In caso di negligenza nell’esecuzione di lavori di implantologia, è onere del medico dentista provare che le cure – per quanto inutili sul piano del recupero della funzionalità dell’apparato dentario coinvolto, e comunque denotanti una sua complessiva negligenza sotto il profilo dell’ars medica – non abbiano avuto alcun impatto sulla salute della persona rispetto alle condizioni pregresse di salute che egli stesso aveva potuto sin dall’inizio constatare e apprezzare, anche tenuto conto del principio di vicinanza della prova.

SVOLGIMENTO IN FATTO
1. Con ricorso notificato il 4/5/2018 avverso la sentenza n. 90/2018 della Corte d’appello di Bologna, pubblicata il 10/1/2018, e notificata via pec l’8 marzo 2013, la Sig.ra P.P. chiede la cassazione della sentenza, affidando il ricorso a un unico motivo, relativo a un giudizio in cui, in riforma della sentenza di primo grado, è stata respinta la domanda di risarcimento del danno alla persona rivolta dalla ricorrente nei confronti del medico odontoiatra e della struttura sanitaria, cui la ricorrente si era affidata per sottoporsi a cure che prevedevano un programma di implantologia dentaria, giudizio in cui il medico, Dott. L.T.A., aveva chiamato in manleva le due compagnie assicuratrici Società Cattolica assicurazione s.p.a. e Generali Italia s.p.a., che ne coprivano, per i due diversi periodi implicati, la responsabilità professionale; deduce che la Corte d’appello abbia erroneamente respinto la domanda di accertamento della responsabilità contrattuale del medico per le lesioni ricevute, sull’assunto che non fossero stati sufficientemente allegati e provati sia la condotta negligente addebitata al medico dentista, che il nesso causale relativo al danno biologico conseguente, denunciando violazione degli oneri probatori in tema della responsabilità contrattuale. Resistono con controricorso le società assicuratrici Cattolica s.p.a. e Generali Italia s.p.a.. Generali Italia propone ricorso incidentale avverso la statuizione sulle spese legali riguardante la riforma della sentenza di primo grado in relazione al rapporto processuale tra L.T. e Cattolica ass.ni, liquidate dalla Corte d’appello in favore di quest’ultima. Cattolica resiste per dedurre la carenza di interesse a impugnare detta statuizione da parte di Generali, risultata vittoriosa unitamente a Cattolica ass.ni. nel giudizio di secondo grado. Le parti hanno prodotto memorie. Il Pm ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

2. Per quanto qui di interesse, la ricorrente ha convenuto, innanzi al Tribunale di Bologna, il Centro odontoiatrico Murri di N.M. & C. S.a.s. (denominazione successivamente modificata in Centro odontoiatrico N. S.a.s. di N.M. & C..), il Sig. N.M. nella qualità di socio accomandatario della predetta società e il Dott. L.T.A. chiedendo la condanna dei convenuti alla restituzione degli importi corrisposti a titolo di remunerazione, ed al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti per interventi odontoiatrici. Esponeva la ricorrente di essersi sottoposta a cure odontoiatriche tra il mese di febbraio 2000 e il mese di marzo 2004 presso il Centro odontoiatrico predetto, ove aveva conferito con il Sig. N. e il Dott. L.T., direttore sanitario, che operò in concreto sull’attrice. Deduceva, in particolare, che il trattamento sanitario eseguito, ma lasciato incompleto, dal Dott. L.T. si rivelava errato: non risolveva, ma anzi peggiorava, i problemi che la affliggevano. Si costituiva in giudizio il Dott. L.T. per resistere e chiedere l’autorizzazione alla chiamata in causa, a fini di manleva, delle compagnie proprie assicuratrici Assitalia S.p.a. (oggi Generali Italia S.p.a.) e Cattolica S.p.a., presso le quali era assicurato per la responsabilità civile, avendo con la prima stipulato una polizza cessata il 30/7/2002 e, con la seconda, una polizza a decorrere dall’1/8/2002. Si costituivano con atti separati entrambe le compagnie assicuratrici, assumendo, comunque, la inoperatività della polizza contratta dal convenuto relativamente i a ciascun periodo di propria spettanza. Istruita la causa mediante CTU, il Tribunale di Bologna, con sentenza n. 2344 del 23 luglio – 14 settembre 2012, accoglieva integralmente la domanda attorea, dichiarava la responsabilità contrattuale dei convenuti, in via tra loro solidale, e li condannava in solido al risarcimento del danno alla persona e patrimoniale in favore di parte attrice, liquidato in complessive Euro 73.281,00, oltre accessori, ponendo le spese a loro carico, nonchè condannava entrambe le compagnie terze chiamate alla manleva, in favore del Dott. L.T., per gli esborsi da questi sostenuti in esecuzione della sentenza nella misura del 50% ciascuna – ad eccezione degli importi consistenti nel corrispettivo delle cure versato dalla attrice, da restituire alla medesima, che le compagnie non erano comunque tenute a coprire in virtù della polizza.

3. La sentenza di primo grado veniva appellata in via principale ed incidentale, da tutte le parti convenute, tranne il Centro odontoiatrico N. e dal Sig. N.M., rimasti contumaci anche nel giudizio di appello. I vari appelli, complessivamente considerati, sottoponevano alla Corte d’appello di Bologna tre temi in relazione alla condanna intervenuta per il risarcimento del danno alla persona: i) l’assenza di idonea allegazione e prova, sia della condotta specificamente addebitabile al medico, che del nesso causale in relazione ai danni alla persona patiti dall’attrice, in rapporto alla situazione di salute, già compromessa, in cui essa si trovava prima delle cure; ii) l’errata quantificazione del risarcimento del danno a titolo di danno patrimoniale, posto a carico del Dott. L.T.; iii) l’errata statuizione circa l’operatività delle garanzie prestate dalle compagnie assicurative, ciascuna in riferimento al periodo di copertura. La Corte d’appello di Bologna accoglieva il gravame e, in riforma della sentenza di primo grado, respingeva la domanda di accertamento della responsabilità professionale formulata nei confronti del Dott. L.T., e di conseguenza riformava la statuizione inerente alla manieva di Assitalia e di Cattolica, in quanto ritenuta non sufficientemente allegata e provata, sia quanto alla condotta inadempiente, che al nesso causale tra evento e danno; annullava la condanna alla restituzione del corrispettivo versato posto a carico solidale del Dott. L.T., sull’assunto che il corrispettivo non fosse stato da lui direttamente incassato; annullava le condanne di convenuti e terzi chiamati alla rifusione delle spese di lite e delle spese sostenute per ATP e CTU, e in particolare la condanna di Cattolica s.p.a. alla rifusione delle spese di lite di primo grado poste in favore del Dott. L.T.; manteneva quindi ferma solo la statuizione sulla risoluzione del contratto per inadempimento nei confronti della clinica e del direttore del centro odontoiatrico ( N. S.a.s. e il N.M.), riformando in parte qua la sentenza e condannando questi ultimi alla restituzione in favore della ricorrente della somma pagata a titolo di corrispettivo per la prestazione resa, maggiorata degli interessi legali; compensava le spese di lite del grado di appello.

Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
RICORSO PRINCIPALE.

1. Con un unico motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, viene dedotta la violazione degli artt. 1218 e 2697 c.c., in merito alla prova della responsabilità contrattuale, ritenuta dalla Corte non allegata, oltre che non provata. Osserva la ricorrente come la natura del rapporto tra il paziente ed il sanitario di una struttura privata sia pacificamente di natura contrattuale, da ciò conseguendo l’applicabilità dell’art. 1218 c.c., con onere a carico del professionista di fornire la prova di avere correttamente adempiuto la propria prestazione. Nel caso in questione, non sarebbero stati tenuti in debita considerazione dalla Corte di appello, i principi in materia di riparto dell’onere probatorio, secondo cui “in tema di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell’onere probatorio, l’attore paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l’insorgenza o aggravamento della patologia ed allegare l’inadempimento del debitore astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante”. Facendo riferimento alla pronuncia della Cass. SS. UU. 30.10.2001, n. 13533, la ricorrente deduce di essere tenuta all’allegazione del contratto e dell’inadempimento “astrattamente idoneo” a provocare il danno, per converso non rientrando tra i suoi oneri l’allegazione di specifiche inadempienze del medico collegate alle lesioni ricevute, nè la prova del nesso di causalità, dovendo il medico provare il suo esatto adempimento e la carenza di un danno riconducibile alla sua condotta eventualmente negligente. Nel contesto del medesimo motivo di ricorso, poi, la ricorrente deduce anche che la Corte di appello non avrebbe considerato che, sulla base del principio della vicinanza della prova, la documentazione clinica idonea a fornire contezza della sua situazione preesistente doveva essere prodotta dalla parte convenuta. Ad avviso della stessa, infatti, essendo onere del convenuto provare di aver correttamente adempiuto al proprio incarico, in caso di causa ignota o non immediatamente riscontrabile, se egli non fosse in grado di fornirla, non potrebbe essere esonerato da responsabilità. Peraltro, in tesi, proprio l’incompletezza della cartella clinica – sempre in virtù del principio della prossimità della prova – farebbe operare la prova presuntiva del nesso causale a sfavore del medico, qualora la condotta dello stesso sia astrattamente idonea a cagionare quanto lamentato (tra i precedenti citati: Cass. civ. Sez. III, 08.11.2016, n. 22639).

1.1. Il motivo è fondato per le seguenti ragioni.

1.2. Secondo la giurisprudenza costante di questa Corte “ove sia dedotta una responsabilità contrattuale della struttura sanitaria per l’inesatto adempimento della prestazione sanitaria, il danneggiato deve fornire la prova del contratto e dell’aggravamento della situazione patologica (o dell’insorgenza di nuove patologie per effetto dell’intervento) e del relativo nesso di causalità con l’azione o l’omissione dei sanitari, restando a carico dell’obbligato la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile” (Cass. 26 luglio 2017, n. 18392; Cass. 16 gennaio 2009, n. 975; 9 ottobre 2012, n. 17143; 20 ottobre 2015, n. 21177). Più specificamente, nel campo della responsabilità sanitaria, quanto al principio di allegazione della condotta inadempiente, ritenuta fonte di danno, occorre fare riferimento a quanto indicato dalla giurisprudenza nel precedente di cui a Cass. SU 577/2008, rilevante per dirimere il caso concreto: “in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell’onere probatorio l’attore, il paziente danneggiato deve limitarsi a provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante (nella specie la S.C. ha cassato la sentenza di merito che – in relazione ad una domanda risarcitoria avanzata da un paziente nei confronti di una casa di cura privata per aver contratto l’epatite C asseritamente a causa di trasfusioni con sangue infetto praticate a seguito di un intervento chirurgico – aveva posto a carico del paziente l’onere di provare che al momento del ricovero egli non fosse già affetto da epatite).”

1.3. L’inadempimento rilevante, nell’ambito dell’azione di responsabilità medica, per il risarcimento del danno nelle obbligazioni, così dette, di comportamento non è, dunque, qualunque inadempimento, ma solo quello che costituisce causa (o concausa) efficiente del danno. Ciò comporta che l’allegazione del paziente – creditore non può attenere ad un inadempimento, qualunque esso sia, o comunque genericamente dedotto, ma ad un inadempimento, per così dire, qualificato, e cioè “astrattamente efficiente alla produzione del danno” (così chiosa Cass. SU 577/2008). Conseguentemente, nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica, è onere del paziente dimostrare l’esistenza del nesso causale, provando che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del “più probabile che non”, causa del danno, sicchè, ove la stessa sia rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata (Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 27606 del 29/10/2019; Cass.Sez. 3 -, Sentenza n. 3704 del 15/02/2018).

1.4. Nel caso specifico, la Corte d’appello ha escluso, con duplice argomentazione, che sia stata specificamente allegata e provataisia la condotta colposa causativa del danno, che il nesso causale tra la condotta inadempiente e il danno alla salute cagionato, ritenendo mancata la prova della situazione pregressa di salute di partenza, non allegata in atti dall’attrice (ortopantomografia). Quanto alla mancanza di allegazione della condotta indicata come inadempiente, la Corte di merito ha ritenuto che “la parte attrice non abbia indicato quali interventi del sanitario siano censurabili, siccome eseguiti con imperizia, e soprattutto non indichi quali siano i profili di negligenza, astrattamente ascrivibili a controparte, con allegazione del comportamento alternativo corretto la cui mancata realizzazione costudirebbe – in tesi della paziente – il titolo per assumere l’inadempimento di controparte e la sua conseguente responsabilità contrattuale. In sostanza l’attrice non indica in cosa sia consistito l’inadempimento di controparte”. In punto di nesso causale, la Corte ha ritenuto che, sebbene il CTU avesse censurato i lavori eseguiti dal medico sulla paziente, non fosse stata neanche contrastata l’allegazione del convenuto che l’attrice si fosse presentata con un proprio lavoro protesico incongruo, effettuato presso un altro studio, dovendosi ritenere come circostanza non controversa. La Corte di merito, così ragionando, ha ritenuto che il difetto di allegazione probatoria riguardasse lo stato di salute dell’attrice antecedente alla conclusione del contratto con il centro odontoiatrico potendo, al più, costituire come rischio ricadente sul danneggiante solo la cd. causa ignota, una volta raggiunta la prova del nesso causale che, nel caso di specie non sarebbe stata fornita, mancando in atti la produzione dell’esame radiologico (pantomografia) eseguito prima di procedere all’intervento, attestante le condizioni in cui la paziente si trovava prima di sottoporsi alle cure del convenuto.

1.5. La statuizione non dimostra una corretta applicazione dei suddetti principi rispetto a quanto osservato e rilevato in fatto dalla medesima Corte, sulla base della CTU acquisita, richiamata in motivazione, in ordine sia all’inutilità dei lavori di implantologia eseguiti, sia alla loro negligente esecuzione da parte del medico convenuto. E’, infatti, la stessa Corte di merito a ritenere, sulla base della CTU acquisita in sede di istruzione preventiva e di giudizio di primo grado in atti, la mancata apprezzabile risoluzione dei problemi clinici della paziente, aggiungendo che, nonostante non si abbia contezza della natura dell’intervento concretamente svolto dal medico, per mancata produzione clinica idonea a valutare la condizione iniziale della paziente, “certamente questo intervento, qualunque sia stata la sua entità, non è stato in grado di assicurare un’apprezzabile guarigione della paziente, di talchè tale profilo di inadempimento contrattuale è provato, e da ciò consegue il diritto della paziente a ripetere quanto corrisposto come remunerazione del trattamento sanitario” (cfr. p. 8-9 della sentenza). In punto di responsabilità medica, nonostante la Corte rilevi, condividendone l’opinione, che il CTU abbia ritenuto censurabili i lavori eseguiti dal medico sulla dentatura della paziente, essa ritiene – inspiegabilmente – rilevante che non sia stata contrastata l’allegazione del convenuto che l’attrice si fosse presentata con un proprio lavoro protesico incongruo, effettuato presso un altro studio, dovendosi ritenere come circostanza non controversa.

1.6. Ed invero, la censura della ricorrente coglie nel segno laddove denuncia che la Corte d’appello, pur valorizzando la relazione del CTU, che dà conto dell’inutilità e della non correttezza, nel suo complesso, della prestazione resa e foriera di danno alla persona, secondo parametri medico-legali, è pervenuta, invece, alla conclusione circa la sussistenza di una insuperabile “incertezza” sia sulla condotta in concreto tenuta dai sanitari, sia sul nesso di causa, che in tesi avrebbe dovuto provare l’attrice. Difatti, sotto il profilo della lesività della condotta medica, nel caso di specie ci sono effetti sulla salute della paziente misurabili sotto il profilo della causalità giuridica, perchè l’aggravamento osservato è ascrivibile al medico, ed è comunque valutabile in termini di causalità giuridica.

1.7. Più precisamente, secondo i principi sopra esposti, essendo stata dimostrata la complessiva negligenza medica relativamente all’opera prestata dal medico curante, subita nell’arco di tempo in cui la paziente è stata sottoposta alle sue cure, idonea a determinare un aggravamento delle condizioni di salute della persona, secondo il principio di causalità adeguata sopra richiamato, sarebbe stato onere del medico provare il contrario, ovvero che le cure dal medesimo effettuate sulla paziente, per quanto inutili sul piano del recupero della funzionalità dell’apparato dentario coinvolto, e comunque denotanti una sua complessiva negligenza sotto il profilo dell’ars medica, non abbiano avuto alcun impatto sulla salute della persona rispetto alle condizioni pregresse di salute che egli stesso aveva potuto sin dall’inizio constatare e apprezzare, anche tenuto conto del principio di vicinanza della prova (tra i precedenti citati: Cass.Sez. 3 -, Sentenza n. 18392 del 26/07/2017).

1 8. Pertanto, alla luce di quanto sopra rilevato, la Corte d’appello risulta non avere valutato la fattispecie in esame in conformità con i principi sopra richiamati in tema di prova della responsabilità contrattuale ascrivibile a comportamento negligente del medico e di causalità giuridica, allorchè ha constatato che costituisce circostanza accertata dagli stessi CTU che i lavori di implantologia effettuati dal medico curante siano stati non solo inutili, ma anche censurabili sotto il profilo della diligenza medica (cfr. pp.7-8 della sentenza), nonchè causativi di un aggravamento delle condizioni di salute della persona. La Corte di merito, in sede di rinvio, dovrà pertanto riconsiderare la fattispecie alla luce dei principi sopra esposti, erroneamente applicati dal giudice a quo.

RICORSO INCIDENTALE.

2. Con ricorso incidentale la società Generali assicurazioni denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 3,violazione dell’art. 1917 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., perchè la Corte, in accoglimento dell’appello incidentale di Cattolica ass.ni s.p.a., terza chiamata dal medico convenuto, ha erroneamente ritenuto esente quest’ultima dall’obbligo di rifondere le spese al medico convenuto sull’assunto che la polizza dovesse ritenersi inefficace per il periodo in cui è stata espletata la prestazione resa, posto che (dal 2000 al maggio 2002 in quanto la Corte d’appello ha ritenuto che dopo si è trattato di visite di controllo e non di prestazioni mediche). Di conseguenza, la Corte, nel riformare le spese di primo grado tra il medico e la società Cattolica, non avrebbe considerato che l’attrice, invece, ha sempre lamentato l’inadeguatezza degli interventi sino al 2004 ingenerando il dubbio sulla datazione del sinistro, senza identificazione della data del sinistro. La società Cattolica ass.ni eccepisce che manchi un interesse concreto della società Generali ass.ni a impugnare la decisione in quel punto, in relazione al quale può ravvisarsi solo l’interesse di quest’ultimo a impugnare la sentenza con ricorso incidentale, trattandosi di rapporto interno tra medico e altra società assicuratrice terza chiamata, non rilevante per Generali che è risultata anch’essa vittoriosa nella domanda di responsabilità svolta nei confronti del medico convenuto.

2.1. Il ricorso incidentale è assorbito dall’accoglimento del ricorso principale.

3. Conclusivamente il ricorso è accolto, con rinvio alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese processuali di questo giudizio tra le parti.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso principale, con assorbimento del ricorso incidentale, e, per l’effetto, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Bologna perchè decida, in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 20 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 febbraio 2020