il medico dipendente di una struttura ospedaliera era stato chiamato a rispondere della morte di una paziente avvenuta dopo essere stata sottoposta ad intervento chirurgico, a seguito di shock anafilattico gravissimo provocato dalla somministrazione di un certo antibiotico con compromissione polmonare e cardiaca, conseguente arresto cardio- circolatorio e coma cerebrale atossico. L’ addebito di colpa al sanitario medico che aveva eseguito l’intervento chirurgico e disposto successivamente per il decorso post-operatorio era di aver somministrato un farmaco, notoriamente allergizzante, pur sapendo che la paziente era un soggetto allergico, senza avere proceduto, nel pre-operatorio, ad alcun approfondimento, essendosi limitata la raccolta anamnestica a quanto riferito dalla paziente, senza il riscontro di adeguata documentazione sanitaria e sussistendo, comunque, tutto il tempo necessario per i dovuti approfondimenti, visto che l’intervento non era urgente.

La sentenza di condanna è stata confermata nonostante il nuovo corso segnato dal “decreto Balduzzi” in quanto l’addebito di colpa è stato essenzialmente fondato sulla imprudenza e negligenza del sanitario che ha omesso di coltivare la scelta prudenziale di verificare le allergie della paziente, pur in presenza di una dimostrata situazione di rischio.

Cassazione penale Sez. IV-Sent. n. 27185 del 30.06.2015

Svolgimento del processo

B.A. ricorre avverso la sentenza che, riformando quella di primo grado, che lo aveva riconosciuto corresponsabile del reato di omicidio colposo in danno di N.M., dichiarava non doversi procedere per intervenuta prescrizione.

Trattavasi di ipotesi di responsabilità professionale medica. Per quanto interessa, l’imputato era stato chiamato a rispondere della morte della paziente N.M., deceduta, dopo essere stata sottoposta ad intervento chirurgico, a seguito di shock anafilattico gravissimo provocato dalla somministrazione di antibiotico Amplital con compromissione polmonare e cardiaca, conseguente arresto cardio- circolatorio e coma cerebrale atossico. L’ addebito di colpa al sanitario medico che aveva eseguito l’intervento chirurgico e disposto successivamente per il decorso post-operatorio era dì aver somministrato un farmaco, notoriamente allergizzante, pur sapendo che la paziente era un soggetto allergico, senza avere proceduto, nel pre- operatorio, ad alcun approfondimento, essendosi limitata la raccolta anamnestica a quanto riferito dalla paziente, senza il riscontro di adeguata documentazione sanitaria e sussistendo, comunque, tutto il tempo necessario per i dovuti approfondimenti, visto che l’intervento non era urgente.

In primo grado, conclusosi con pronuncia di condanna, si riscontrava, attraverso la disamina degli esiti della consulenza dei consulenti del PM, non solo il profilo della colpa definita imprudenza grave ma anche il tema del nesso causale tra la somministrazione dell’antibiotico e l’evento mortale, con esplicita e motivata esclusione di ipotesi alternative.

Ai fini che interessano, la Corte di merito riteneva di pronunciare la sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione condividendo appieno il ragionamento sviluppato dal primo giudice.

Ciò con riferimento all’individuazione della causa della morte lo shock anafilattico da assunzione di antibiotici ed alla sussistenza del nesso eziologico tra questa e la condotta dell’imputato che il farmaco aveva prescritto, ma anche con riferimento al profilo della colpa imprudenza e negligenza da addebitare al sanitario che non aveva proceduto alle necessarie verifiche pur in presenza di paziente sicuramente allergica a taluni antibiotici e nonostante l’assenza di situazioni di urgenza.

Per l’effetto, secondo il giudicante, non vi era spazio per un proscioglimento nel merito. Con il ricorso si invoca l’annullamento senza rinvio delle residue statuizioni civili.

Sul punto vengono posti in risalto argomenti tipicamente di fatto, perchè tesi ad accreditare una diversa lettura degli elementi probatori valorizzati in sede di merito tra l’altro in modo sostanzialmente conforme in primo e secondo grado. Si riportano letteralmente brani parziali di deposizioni rese in sede di merito, sì da farne asseritamente discendere una opinabile diversa ricostruzione del fatto, vuoi in punto di sussistenza e conoscenza della condizione di persona allergica della paziente, vuoi in punto di accertamento della causa della morte, vuoi sui profili di colpa con riguardo a tale ultimo profilo, richiamandosi sia pure in modo assertivo il disposto dell’articolo 3 della legge n. 189 del 2012.

Sono state depositate conclusioni scritte nell’interesse delle costituite parti civili.

Motivi della decisione

Come è noto, la presenza di una (già avvenuta) declaratoria di improcedibilità per intervenuta prescrizione del reato, non esclude che debba esaminarsi l’eventuale fondatezza del ricorso, anche laddove evoca un difetto di motivazione della sentenza gravata, essendovi le statuizioni civili su cui occorre provvedere, onde l’auspicato dal ricorrente proscioglimento nel merito dovrebbe essere adottato ex art. 129 c.p.p., comma 2, per il principio del favor rei, anche allorquando si vertesse in ipotesi di contraddittorietà o insufficienza della prova della responsabilità (cfr. Sezioni unite, 28 maggio 2009, Tettamanti).

Ciò premesso, il ricorso è manifestamente infondato.

La sentenza impugnata non ammette censure, anche a fronte di un ricorso meramente assertivo, in cui ci si limita a richiamare brani di deposizioni testimoniali per fondare una diversa versione dei fatti.

E’ una situazione che non consente certamente l’adozione della invocata decisione, non potendo questa Corte rinnovare una valutazione di merito, logicamente e congruamente motivata, secondo la quale l’imputato non aveva proceduto alle necessarie verifiche, pur in presenza di paziente sicuramente allergica a taluni antibiotici e nonostante l’assenza di situazioni di urgenza.

Va solo soggiunto che è – oltre che immotivato- anche erroneo il richiamo all’articolo 3 legge n. 189 del 2012, per l’assorbente rilievo che qui l’addebito di colpa è essenzialmente basato sulla imprudenza e negligenza il sanitario ha omesso di coltivare la scelta prudenziale di verificare le allergie della paziente, pur in presenza di una dimostrata situazione di rischio.

Basta ricordare, allora, che la L. 8 novembre 2012, n. 189, art. 3 la c.d. legge “Balduzzi”, in tema di responsabilità del medico, secondo cui l’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività’ si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità’ scientifica non risponde penalmente per colpa lieve”, pone un limite alla possibilità per il giudice di sancire la responsabilità del medico esclusivamente nelle ipotesi in cui questi abbia rispettato le linee guida e le best practices: nel senso che potrebbe pur sempre essere riconosciuta la responsabilità penale del medico per omicidio e lesioni personali che si sia attenuto ad esse, ma ciò solo allorchè invece avrebbe dovuto discostarsene in ragione della peculiare situazione clinica del malato e questo non abbia fatto per “colpa grave”, quando cioè la necessità di discostarsi dalle linee guida era macroscopica, immediatamente riconoscibile da qualunque altro sanitario al posto dell’imputato.

La disposizione limitativa della responsabilità è applicabile, peraltro, solo limitatamente ai casi nei quali si faccia questione di essersi attenuti a linee guida e, quindi, può operare solo allorquando si discuta della “perizia” del sanitario, non estendendosi alle condotte professionali “negligenti” ed “imprudenti”, anche perchè è concettualmente da escludere che le linee guida e le buone prassi possano in qualche modo prendere in considerazione comportamenti professionali connotati da tali profili di colpa. Ciò che significa anche che il medico imprudente e negligente non potrebbe invocare una pretesa adesione alle linee guida per eludere la propria responsabilità (Sezione 4^, 20 marzo 2015, Rota).

Ciò che esime dal dover anche rilevare che in sede di merito si è sottolineata la gravita della colpa del sanitario: ulteriore elemento ostativo all’applicabilità della richiamata regola.

Alla inammissibilità del ricorso, riconducibile a colpa del ricorrente (Corte Cost., sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), consegue la condanna del ricorrente medesima al pagamento delle spese processuali e di una somma, che congruamente si determina in mille Euro, in favore della cassa delle ammende nonchè alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili, sotto indicate, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende, oltre alla rifusione delle spese in favore delle parti civili I.G., I.S., I.F., IM.Fr., I.M., N. R. e L.F. che liquida in complessivi Euro 4.000,00, oltre accessori come per legge .

Così deciso in Roma, il 28 maggio 2015.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2015