceduto da sintomi, sicchèlo I. non avrebbe avuto buone possibilità di sopravvivenza neppure se fosse stato ricoverato in osservazione dopo il primo malore.

I ricorrenti obiettano in primo luogo che i due CTU nominati in appello non hanno assunto conclusioni concordi fra di loro, quanto alla causa della morte, tanto che – interpellati dal giudice per chiarimenti dopo il deposito della relazione comune – hanno presentato due distinte relazioni, una sola delle quali ha ritenuto più probabile che il decesso sia ascrivibile a “morte cardiaca improvvisa aritmica”, anzichè a crisi ischemica acuta del miocardio, come ritenuto dal CTU di primo grado.

Fanno rilevare che la Corte di merito non ha indicato le ragioni per cui ha ritenuto preferibile un’opinione all’altra e che tutti i CTU, di primo e di secondo grado, di ufficio e di parte, hanno dichiarato che il dott. D. ha tenuto un comportamento imprudente in occasione del primo ricovero, in quanto avrebbe dovuto trattenere il paziente in osservazione e sottoporlo ad analisi del sangue; che in tema di responsabilità civile il nesso di causalità va individuato non sulla base della certezza che l’evento sia frutto del comportamento imprudente o inadempiente, ma in tutti i casi in cui sussista un elevato grado di probabilità che una tale connessione sussista, restando a carico del danneggiante l’onere di dimostrare che l’evento dannoso è imputabile ad una causa diversa.

Richiamano i principi di legge in tema di responsabilità professionale, per cui rileva anche la colpa lieve, qualora la prestazione non richieda la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, e rilevano che tale è il caso di specie, poichè tutti i consulenti hanno dichiarato che gli interventi di cura adeguati alla situazione in cui si trovava lo I. all’atto del primo ricovero rientrano nell’ordinaria competenza di un cardiologo.

Insistono pertanto sull’insufficienza ed illogicità della motivazione che ha escluso la responsabilità del dott. D..

6.- Debbono essere preliminarmente disattese le eccezioni di inammissibilità del motivo, sollevate dall’assicuratrice Zurich con la memoria da ultimo depositata, per avere i ricorrenti formulato un solo quesito in relazione a diverse censure, e per avere riproposto in questa sede questioni attinenti a valutazioni di merito ed all’accertamento dei fatti.

6.1.- Le eccezioni non sono fondate.

Il quesito risulta formulato con sufficiente chiarezza, in relazione alle questioni che la Corte di cassazione ritiene meritevoli di esame e che nella specie attengono alla sussistenza o meno di congrua e logica motivazione in ordine alla valutazione delle risultanze di causa. Esso prospetta la mancanza di specifica motivazione circa l’irrilevanza delle manifestazioni di negligenza indiscutibilmente accertate a carico del medico, per avere egli omesso di compiere, in occasione della prima visita, gli accertamenti che avrebbero potuto consentire la verifica dello stato del paziente, e per non avere trattenuto lo I. in Ospedale sotto osservazione nelle ore immediatamente successive al primo malore.

Le censure, inoltre, sono tutte incentrate sull’inadeguatezza, insufficienza ed illogicità della motivazione in relazione agli accertamenti ed alle risultanze probatorie acquisite al giudizio, e sono quindi ammissibili ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (nel testo applicabile alla fattispecie).

7.- Nel merito il motivo è fondato nei termini che seguono. La sentenza impugnata è pervenuta al giudizio di assoluzione dei convenuti disattendendo i principi più volte enunciati da questa Corte in tema di responsabilità contrattuale medicosanitaria, in base ai quali il nesso causale fra il comportamento del medico e l’evento dannoso va ritenuto esistente in ogni caso in cui il medico sia incorso nell’inadempimento degli obblighi a suo carico ed il danno verificatosi costituisca conseguenza probabile, pur se non certa, di quegli inadempimenti.

In particolare, chi agisca in risarcimento dei danni è tenuto a dimostrare: a) l’esistenza del contratto (o del contatto sociale) che ha dato origine al rapporto di spedalità e di cura; b) l’insorgenza o l’aggravamento della patologia a seguito dell’intervento del sanitario; c) l’inadempimento di quest’ultimo ad obblighi di comportamento o agli elementari principi di diligenza, prudenza e perizia propri della disciplina, che siano astrattamente idonei a provocare il danno lamentato.

Grava invece su chi sia convenuto quale responsabile dimostrare o che non vi è stato alcun inadempimento, oppure che esso, pur esistendo, non è stato eziologicamente rilevante (Cass. civ. S.U. 11 gennaio 2008 n. 577).

Nell’imputazione per omissione colposa, il giudizio causale assume come termine iniziale la condotta omissiva del comportamento dovuto (Cass. n. 20328 del 2006; Cass. n. 21894 del 2004; Cass. n. 6516 del 2004; Cass. 22/10/2003, n. 15789). Ove sia ravvisabile una tale condotta, il rischio dell’incertezza circa l’effettiva derivazione del danno da quel comportamento grava a carico dell’inadempiente; non a carico del danneggiato. Nella specie la sentenza impugnata, dopo avere premesso che “…la diagnosi…… formulata dal medico di guardia in occasione del primo ricovero in ospedale del paziente, era compatibile con la sintomatologia accusata da quest’ultimo (dolore toracico) nonchè con il tracciato di ECG, che non mostrava segni elettrografici riferibili ad infarto del miocardio acuto”, ha soggiunto – sempre attenendosi agli accertamenti peritali – che “La gestione del paziente al momento del primo ricovero presso l’Ospedale di Noto la notte dell’8 giugno 1992 non poneva problemi tecnici di particolare difficoltà, ma problemi di diagnosi differenziale delicati e complessi, atteso che lo I. riferiva di essere cardiopatico, sicchè il medico di guardia avrebbe dovuto richiedere un dosaggio degli enzimi cardiaci che, in caso di infarti molto piccoli (che sfuggono all’esame ecografico) possono risultare positivi e quindi avrebbe dovuto dimettere il paziente dopo avere acquisito il risultato degli esami”.

Così accertata l’omissione da parte del medico degli accertamenti diagnostici suggeriti dalla comune esperienza per approfondire l’esame della concreta patologia da cui sia affetto il paziente cardiopatico, la Corte soggiunge che “…la condotta del sanitario non appare censurabile sotto il profilo della negligenza e dell’imperizia nè può avere avuto alcuna incidenza eziologica nella produzione del probabile evento morte, causato verosimilmente da aritmia cardiaca che è imprevedibile e spesso non preceduta da sintomi, con la conseguenza che lo I. non avrebbe potuto avere buone possibilità di sopravvivenza qualora fosse stato ricoverato nell’astanteria dell’ospedale, atteso che allo stato attuale delle conoscenze scientifiche non esistono indicatori di rischio certi che possano far prevenire siffatta morte…”. Tale motivazione è in parte contraddittoria, in parte apodittica e inidonea a giustificare la decisione. E’ contraddittoria nella parte in cui dal premesso accertamento di una negligente omissione delle indagini diagnostiche alle quali ordinariamente si ricorre a fronte del sospetto di cardiopatie e di “delicati e complessi problemi di diagnosi differenziale”, deduce un giudizio di incensurabilità della condotta del sanitario, non assistito da alcuna ulteriore considerazione.

E’ apodittica nella parte in cui afferma la non incidenza eziologica della negligenza-imperizia di cui sopra sull’evento morte e dichiara che lo I. non avrebbe avuto possibilità di sopravvivenza neppure se fosse stato trattenuto presso l’ospedale: deduzione non assistita da alcuna attendibile dimostrazione e che è da ritenere arbitraria, soprattutto ove si consideri che meramente presuntivo e probabilistico è anche il precedente giudizio della Corte di appello secondo cui la morte sarebbe stata provocata da aritmia cardiaca anzichè da infarto del miocardio: circostanza su cui si sono manifestate nel corso del giudizio notevoli disparità di opinioni fra i consulenti tecnici.

Risulta dal ricorso che tutte le relazioni peritali sono state concordi nel rilevare la negligenza del dott. D. nell’avere dimesso il paziente senza previo dosaggio degli enzimi cardiaci; che il CTU nominato in appello, dott. G., ha altresì rilevato che “…il comportamento del dott. D. è stato imprudente e superficiale; dopo la risoluzione della patologia dolorosa che aveva spinto il sig. ludica a recarsi in piena notte al P.S., il paziente doveva in tutti i casi rimanere in osservazione per la sintomatologia presentata in urgenza, il paziente poteva essere dimesso solo contro il parere dei sanitari, avvertendo i parenti di possibili rischi per la vita che poi si sono concretizzati…” (Ricorso, pag. 39 ss.).

Tale opinione manifesta la convinzione che il successivo malore che ha condotto alla morte abbia costituito conseguenza e sviluppo del primo; contrasta con le diverse conclusioni raggiunte dall’altro CTU nominato in appello, prof. S., ed è invece conforme al parere espresso dal CTU nominato in primo grado.

La motivazione della Corte di appello non ha dato alcun conto delle ragioni per cui ha ritenuto di dover seguire l’uno dei pareri (fra l’altro minoritario) anzichè l’altro; nè ha sufficientemente motivato il suo convincimento circa l’insussistenza del nesso causale fra il comportamento del dott. D. e la morte dello I., nonostante i predetti inadempimenti: dopo avere premesso – sempre sulla base dei difformi accertamenti peritali in appello – che la fibrillazione ventricolare che ha causato la morte potrebbe essere derivata sia da cardiopatia ischemica, patologia da cui era affetto il paziente; sia da aritmie aventi diversa origine, in relazione alle quali le misure di prevenzione omesse dal medico sarebbero state irrilevanti (pag. 20 ss. della sentenza impugnata), non ha compiuto alcun accertamento circa il grado di probabilità che la morte sia ricollegabile alla cardiopatia; nè ha accertato se l’evento letale avrebbe potuto essere evitato, a fronte di maggior precauzione nel prestare le cure necessarie in occasione del primo ricovero e, soprattutto, trattenendo il paziente in osservazione, a seguito del primo malore, sì da poter tempestivamente intervenire in occasione del secondo episodio.

La Corte di appello non si è uniformata ai principi più volte affermati da questa Corte per cui, una volta accertati gli inadempimenti del medico ed accertato che l’evento verificatosi rientra fra i probabili effetti di quegli inadempimenti, il nesso causale fra la condotta omissiva e l’evento dannoso deve ritenersi esistente in tutti i casi in cui possa affermarsi, in base alle circostanze del caso concreto, che la condotta alternativa corretta avrebbe impedito il verificarsi dell’evento sulla base di un ragionevole criterio probabilistico (Cass. civ. S.U. 11 gennaio 2008 n. 576; Cass. civ. S.U. 11 gennaio 2008 n. 581 e n. 582 ed altre); il suddetto “standard” di “certezza probabilistica deve applicarsi anche quando vi sia un problema di scelta di una delle ipotesi, tra loro incompatibili o contraddittorie, sul fatto, con la conseguenza di dover porre a base della decisione civile la soluzione derivante dal criterio di probabilità prevalente, sulla base degli elementi di prova complessivamente disponibili (Cass. civ. Sez. 3, 5 maggio 2009 n. 10285).

Si ricorda ancora che l’onere della prova che l’opera del medico, se correttamente e prontamente prestata, avrebbe avuto serie ed apprezzabili possibilità di evitare il danno, grava sul danneggiato.

Ma ha per oggetto la ragionevole probabilità, non la certezza, della sussistenza del collegamento causale (Cass. civ. Sez. 3, 11 maggio 2009 n. 10743); che “probabilità ragionevole” non significa necessariamente probabilità di accadimento superiori al 50% dei casi, ma probabilità da individuarsi sulla base di un’analisi logico- deduttiva del singolo caso (Cass. civ. 11 maggio 2009 n. 10741): il che, in astratto e a priori, verrebbe fatto per l’appunto di ritenere, nel caso di un paziente cardiopatico ricoverato al Pronto soccorso per dolori retrosternali, che deceda per fibrillazione ventricolare poche ore dopo essere stato dimesso con diagnosi tranquillizzante, senza essere stato sottoposto a tutti gli accertamenti diagnostici d’uso.

8.- La sentenza impugnata non è quindi assistita da adeguata motivazione e deve essere per questa parte annullata, con rinvio della causa alla Corte di appello di Catania, in diversa composizione, affinchè riesamini la controversia e la decida uniformandosi ai principi sopra enunciati e con completa e coerente motivazione.

7.- La Corte di rinvio deciderà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte di cassazione accoglie il terzo motivo di ricorso e rigetta gli altri motivi.

Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Catania, in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2015.

Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2015