Con sentenza n. 4467/2018 il Tribunale di Catania, rigettava il ricorso proposto da C. O.A. – dipendente del Comune di Catania con qualifica, a decorrere dal 2004, di ispettore capo di Polizia Municipale -, volto alla condanna dell’ente convenuto all’adozione di ogni comportamento utile alla salvaguardia contro i rischi per la salute e l’incolumità nei luoghi di lavoro, all’assegnazione di mansioni corrispondenti alla qualifica rivestita, al risarcimento del danno nella misura di € 20,00 “per ogni giornata di demansionamento subito fino al ripristino delle mansioni di ispettore” e dei danni biologico, morale ed esistenziale nella misura di € 200.000,00 o in quell’altra ritenuta di giustizia.

Il Tribunale, richiamati gli oneri probatori incombenti sul lavoratore che intenda far valere una responsabilità datoriale ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2087 cod. civ., rilevava che il ricorso era in gran parte carente in punto di allegazione. In particolare il ricorrente, in relazione alle patologie denunciate, non aveva precisato la durata, la frequenza e le modalità con cui aveva svolto le mansioni di motociclista o componente di pattuglia o, comunque, di addetto alla gestione del traffico e della viabilità, che l’avrebbero esposto agli agenti atmosferici, allo smog e all’inquinamento acustico; non aveva specificato quali fossero i dispositivi individuali di protezione e di sicurezza di cui aveva lamentato l’omessa fornitura; aveva genericamente indicato le ragioni per cui riteneva inadeguati e fatiscenti i luoghi di lavoro, facendo comunque riferimento a generiche circostanze (impianto antincendio non funzionante, carente sistema di videosorveglianza, servizi igienici da ristrutturare) del tutto inidonee a incidere sulla causazione o l’aggravamento di uno stato patologico e, per il resto, facendo mero rinvio ad articoli di giornali, esposti e denunce presentati nel corso degli anni, tra cui quelli dell’organizzazione sindacale di appartenenza; aveva dedotto in maniera del tutto vaga e indeterminata che le sue prestazioni non erano “distribuite, in termini temporali, in modo funzionale da permettere … il normale e necessario recupero psicofisico” e di essere stato oberato “da un eccessivo carico di lavoro determinato da un’evidente carenza di organico”, senza in alcun modo precisare quali fossero le distribuzioni temporali dell’attività lavorativa e il carico di lavoro considerato eccessivo rispetto a un carico ‘normale’. Quanto al dedotto demansionamento, non aveva poi minimamente indicato quali fossero le mansioni di semplice agente asseritamente espletate e quali quelle proprie della qualifica rivestita.

Quanto ai mancati controlli periodici da parte del medico competente, la difesa dell’ente aveva evidenziato che proprio il sindacato UIL, di appartenenza del ricorrente, con nota del 26 luglio 2011, aveva lamentato che alcuni appartenenti al Corpo di Polizia Municipale erano stati sottoposti a visita collegiale in assenza di DVR, addirittura prospettando che ove tali condotte fossero proseguite ne sarebbe stata fatta segnalazione alla Procura della Repubblica e alla Procura della Corte dei Conti. Sulla dedotta mancata pianificazione dei turni, il primo giudice osservava che l’art. 27 del regolamento del Corpo di P.M. prevedeva, in linea “di massima” la predisposizione di turni “almeno settimanali”, facendo comunque salva la possibilità di apportare variazioni, purché i relativi ordini di servizio fossero pubblicati entro le ore 14.00 della giornata, il che appariva funzionale alle esigenze di flessibilità e adattabilità proprie dei servizi resi dalla Polizia Municipale, aventi spesso carattere di emergenza ed eccezionalità.

Il ricorrente non aveva inoltre dedotto né chiesto di provare di aver svolto orari eccedenti le sei ore giornaliere o comunque tali da imporre la fruizione del riposo consecutivo giornaliero di 11 ore, ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 7 e 8 del d.lgs. n. 66/2003.

In conclusione, secondo il Tribunale, seppure gran parte delle doglianze mosse attenessero a disfunzioni organizzative e inadeguatezze logistiche della struttura amministrativa presso la quale il ricorrente prestava servizio, censurabili sotto il profilo delle good practices datoriali e dell’eventuale responsabilità del dirigente del settore o dei titolari degli organi apicali dell’apparato amministrativo, le stesse non erano tuttavia idonee a determinare specifiche responsabilità di tipo risarcitorio. Peraltro, come già osservato dal giudice della fase cautelare, le patologie da cui il C. O.A. risultava affetto andavano causalmente ricollegate “all’ordinario espletamento dell’attività lavorativa … a causa dell’esposizione a fattori esterni allergizzanti” cui il ricorrente si trovava quotidianamente esposto, espletando lavoro anche su strada “e di posture errate per lunga permanenza in posizione eretta o ricurva in moto”, patologie, dunque, che nulla avevano a che vedere con le condotte datoriali denunciate in ricorso, potendo al più “assurgere al rango di malattie professionali suscettibili di indennizzo INAIL”. Infine, quanto al rischio da stress correlato al lavoro svolto, osservava il Tribunale che la patologia era stata rilevata dal CTP pressoché esclusivamente sulla base della narrazione effettuata dal ricorrente nel corso del colloquio, mentre non vi era traccia in atti dei test M.S.P. cui era stato sottoposto.

Appellava la sentenza il soccombente con ricorso depositato il 15.5.2019, insistendo nell’accoglimento delle domande. Vinte le spese del doppio grado.

L’ente appellato instava il rigetto del gravame.

La causa, acquisito il fascicolo d’ufficio di primo grado, è stata posta in decisione in data 12.5.2022, ai sensi dell’art. 83, comma 7, lett. h), D.L. n. 18/2020 e succ. mod. e integr., compiuti i termini assegnati alle parti per il deposito di note telematiche.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di gravame l’appellante censura la sentenza per aver ritenuto non assolto l’onere di allegazione. Assume, al riguardo, che le doglianze avanzate sarebbero state supportate da ampia documentazione, che non sarebbe stata vagliata dal primo giudice ovvero da due consulenze medico-legali di parte – atte a comprovare “lo stato di malessere eziologicamente collegato alle logoranti condizioni di lavoro (quanto nel corpo quanto nell’animo)” , da articoli di giornale ed esposti sindacali, inoltrati sia alla Procura della Repubblica che all’amministrazione comunale, sulle condizioni di degrado, insalubrità e insicurezza quotidianamente affrontate, condizioni che erano state altresì rappresentate al comandante della P.M. dal commissario Ferlito, responsabile dell’autorimessa di Via N. S. (luogo di lavoro). Inoltre, non sarebbe vero quanto affermato dal Tribunale in merito alla mancata indicazione dei dispositivi individuali di protezione e di sicurezza di cui era stata lamentata l’omessa fornitura: se il primo giudice avesse attenzionato gli allegati n. 4 e n. 11 (esposti del 27 novembre 2010 e del 17 luglio 2009 presentati, rispettivamente, al comandante del corpo di P. M. e alla Procura della Repubblica), avrebbe potuto riscontrare che i DPI di cui erano sprovvisti gli operatori erano gli elmetti protettivi, i giubbetti anti-urto, i guanti e le ginocchiere nonché “gli appositi capi di vestiario” necessari per le attività di viabilità, polizia stradale e ordine pubblico, i presidi di sicurezza visivi e luminosi per i servizi notturni e gli incidenti stradali, nonché i dispositivi atti a evitare il contagio con gli agenti atmosferici quali mascherine e guanti in lattice. Vi erano inoltre due ulteriori verbali del novembre 2017, allegati all’atto di appello e prima non disponibili, che testimoniavano le condizioni insalubri in cui aveva lavorato.

Quanto poi alla mancata produzione dei “Test MSP” assume l’appellante che gli stessi non avrebbero potuto essere prodotti in giudizio “senza ordine specifico del decidente”.

2. Indi, deduce che la mancata ammissione dei mezzi di prova richiesti aveva precluso la possibilità di dimostrare quanto esposto in ricorso in ordine alla mancata pianificazione preventiva dei turni, all’impossibilità di godere della pausa quotidiana, alla vetustà e fatiscenza dei luoghi di lavoro e all’espletamento delle inferiori mansioni di agente di P.M.

3. Con altro motivo censura la sentenza nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto che le patologie sofferte fossero ricollegabili all’ordinario espletamento delle mansioni lavorative, osservando che “i fatti oggetto di causa” rientrano nell’ambito di applicazione del d.lgs. n. 81/2008 e dell’art. 2087 cod. civ., la cui violazione determina un preciso obbligo risarcitorio ove si verifichi un’ipotesi di “stress da lavoro correlato” e richiama una sentenza della Suprema Corte (Cass. n. 5066/2018) in materia di rendita INAIL per malattia professionale e rischio specifico improprio della lavorazione, oggetto della tutela previdenziale infortunistica di cui al DPR n. 1124/1965.

Afferma, poi, richiamando altra sentenza della S.C. in materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali (Cass. n. 13361/2011), che il proprio CTP dott. Z. ha ritenuto le 4 patologie ad andamento evolutivo (broncopneumopatia cronica interstiziale, laringite cronica con rinite cronica allergica, insufficienza venosa arti inferiori, artrosi cervicale con discopatia C5-C6 e relativa verticalizzazione della fisiologica curvatura lordosica. Curvatura scoliotica sinistro convessa nel segmento lombare. Modica riduzione in ampiezza della rima articolare coxo-femorale dx e lieve ipotomia con lieve ipomiotrofia del m. quadricipite di sx), oltre allo stress lavoro correlato, di “verosimile etiologia lavorativa, scaturenti dai seguenti rischi occupazionali: traffico stradale, atmosfera inquinata da gas di scarico od allergeni, inquinamento acustico, discariche con sostanze tossiche ed infette, uffici trafficati, posture errate per lunga permanenza in posizione su moto. Affezioni che potevano essere bloccate sul nascere se fossero state diagnosticate all’insorgenza e debitamente attenzionate e trattate a mezzo di periodici controlli e protocolli medico-aziendali per relativa prevenzione e protezione, nonché con cautelative e correttive prescrizioni o limitazioni”.

4. Con l’ultimo motivo censura la condanna al pagamento delle spese processuali, a suo dire non sorretta da motivazione e ingiustamente inflitta, non avendo il Tribunale tenuto conto della “la gravità ed eccezionalità del caso trattato”.

5. Tali le critiche alla sentenza impugnata, l’appello va respinto per le ragioni che seguono.

6. Va in primo luogo osservato che l’appellante ha proposto in primo grado due domande: con la prima ha chiesto che il comune di Catania fosse condannato ad adottare tutte le misure utili e/o necessarie per garantire la sicurezza e la salubrità di luoghi di lavoro e, sul presupposto che le patologie allegate trovassero causa nel grave disagio e nel grave rischio per la salute derivati dal comportamento omissivo del datore di lavoro, ne ha chiesto la condanna al risarcimento del danno biologico, morale ed esistenziale, pari ad euro 200.000,00, oltre accessori; con la seconda, ha lamentato di svolgere mansioni inferiori (di agente) a quelle proprie della qualifica posseduta ( ispettore capo) e dunque di aver subito un demansionamento, chiedendo ordinarsi al datore di lavoro di riassegnarlo alle mansioni proprie dell’ispettore capo ed a risarcirgli il danno pari a 20,00 euro per ogni giornata di demansionamento.

7. Tanto chiarito, deve ricordarsi che la parte appellante non può limitarsi a riproporre le difensive contenute nell’atto introduttivo di primo grado, senza esporre ragioni di ragioni di dissenso congruenti con la ratio decidendi adottata dal primo giudice ossia concrete e specifiche argomentazioni idonee a contrastare i passaggi argomentativi posti a fondamento della decisione, come prescritto dagli articoli 342 c.p.c. e 434 c.p.c. (cfr. ex multis Cass. S.U. 23299/2011; Cass. 18704/2015; 12280/2016).

8. La difesa dell’appellante non ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui, quanto all’asserito demansionamento, il Tribunale ha rilevato che il C. O.A. non aveva neppure indicato quali fossero le mansioni di semplice agente – asseritamente espletate – e quali quelle proprie della qualifica (ispettore capo) rivestita, limitandosi a lamentare la mancata ammissione dei mezzi di prova che tuttavia presuppongono l’allegazione dei fatti, condotta processuale di esclusiva pertinenza della parte che giammai può essere effettuata dal giudice, inconferente essendo l’istituto dei poteri istruttori officiosi, che opera successivamente, sul piano della prova dei fatti compiutamente allegati. Poiché dunque, non solo difetta nel ricorso l’allegazione delle mansioni in concreto svolte, elemento indispensabile per consentire al giudice, sul piano probatorio, di operare il raffronto tra le corrispondenti declaratorie contrattuali ( c.d. procedimento trifasico), ma pure l’unico capitolo di prova per testi che si riferisce al demansionamento ( n. 13), nella cui ammissione si insiste in questa sede, è all’evidenza inammissibile, in quanto del tutto generico e come tale anche inidoneo, ancor prima, a soddisfare l’onere di allegazione, la statuizione di rigetto va confermata.

9. Relativamente alla prima domanda, non pare che l’appellante adduca specifiche censure alle argomentazioni del Tribunale nella parte in cui ha ritenuto del tutto inidoneo a incidere sulla causazione delle patologie denunciate lo stato dei luoghi di lavoro indicato nei capitoli di prova (malfunzionamento dell’impianto antincendio, carente sistema di videosorveglianza, cattivo stato dei servizi igienici, munizioni della pistola d’ordinanza fuori uso, utilizzo del parco macchine anche per custodire autoveicoli sequestrati, ecc.), con la conseguenza che non conduce all’invocata riforma della sentenza l’insistere nell’ammissione dei capitoli di prova che il Tribunale ha correttamente ritenuto inconducenti al fine della decisione.

Il Tribunale ha pure osservato, a proposito delle patologie diagnosticate dal c.t.p. dott. Z., che esse, come già statuito in sede cautelare, apparivano causalmente collegate all’ordinario espletamento dell’attività lavorativa all’aperto, che poneva il dipendente a contatto con fattori allergizzanti e lo portava a tenere posture erette o ricurve durante i servizi in moto e non avevano dunque nulla a che vedere con le condotte datoriali indicate in ricorso, potendo semmai legittimare il riconoscimento della natura professionale delle stesse da parte dell’Inail.

10. Alla difesa dell’appellante, che invoca svariate sentenze della Suprema Corte in merito al rischio professionale proprio ed improprio, sfugge che, per consolidato orientamento della Suprema Corte, l’eventuale natura professionale di un infortunio o di una malattia occorsi durante l’espletamento della prestazione lavorativa eventualmente indennizzati dall’Inail ( il che qui non è stato peraltro né allegato, né dimostrato), non implica di per sé la violazione dell’art. 2087 del codice civile da parte del datore di lavoro e non fonda dunque pertanto di per sé una domanda risarcitoria ( cfr. Cass. Cass. 26498/2018, Cass. 15972 del 2017; Cass. n. 5413 del 2003).

11. Né la parte appellante spiega, nel momento in cui lamenta la mancata ammissione delle prove orali, come le circostanze di cui ai capitoli da 1) a 14) ( esclusi il 13, relativo all’asserito demansionamento, il 3, il 4) , il 15) e il 16) relativi allo stress lavoro correlato, di cui infra), possano causare “broncopneumopatia cronica interstiziale, laringite cronica con rinite cronica allergica, insufficienza venosa arti inferiori, artrosi cervicale con discopatia C5-C6 e relativa verticalizzazione della fisiologica curvatura lordosica. Curvatura scoliotica sinistro convessa nel segmento lombare. Modica riduzione in ampiezza della rima articolare coxo-femorale dx e lieve ipotomia con lieve ipomiotrofia del m. quadricipite di sx”, al fine di contrastare quanto condivisibilmnente opinato dal primo decidente, il quale ha appunto ricollegato la loro eventuale insorgenza alle normali condizioni di lavoro tipiche delle mansioni dell’appartenente al corpo dei Vigili Urbani elencate dallo stesso dott. Z. ( “traffico stradale, atmosfera possibilmente inquinata da gas di scarico o allergeni, inquinamento acustico, discariche con probabili sostanze tossiche ed infette, uffici trafficati, posture errate per lunga permanenza in posizione eretta o ricurva su moto”).

Sostiene inoltre l’appellante che, ove il Tribunale avesse attenzionato gli allegati n. 4 e n. 11 (esposti del 27 novembre 2010 e del 17 luglio 2009 presentati, rispettivamente, al comandante del corpo di P. M. e alla Procura della Repubblica), avrebbe potuto riscontrare che i DPI di cui erano sprovvisti gli operatori erano “gli elmetti protettivi, i giubbetti anti-urto, i guanti e le ginocchiere nonché … gli appositi capi di vestiario necessari per le attività di viabilità, di polizia stradale di ordine pubblico …, i presidi di sicurezza visivi e luminosi per i servizi notturni e gli incidenti stradali, nonché, ancora, i dispositivi atti ad evitare il contagio con gli agenti atmosferici quali mascherine e guanti in lattice”.

11. Osserva al riguardo la Corte che pressochè nessuno di tali indicati DPI (elmetti protettivi, giubbetti anti-urto, guanti, ginocchiere, presidi di sicurezza visivi e luminosi per i servizi notturni e incidenti stradali) sarebbe stato idoneo, già sul piano astratto, a prevenire l’insorgere delle patologie denunciate.

Piuttosto, va evidenziato che le affermazioni del CTP Z. (il quale peraltro, a conclusione della sua relazione, si premurava di precisare che il C. O.A. era “ovviamente perfettamente idoneo psico-fisicamente alla mansione e qualifica rivestita. Tale indiscutibile idoneità al servizio richiede però alcune prescrizioni” di carattere preventivo e protettivo sul posto di lavoro (senza assolutamente inficiare l’idoneità stessa), sono rimaste prive di qualsivoglia riscontro, non risultando allegata all’originario ricorso e alla stessa CTP alcuna certificazione medica o referto di esame strumentale.

12. Quanto poi al rilievo del Tribunale secondo il rischio medio alto di stess lavoro correlato era stato diagnosticato dalla dott.ssa P. pressoché esclusivamente sulla base della narrazione effettuata dallo stesso ricorrente nel corso del colloquio e che non erano stati depositati in giudizio i test somministrati, l’appellante adduce, del tutto infondatamente (cfr. artt. 13,47 d.lgs. n. 196/2003, nel testo vigente ratione temporis), che i test non avrebbero potuto esser prodotti “senza ordine specifico del Decidente” laddove invece si tratta di dati personali direttamente correlati alla trattazione della controversia, che era precipuo onere del titolare offrire in giudizio, senza alcuna necessità di attivare l’istituto dell’ordine di esibizione, rimanendo dunque confermato che la relazione si basa esclusivamente su quanto narrato dal ricorrente.

13. Neppure l’appellante muove alcuna specifica critica all’argomentazione del primo giudice secondo cui l’art. 27 del regolamento del Corpo di P.M., pur prevedendo in linea “di massima” la predisposizione di turni “almeno settimanali”, fa comunque salva la possibilità di apportare variazioni purché i relativi ordini di servizio siano pubblicati entro le ore 14.00 della giornata, e che ciò è funzionale alle esigenze di flessibilità e adattabilità proprie dei servizi resi dalla Polizia Municipale, aventi spesso carattere di emergenza ed eccezionalità.

14. Nè formula censure all’assunto del Tribunale secondo cui esso appellante non aveva dedotto né chiesto di provare di aver svolto orari eccedenti le sei ore giornaliere o comunque tali da imporre la fruizione del riposo consecutivo giornaliero di 11 ore, ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 7 e 8 del d.lgs. n. 66/2003, rilevando altresì il difetto assoluto di allegazione sulle distribuzioni temporali dell’attività lavorativa svolta e sul carico di lavoro in tesi eccessivo rispetto a un carico ‘normale’.

15. Non giova dunque alla parte appellante insistere nell’ammissione dei mezzi di prova orale sulle circostanze di cui ai capitoli 3, 4 ( peraltro generico), 15 ( peraltro inconducente) e 16, atteso che le circostanze capitolate non sarebbero in ogni caso idonee a scalfire nè le argomentazioni del Tribunale circa il difetto di prova della sussistenza dello stress lavoro correlato, per quanto detto al punto 10, nè quelle espresse sulla legittimità della condotta datoriale nella programmazione dei turni, in quanto, non contenendo riferimenti concreti alle modalità di espletamento della prestazione lavorativa dell’appellante ( neppure dedotte nel corpo del ricorso), appalesandosi pertanto inammissibili perché generici ed inconducenti.

16. È infine infondato l’ultimo motivo di gravame, posto che la condanna al pagamento delle spese processuali della parte soccombente non abbisogna di alcuna motivazione, discendendo direttamente dall’art. 91 c.p.c., mentre non è ravvisabile alcuna eccezionale ragione (nemmeno esplicitata dalla difesa dell’appellante) per derogare al principio della soccombenza (cfr. anche Corte Cost., sent. n. 77/2018, pur citata dalla difesa dell’appellante),

17. Le spese processuali del presente grado, liquidate come in dispositivo, tenuto conto del valore della controversia e dell’assenza di attività istruttoria, seguono la soccombenza.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dell’appellante dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ove dovuto. (Cass. S.U. n. 4315/2020).

P.Q.M.
La Corte, definitivamente pronunciando, rigetta l’appello avverso la sentenza n. 4467/2018 del Tribunale di Catania e condanna l’appellante al pagamento delle spese processuali del presente grado, che liquida in € 4.758,00, oltre rimborso forfetario spese generali al 15% e oltre CPA e IVA se dovute.

Ricorrono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto

Così deciso nella camera di consiglio del 12.5.2022.