In tema di diritto al risarcimento del danno, spettante ai medici specializzandi per inadempimento della direttiva 26 gennaio 1982, n. 82/76/CEE (…), l’applicazione del solo parametro di cui alla L. 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11 è di per sè sufficiente a coprire tutta l’area dei pregiudizi causalmente collegabili al tardivo adempimento del legislatore italiano all’obbligo di trasposizione della normativa comunitaria, salva la rigorosa prova, da parte del danneggiato, di circostanze diverse da quelle normali, tempestivamente e analiticamente dedotte in giudizio prima della maturazione delle preclusioni assertive o di merito e di quelle istruttorie.

Nel presente giudizio, non essendovi stata da parte degli attori nè l’allegazione, nè la prova di danni ulteriori ed “anomali”, il pregiudizio da essi risentito andava perciò liquidato in base ai criteri previsti dal suddetto L. n. 370 del 1999, art. 11 ovvero Euro 6.713,94 per ciascun anno di frequentazione della scuola di specializzazione.

Cassazione civile sez. III, 17/01/2019, (ud. 20/07/2018, dep. 17/01/2019), n.1057
omissis
FATTI DI CAUSA
1. Nel 2009 C.S., M.G., P.P., R.L., R.A. ed S.E. convennero dinanzi al Tribunale di Perugia la Presidenza del Consiglio dei Ministri, esponendo:
-) di essere laureati in medicina e chirurgia e di avere conseguito il diploma di specializzazione prima del 1992;
-) di avere partecipato ai rispettivi corsi di specializzazione a tempo pieno e con frequenza obbligatoria;
-) di avere, pertanto, diritto alla “adeguata retribuzione” prevista dalle direttive comunitarie n. 75/362/CEE e 75/363/CEE, così come modificate dalla Direttiva 82/76/CEE.
Chiese pertanto la condanna dell’amministrazione convenuta al pagamento della suddetta retribuzione ovvero, in subordine, al risarcimento del danno per la tardiva attuazione di tali direttive da parte della Repubblica Italiana.
2. Il Tribunale di Perugia con sentenza 20.4.2013 n. 540 rigettò la domanda, ritenendo prescritto il diritto.
La sentenza di primo grado venne impugnata dai soccombenti.
La Corte d’appello di Perugia con sentenza 29.9.2014 n. 547 riformò la decisione di primo grado ed accolse la domanda.
3. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, con ricorso fondato su tre motivi ed illustrato da memoria.
Gli intimati hanno resistito con controricorso illustrato da memoria.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo ed il secondo motivo di ricorso.
1.1. Il primo ed il secondo motivo di ricorso possono essere esaminati congiuntamente.
Tutti e due, infatti, pongono la questione della correttezza della sentenza d’appello, nella parte in cui ha accolto la domanda proposta da S.E., la quale si era specializzata in una disciplina secondo la Presidenza del Consiglio non prevista dagli artt. 5 e 7 Direttiva 362/75, cioè “igiene e medicina preventiva”.
L’amministrazione ricorrente deduce che tale decisione sia viziata:
-) da un error in iudicando de jure procedendi, perchè la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto tardiva la relativa eccezione, che invece l’amministrazione convenuta aveva sollevato sin dal primo grado;
-) da violazione di legge, perchè la suddetta specializzazione non è prevista da almeno altri due Paesi membri dell’UE, e di conseguenza mancava il presupposto cui il diritto comunitario subordinava il mutuo riconoscimento del titolo tra gli Stati membri e, di conseguenza, l’obbligo dell’adeguata retribuzione per la frequentazione della scuola preordinata al rilascio di quel titolo.
1.2. Nella parte in cui lamenta la violazione dell’art. 345 c.p.c., il ricorso è infondato.
La Presidenza del Consiglio infatti, costituendosi nel giudizio di primo grado, non sollevò mai esplicitamente la questione della esistenza in almeno altri due Paesi membri dell’Unione Europea della specializzazione in “igiene e medicina preventiva”.
Si limitò a dedurre che “spetterà a parte attrice dimostrare” la sussistenza dei requisiti richiesti dal diritto comunitario per il diritto all’adeguata retribuzione. Ma tali requisiti sono plurimi: oltre ad essersi specializzati in una disciplina prevista dall’ordinamento di almeno altri due Paesi membri, anche l’avere frequentato la scuola a tempo pieno, e il non aver svolto altre attività remunerate nel medesimo periodo.
Si trattò dunque d’una eccezione formulata in termini ultragenerici, che correttamente la Corte d’appello ha ritenuto non correttamente formulata.
Questa Corte infatti ha già ripetutamente affermato che la comparsa di costituzione e risposta ha la funzione di mettere l’attore prima, ed il giudice poi, in condizione di sapere quali siano i fatti controversi (che quindi dovranno essere provati), e quali invece incontroversi, come tali esclusi dal thema probandum.
Mentre, infatti, l’atto di citazione ha lo scopo di delimitare l’oggetto del pronuntiare da parte del giudice, la comparsa di risposta ha l’altrettanto fondamentale scopo di contribuire a delimitare l’oggetto del cognoscere.
Affinchè questo scopo possa essere raggiunto, è necessario che negli atti processuali si parli ore rotundo, ovvero “concisamente e in ordine”, come si esprime l’art. 118 disp. att. c.p.c., comma 2 il quale sebbene dedicato ai criteri di redazione delle sentenze è comunque espressione d’un principio generale.
Qualsiasi contestazione in ambito processuale non può essere ambigua o generica, perchè lascerebbe irrisolto il dubbio se i fatti genericamente contestati debbano essere provati o meno. Per queste ragioni la contestazione generica deve ritenersi tamquam non esset. Se, infatti, fosse sufficiente una contestazione generica e di stile per costringere l’attore a provare tutti i fatti costitutivi della domanda, si finirebbe per negare in pratica la regola che viene ammessa in teoria: e cioè l’onere di contestazione tempestiva (sono parole di Sez. 3, Sentenza n. 10860 del 18/05/2011, Rv. 618044; nello stesso senso, Sez. 3, Sentenza n. 6094 del 26/03/2015, Rv. 634888, in motivazione; Sez. 3, Sentenza n. 13079 del 21/05/2008, Rv. 603161).
1.3. In ogni caso, anche a volere ritenere erronea la statuizione di novità del motivo d’appello, la censura sarebbe comunque infondata. Questa Corte, infatti, in fattispecie analoga ha già stabilito che:
(-) quel che rileva ai fini dell’attribuzione del diritto all’indennizzo per tardiva attuazione della Direttiva 82/76/CEE da parte dello Stato italiano non è l’esatta corrispondenza nominale tra la specializzazione conseguita in Italia e quella comune a tutti od almeno due Paesi dell’unione; rileva invece l’equipollenza di contenuto sostanziale tra la specializzazione conseguita in Italia e quelle elencate negli articoli 5 e 7 della Direttiva 632/75/CEE;
(-) la specializzazione in “igiene e medicina preventiva” è prevista in numerosi Paesi dell’Unione: sia in quelli anglosassoni, con la denominazione “Community medicine” (specializzazione già menzionata sia dalla direttiva 362/75/CEE, sia dalla Direttiva 363/75/CEE), sia in Francia, con la denominazione “Santè publique et medicine sociale”, espressamente prevista dalla direttiva CEE n. 16 del 1993 (Sez. 3 -, Sentenza n. 21798 del 28/10/2016, Rv. 642960 01).
3. Il terzo motivo di ricorso.
3.1. Col terzo motivo di ricorso la Presidenza del Consiglio lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 2043,2056,1223 e 1226 c.c.; della L. 19 ottobre 1999, n. 370; del D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257, art. 6.
Sostiene che la corte d’appello avrebbe liquidato l’indennizzo dovuto agli attori in misura non coerente con le indicazioni del giudice di legittimità.
La Corte d’appello infatti ha liquidato a ciascuno degli attori la somma di Euro 11.103,82 per ogni anno di frequentazione della scuola, applicando i criteri dettati dal D.Lgs. n. 257 del 1991. Avrebbe invece dovuto liquidare la somma di Euro 6.713,94 per ogni anno di frequenza della scuola di specializzazione, assumendo a parametro le disposizioni della L. 19 ottobre 1999, n. 370.
3.2. I controricorrenti hanno eccepito l’inammissibilità di questo motivo di ricorso, a causa della sua novità.
Tale eccezione è infondata.
In primo grado la questione del quantum debeatur rimase assorbita, in quanto il Tribunale dichiarò prescritto il diritto vantato dagli attori. E su una questione assorbita, ovviamente, non potevano formarsi nè preclusioni, nè giudicato.
La questione del quantum debeatur fu esaminata per la prima volta solo in grado di appello, e l’eventuale errore di diritto nella stima del quantum, essendo stato commesso per la prima volta in appello, poteva e doveva essere censurato in sede di legittimità.
3.3. Nel merito, il motivo è fondato.
Questa Corte, infatti, ha già ripetutamente stabilito che “in tema di diritto al risarcimento del danno, spettante ai medici specializzandi per inadempimento della direttiva 26 gennaio 1982, n. 82/76/CEE (…), l’applicazione del solo parametro di cui alla L. 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11 è di per sè sufficiente a coprire tutta l’area dei pregiudizi causalmente collegabili al tardivo adempimento del legislatore italiano all’obbligo di trasposizione della normativa comunitaria, salva la rigorosa prova, da parte del danneggiato, di circostanze diverse da quelle normali, tempestivamente e analiticamente dedotte in giudizio prima della maturazione delle preclusioni assertive o di merito e di quelle istruttorie” (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 14376 del 09/07/2015, Rv. 636004 – 01; nello stesso senso, Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 23635 del 06/11/2014, Rv. 633541 01; Sez. 3, Sentenza n. 1917 del 09/02/2012, Rv. 621205 – 01).
Nel presente giudizio, non essendovi stata da parte degli attori nè l’allegazione, nè la prova di danni ulteriori ed “anomali”, il pregiudizio da essi risentito andava perciò liquidato in base ai criteri previsti dal suddetto L. n. 370 del 1999, art. 11 ovvero Euro 6.713,94 per ciascun anno di frequentazione della scuola di specializzazione.
3.4. La ritenuta erroneità della sentenza impugnata non ne impone la cassazione con rinvio.
Infatti, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa potrà essere decisa nel merito, liquidando il danno patito da ciascuno degli attori nella minor somma di Euro 6.713,94 per ciascun anno di frequentazione della scuola di specializzazione.
3.5. Non è luogo a provvedere in questa sede sugli accessori del debito come sopra determinato (rivalutazione, interessi di mora e decorrenza degli stessi), i quali restano fissati nella misura ritenuta dalla Corte d’appello.
Infatti l’indennizzo previsto dalla L. n. 370 del 1999 costituisce oggetto d’una obbligazione di valuta (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 23635 del 06/11/2014, Rv. 633541 – 01).
In tema di obbligazioni di valuta, questa Corte ha già ripetutamente affermato che, nel caso di sentenza di condanna al pagamento di un debito pecuniario, oltre interessi e rivalutazione, qualora l’impugnazione del soccombente, pur investendo la pronuncia nella sua interezza, contenga specifici motivi solo sulla sussistenza del debito e nessuno, neppure subordinato, sulle statuizioni accessorie, al giudice del gravame è inibito il riesame di queste ultime, rispetto alle quali, per effetto dell’indicata delimitazione delle ragioni della impugnazione, deve ritenersi vi sia stata acquiescenza dell’appellante (Sez. 2 -, Sentenza n. 13780 del 31/05/2017, Rv. 644470 – 01).
4. Le spese.
4.1. Le spese del presente giudizio di legittimità possono essere compensate interamente tra le parti, in considerazione della oggettiva controvertibilità della materia, che ha richiesto l’intervento sia delle Sezioni Unite di questa Corte, sia della Corte di giustizia dell’Unione Europea.
4.2. Quanto alle spese dei due gradi di merito, cui questa Corte deve provvedere per effetto della decisione nel merito, in considerazione dell’esito complessivo della lite, che ha visto la soccombenza dell’amministrazione, possono essere liquidate nella medesima misura già stabilita dalla sentenza impugnata.
 
P.Q.M.
la Corte di cassazione:
(-) rigetta il primo ed il secondo motivo di ricorso;
(-) accoglie il terzo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento, in favore di ciascuno degli attori, della somma di Euro 6.713,94, oltre accessori del tipo, della misura e con le decorrenze stabilite nella sentenza d’appello;
(-) compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità;
(-) liquida le spese dei due gradi di merito nella medesima misura già stabilita dalla sentenza impugnata.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 20 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2019