Laddove nel processo penale l’efficienza causale deve essere provata oltre ogni ragionevole dubbio, in sede civilistica è sufficiente che, secondo il giudizio controfattuale con valutazione ex ante, risulti “più probabile che non” che, qualora si fosse tenuto il comportamento che la situazione avrebbe imposto, tenuto conto di tutte le circostanze del caso concreto, il danno alla persona, o quanto meno quel danno alla persona procurato nel caso di specie si sarebbe evitato.

Un criterio probabilistico di valutazione dei fatti che non si aggancia ad un dato di probabilità assoluta (il 50 + 1% di probabilità), ma relativo, secondo il quale, tenuto conto di tutte le cause e di tutti i possibili esiti, in quella situazione, ove si fosse tenuto il comportamento corretto, esisteva un maggior grado di probabilità, rispetto a tutti gli altri possibili esiti, che l’esito mortale non si sarebbe verificato. Un criterio probabilistico relativo che consente di giungere all’affermazione dell’esistenza del nesso causale tra operato del medico o della struttura sanitaria e danno anche con una percentuale di probabilità inferiore al 50%.

ORDINANZA
sul ricorso 11023/2018 proposto da:
GESTIONE LIQUIDATORIA EX ASL (OMISSIS) DI LAGONEGRO, in persona del Commissario con funzioni di Direttore Generale legale rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COSSERIA 2, presso lo studio dell’avvocato ALFREDO PLACIDI, rappresentata e difesa dall’avvocato ADELTINA SALIERNO;
– ricorrente –
contro
P.R., P.A., domiciliati ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato MARIA CRISTINA PINTO;
– controricorrente –
e contro
UNIPOL ASSICURAZIONI SPA, C.F.;
– intimati –
nonchè da UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato LUIGI GULLO;
– ricorrente –
contro
P.R., P.A., domiciliati ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato MARIA CRISTINA PINTO;
– controricorrenti –
contro
GESTIONE LIQUIDATORIA – AZIENDA SANITARIA USL (OMISSIS) DI LAGONEGRO, C.F.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 32/2018 della CORTE D’APPELLO di POTENZA, depositata il 24/01/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 29/01/2020 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO.
Svolgimento del processo
1. Nel 2010 P.A., in proprio e quale esercente la potestà sul figlio minore P.R., conveniva in giudizio la USL n. (OMISSIS) degli (OMISSIS) (attuale ricorrente ora quale “Gestione liquidatoria ex ASL (OMISSIS) di Lagonegro”) e il Dott. C.F. per ottenerne la condanna in solido al risarcimento dei danni, comprensivi dei danni biologici, patrimoniali, morali e alla vita di relazione, derivanti dalla morte di A.M.G., rispettivamente moglie e madre degli attori, a seguito del parto cesareo eseguito in ritardo dal Dott. C. all’interno della struttura ospedaliera.
2. – Assumevano che la D. si recava in ospedale, prossima al parto e manifestando i sintomi della gestosi e veniva ricoverata, e che solo il giorno successivo al ricovero il sanitario che la prendeva in carico, Dott. C., faceva eseguire i necessari esami, che rivelavano che la stessa fosse affetta da gestosi complicata dalla presenza di una patologia rara (sindrome di HELLP) sicchè, nonostante venisse disposto ed eseguito dal Dott. C. il parto cesareo d’urgenza e nell’arco della stessa giornata un secondo intervento chirurgico, la gestante non sopravviveva.
3. – Il C. veniva assolto in sede penale dal reato di cui all’art. 589 c.p., con formula “perchè il fatto non sussiste”; in quella sede, il tribunale precisava che: “invero, non può escludersi, anzi, al contrario, può affermarsi, con una probabilità nella misura del 50% che l’evento morte sia stato una tragica fatalità, nel senso che esso anche in presenza di un tempestivo intervento diagnostico, comunque si sarebbe verificato”; l’assoluzione veniva confermata in appello.
4. – Nel giudizio civile si costituiva la Gestione liquidatoria, convenendo la propria compagnia assicuratrice Unipol SAI per essere manlevata in caso di condanna; quest’ultima si costituiva in giudizio mentre nessuno si costituiva per il Dott. C..
Il Tribunale civile di Lagonegro rigettava la domanda degli attori.
5. – La Corte d’Appello di Potenza, con la sentenza n. 32 del 2018 qui impugnata, accoglieva l’appello dei P.. Affermava l’utilizzabilità nel processo civile delle prove acquisite nel processo penale, che l’assoluzione dell’imputato con formula “perchè il fatto non sussiste” non preclude la possibilità di accertarne la responsabilità in sede civile, che il danneggiato deve fornire la prova del contratto, dell’aggravamento della situazione patologica e del nesso causale tra l’aggravamento della situazione patologica e l’operato, o il mancato operato, dei sanitari, restando a carico dell’obbligato la prova della diligenza nella prestazione e dell’imprevedibilità del danno.
Riteneva, dunque, che gli appellanti avessero dimostrato il nesso causale fra il ritardo nell’intervento e il decesso della signora D., poichè sarebbe stato “più probabile che non” che l’evento morte – data la giovane età della donna e l’assenza di altre patologie – fosse conseguito al contegno omissivo dei sanitari, ovvero che lo stesso non si sarebbe verificato se la paziente fosse stata sollecitamente operata.
Il Dott. C. e la Gestione liquidatoria venivano condannati in solido al risarcimento dei danni (con esclusione del danno tanatologico) ed alla rifusione delle spese a favore dei P..
L’assicurazione Unipol SAI veniva condannata a manlevare la Gestione liquidatoria.
6. – Propongono ricorso per Cassazione avverso la sentenza del Giudice d’appello Unipol SAI s.p.a. e la Gestione liquidatoria ex ASL (OMISSIS) di Lagonegro, formulando due motivi ciascuno.
Resistono con controricorso illustrato da memoria i signori P..
Il C., intimato, non ha svolto attività difensiva in questa sede.
Motivi della decisione
Il ricorso principale di Unipol Ass.ni s.p.a. e il ricorso incidentale della Gestione Liquidatoria ex ASL (OMISSIS) di Lagonegro propongono entrambi due motivi di ricorso, che contengono censure del tutto analoghe.
Con il primo motivo, i ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1256, 1223 c.c., art. 1176 c.c., comma 2, artt. 2236, 2727, 2737 c.c., artt. 40 e 41 c.p..
Si dolgono che la Corte territoriale non abbia considerato quanto emerso dall’istruttoria e posto alla base della assoluzione in sede penale e del rigetto della domanda risarcitoria all’esito del primo grado del giudizio civile, ossia che il Dott. C. eseguì la propria prestazione con l’ordinaria diligenza richiesta, o che comunque il suo inadempimento non fu eziologicamente rilevante; sottolineano che le perizie di parte, del P.M. e delle parti civili avevano escluso profili di colpa professionale.
Ricordano che, come affermato dal giudice penale, anche se l’intervento fosse stato eseguito senza alcun ritardo, la paziente avrebbe avuto soltanto un incremento di chances del 50% “e ciò significa che non vi sarebbe stato un exitus diverso e favorevole per il danneggiato” (a pag. 9 del ricorso della Gestione e 10 del ricorso Unipol SAI).
Lamentano inoltre come sia stato trascurato, con la decisione impugnata, che ex art. 2236 c.c. – se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà come nella fattispecie, il medico non risponde dei danni cagionati senza dolo o colpa grave. Segnalano che la Corte territoriale non avrebbe neppure consegnato un’adeguata motivazione a giustificazione delle ragioni per le quali il medico sarebbe stato ritenuto responsabile a fronte di una situazione particolare come quella in esame.
Il motivo è infondato.
I ricorrenti tendono a sovrapporre l’esito, favorevole per il dottore, del giudizio penale per omicidio colposo, che si è concluso con un’assoluzione ex art. 530 c.p.c., comma 2, “perchè il fatto non sussiste” perchè non si è ritenuto che la morte della paziente risultasse addebitabile oltre ogni ragionevole dubbio al chirurgo che la ebbe in carico presso l’Ospedale di (OMISSIS), al giudizio civile, ove per giungere all’affermazione della civile responsabilità dei convenuti – prima di tutto della struttura sanitaria – è sufficiente che sussista la prova del nesso di causa tra la sua azione o nel caso di specie omissione:
ritardo nell’eseguire gli esami, ritardo nell’eseguire il cesareo, e l’esito negativo, nonchè la prova anche presuntiva ottenuta col giudizio controfattuale ex ante che, se eseguiti tempestivamente accertamenti ed intervento, fosse più probabile che non che la paziente si sarebbe salvata.
Il motivo presuppone la questione della utilizzabilità, nel giudizio civile, delle prove raccolte nel procedimento penale.
Costituisce affermazione consolidata nella giurisprudenza della Corte che le prove raccolte nel procedimento penale siano liberamente utilizzabili nel processo civile, e possono essere poste alla base del convincimento del giudice civile, purchè da questi sottoposte ad autonoma valutazione e vagliati secondo le diverse categorie di responsabilità tipici del processo civile (da ultimo, v. Cass. n. 517 del 2020: “La corte di appello competente per valore, alla quale la Corte di cassazione in sede penale abbia rinviato il procedimento ai soli effetti civili, può utilizzare come fonte del proprio convincimento le prove raccolte nel precedente giudizio penale e ricavate direttamente dalla sentenza rescindente, richiamando gli elementi di fatto già acquisiti in quella sede per sottoporli ad una autonoma valutazione e ritenerli idonei ad integrare la responsabilità civile del soggetto agente, poichè tale sentenza non crea alcun vincolo in capo al giudice di cui all’art. 622 c.p.p., assumendo natura di prova atipica rimessa al suo prudente apprezzamentò).
Su questa base, la corte d’appello ha utilizzato e valutato l’intero contesto probatorio emergente dal processo penale per considerare la responsabilità della struttura sanitaria e del C..
Il fatto che il C. sia stato assolto in sede penale, perchè si è accertato che l’intervento chirurgico (il parto cesareo) si sia svolto secondo le regole dell’arte e perchè non è risultata provata la sua colpevolezza, nella morte della paziente, oltre ogni ragionevole dubbio (ovvero secondo la regola penalistica di giudizio) non inficia la coerenza del ragionamento svolto in sede civilistica, ove la responsabilità prima di tutto della struttura sanitaria, e quindi del medico di turno che si è occupato della paziente, è stata accertata sulla base del diverso ragionamento probabilistico tipico del giudizio civile, in cui oggetto di censura non è stata la correttezza o meno dell’esecuzione dell’intervento chirurgico, non revocata in dubbio, ma il difetto di tempestività da parte della struttura nel suo complesso, e quindi il comportamento omissivo di essa che, all’atto di prendere in carico una paziente con determinati sintomi atti a far sospettare una gestosi (poi rivelatasi una gestosi con una inusuale complicanza), ometteva di disporre con urgenza gli accertamenti atti a farla emergere e a consentire di intervenire con tempestività, rimandandoli al giorno dopo, quando ormai anche un intervento eseguito correttamente era insufficiente a salvare la vita alla paziente che, secondo il ragionamento probabilistico usato dalla Corte d’appello, era più probabile che non che, sulla base della giovane età e delle buone condizione di salute complessive, se si fosse intervenuti tempestivamente, si sarebbe salvata.
Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 1176 c.c., comma 2, artt. 1218, 1223, 2043, 2236, 2697, 2059 e 2055 c.c., artt. 40 e 41 c.p., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.
Ritengono che la sentenza impugnata risulti viziata laddove ha considerato provato il nesso causale fra la condotta del C. e la morte della D..
Affermano che deve escludersi la sussistenza del nesso causale per tutte le conseguenze assolutamente atipiche o imprevedibili (citando SS.UU. n. 576/2008) secondo l’ordinaria diligenza del medico e che, peraltro, quand’anche si assumesse che la condotta del sanitario sia stata una concausa rispetto alla produzione dell’evento, il giudice dovrebbe compiere una valutazione equitativa dell’efficienza della concausa, seguendo il criterio indicato da Cass. Civile, Sez. III, n. 975,16 gennaio 2009.
Gli appellanti si dolgono, inoltre, che la Corte territoriale abbia ritenuto “dimostrato il nesso causale tra il ritardo nei trattamenti sanitari (immediato parto cesareo) e la morte della giovane donna”, non tenendo conto che la corretta applicazione del principio del “più probabile che non” vuole che il nesso causale possa considerarsi provato solo laddove emerga che il danneggiato avrebbe avuto almeno il 51% di chanches di non subire il danno, se l’autore della condotta dannosa avesse agito diversamente; ancora, lamentano che il Giudice non abbia tenuto conto che secondo la giurisprudenza relativa ad un caso analogo (Cass. Civile, Sez. III, sent. 26822/2017) la perdita di chances – di cui dà prova l’attore – deve essere concreta ed effettiva poichè, come si legge nella sentenza del Tribunale che escluse la responsabilità del Dott. C., “se manca il danno non vi è obbligazione risarcitoria e… il danno alla salute non è in re ipsa”.
Le questioni che pone il motivo di ricorso, che vanno sfrondate da tutte le inferenze fattuali, sono le seguenti:
Se il professionista, in questo caso il medico chirurgo, risponda anche delle conseguenze impreviste o imprevedibili secondo l’ordinaria diligenza;
Se, qualora il comportamento del medico sia stato solo una concausa nella provocazione dell’evento, si debba compiere una valutazione equitativa della efficienza concausale, e di conseguenza porre a carico del medico o della struttura solo una frazione di danno, pari al suo effettivo apporto causale;
Se il principio del più probabile che non debba portare al rigetto della domanda risarcitoria laddove non si raggiunga una probabilità del 51% che, ove fosse stato tenuto il comportamento corretto, esso sarebbe stato idoneo ad evitare l’evento dannoso.
La prima questione è mal posta, o meglio non è coerente con l’assetto motivazionale della sentenza impugnata e con i fatti che risultano accertati: la sentenza ha escluso, a fronte dei sintomi che la paziente presentava già al momento del ricovero, che i convenuti abbiano provato che la gestosi con la sua complicazione fosse una conseguenza imprevista e imprevedibile, ha affermato al contrario che quei sintomi dovevano indicare una gestosi in atto, che avrebbe imposto, secondo l’ordinaria diligenza, accertamenti immediati finalizzati ad un intervento di urgenza, unico strumento atto a salvaguardare la salute del paziente in caso di gestosi: ciò, a prescindere dalla complicazione inusuale che il tipo di gestosi della quale era affetta la vittima comportasse.
La decisione impugnata si è conformata pertanto ai principi in tema di prova del nesso causale, e di distribuzione del relativo onere probatorio, di recente riaffermati da questa Corte, secondo i quali: Nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica, è onere del paziente dimostrare l’esistenza del nesso causale, provando che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del “più probabile che non”, causa del danno, sicchè, ove la stessa sia rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata (Cass. n. 3704 del 2018); In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l’onere di provare il nesso di causalità tra l’aggravamento della patologia (o l’insorgenza di una nuova malattia) e l’azione o l’omissione dei sanitari, mentre, ove il danneggiato abbia assolto a tale onere, spetta alla struttura dimostrare l’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l’inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l’ordinaria diligenza (Cass. n. 18392 del 2017).
La seconda questione posta è se, nel caso di concorso tra causalità umana e concausa naturale, quest’ultima debba essere tenuta in conto, quanto meno ai fini del ragionamento equitativo di liquidazione del danno.
L’assunto è che se anche vi fu colpa da parte della struttura sanitaria nel suo complesso nel non effettuare subito tutti gli accertamenti necessari sulla paziente, sull’exitus negativo abbia inciso anche la grave e inusuale complicazione della gestosi dalla quale la paziente è risultata affetta, che avrebbe dovuto essere tenuta in conto, per non far gravare sulla struttura sanitaria quanto meno la percentuale di responsabilità derivante dall’esistenza di tale complicazione.
Anche sotto questo profilo, la sentenza impugnata non si è discostata dai principi di diritto più volte affermati da questa Corte, secondo i quali in caso di concorso tra causalità umana e causalità naturale, si esclude che si possa dar luogo ad una riduzione proporzionale di responsabilità, e quindi conducono ad affermare che, in caso di concorso tra causalità umana e concausa naturale, il responsabile dell’illecito risponde per l’intero poichè una comparazione del grado di incidenza eziologica di più cause concorrenti può instaurarsi soltanto tra una pluralità di comportamenti umani colpevoli (“In materia di rapporto di causalità nella responsabilità civile, in base ai principi di cui agli artt. 40 e 41 c.p., qualora le condizioni ambientali od i fattori naturali che caratterizzano la realtà fisica sulla quale incide il comportamento imputabile dell’uomo siano sufficienti a determinare l’evento di danno indipendentemente dal comportamento medesimo, l’autore dell’azione o della omissione resta sollevato, per intero, da ogni responsabilità dell’evento, non avendo posto in essere alcun antecedente dotato in concreto di efficienza causale; ove, invece, quelle condizioni non possano dare luogo, senza l’apporto umano, all’evento di danno, l’autore del comportamento imputabile è responsabile per intero di tutte le conseguenze da esso scaturenti secondo normalità, non potendo, in tal caso, operarsi una riduzione proporzionale in ragione della minore gravità della sua colpa, poichè una comparazione del grado di incidenza eziologica di più cause concorrenti può instaurarsi soltanto tra una pluralità di comportamenti umani colpevoli, ma non tra una causa umana imputabile ed una concausa naturale non imputabile. Ne consegue che, a fronte di una sia pur minima incertezza sulla rilevanza di un eventuale contributo “con-causale” di un fattore naturale (quale che esso sia), non è ammesso, sul piano giuridico, affidarsi ad un ragionamento probatorio “semplificato”, tale da condurre “ipso facto” ad un frazionamento delle responsabilità in via equitativa, con relativo ridimensionamento del “quantum” risarcitorio con (Ndr: testo originale non comprensibile)).
La presenza di una inusuale complicazione nella gestosi, infatti, costituiva in tesi un’ipotesi di “concausa di lesione”: cioè un caso in cui le condizioni soggettive della vittima dell’illecito esponevano quest’ultima ad un maggior rischio di patire il danno, poi puntualmente avveratosi. Ma, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, nell’ipotesi in cui la persona danneggiata sia, per la propria condizione soggettiva, più vulnerabile dei soggetti della stessa età e dello stesso sesso, tale circostanza non incide nè sul nesso di causa, nè sull’attribuzione della colpa, nè sulla liquidazione del danno (Cass. n. 28811 del 2019; Sez. 3 -, Ordinanza n. 20836 del 21/08/2018; Sez. 3, Sentenza n. 8995 del 06/05/2015, Rv. 635338 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 15991 del 21/07/2011, Rv. 618882 – 01). E tale principio è stato, per quanto detto, correttamente applicato dalla Corte d’appello.
La terza questione si riallaccia a quella posta dal primo motivo di ricorso in quanto richiama il diverso operare dei criteri di prova del nesso causale tra operato dell’autore e danno, nel processo penale e nel processo civile: laddove nel processo penale l’efficienza causale deve essere provata oltre ogni ragionevole dubbio (il che ha portato all’assoluzione definitiva del C. in sede penale), in sede civilistica è sufficiente che, secondo il giudizio controfattuale con valutazione ex ante, risulti “più probabile che non” che, qualora si fosse tenuto il comportamento che la situazione avrebbe imposto, tenuto conto di tutte le circostanze del caso concreto, il danno alla persona, o quanto meno quel danno alla persona procurato nel caso di specie si sarebbe evitato. Un criterio probabilistico di valutazione dei fatti che non si aggancia ad un dato di probabilità assoluta (il 50 + 1% di probabilità), ma relativo, secondo il quale, tenuto conto di tutte le cause e di tutti i possibili esiti, in quella situazione, ove si fosse tenuto il comportamento corretto, esisteva un maggior grado di probabilità, rispetto a tutti gli altri possibili esiti, che l’esito mortale non si sarebbe verificato. Un criterio probabilistico relativo che consente di giungere all’affermazione dell’esistenza del nesso causale tra operato del medico o della struttura sanitaria e danno anche con una percentuale di probabilità inferiore al 50%.
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come al dispositivo.
Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e la parte ricorrente risulta soccombente, pertanto è gravata dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis e comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Pone a carico della parte ricorrente le spese di giudizio sostenute dalla parte controricorrente, che liquida in complessivi Euro 13.000,00 per compensi, oltre 200,00 per esborsi, oltre contributo spese generali ed accessori.
Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, il 29 gennaio 2020.
Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2020